La Strage di Fiumicino del 1973 fu un attentato terroristico palestinese che il 17 dicembre colpì l’aeroporto di Roma-Fiumicino uccidendo 34 persone e causando il ferimento di altre 15.
La “Strage di Fiumicino”, i fatti
Il 17 dicembre 1973 alle ore 13:10, un commando terrorista palestinese composto tra le 6 e le 10 persone, fece irruzione all’interno del Terminal di Fiumicino.
Gli uomini dopo aver estratto armi automatiche ed esplosivi dalle loro valigie, si sono fatti strada all’interno del Terminal fino alla pista sparando all’impazzata e uccidendo 2 persone. Raggiunta la zona di parcheggio dell’aeroporto, i terroristi si sono diretti verso il Boeing 707 della Pan Am, volo 110 per Teheran con scalo a Beirut delle 12.45, e vi gettarono all’interno due bombe al fosforo.
Gli assistenti di volo tentarono di evacuare il velivolo il più velocemente possibile aprendo le uscite di emergenza sulle ali, dal momento che le altre erano ostacolate dai terroristi; molti passeggeri riuscirono a scappare, ma 30 rimasero uccisi. Tra questi quattro italiani: l’ing. Raffaele Narciso, il funzionario Alitalia Giuliano De Angelis, di ritorno alla sede di Teheran con la moglie Emma Zanghi e la loro figlia Monica di appena 9 anni.
Nell’attacco perse inoltre la vita il finanziere ventenne Antonio Zara che, giunto per primo sul luogo dell’assalto a seguito dell’allarme generale emanato dalla Torre di controllo dell’aeroporto, tentò di contrastare i dirottatori.
Il commando si impadronì poi di un Boeing 737 della Lufthansa in attesa di partire per Monaco di Baviera, facendovi salire alcuni ostaggi tra cui sei agenti della dogana di Fiumicino. Costrinsero quindi l’equipaggio, che già era a bordo, a far decollare il velivolo.
A bordo dell’aereo della Lufthansa uccisero il tecnico della società Asa, Domenico Ippoliti, il cui corpo venne successivamente abbandonato sulla pista dell’aeroporto di Atene dove l’aereo aveva fatto scalo. Dopo circa 16 ore l’aereo decollò dalla capitale greca e si diresse verso Beirut.
Le autorità libanesi tuttavia, rifiutarono di concedere all’aereo l’autorizzazione per l’atterraggio e bloccarono le piste dell’aeroporto con dei veicoli. Anche Cipro fece lo stesso. Fecero così scalo a Damasco, dove le autorità siriane rifornirono l’aereo di viveri e carburante. Dopo circa 6 ore decollarono di nuovo alla volta di Kuwait City, dove l’aereo si fermò definitivamente.
I capitoli conclusivi
Il dirottamento terminò nella tarda serata del giorno successivo all’Aeroporto Internazionale del Kuwait, dove vennero liberati gli ostaggi. I terroristi negoziarono la loro fuga ma vennero comunque catturati poco tempo dopo.
Le autorità kuwaitiane, dopo aver interrogato i terroristi, decisero di non sottoporli a processo e valutarono la possibilità di consegnarli all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Nel 1974 il presidente egiziano Anwar Sadat acconsentì che venissero portati al Cairo sotto la responsabilità dell’OLP e che venissero processati dalla stessa per aver condotto una “operazione non autorizzata”.
A seguito dei negoziati avviati durante un altro dirottamento aereo, i cinque uomini del commando vennero liberati nel novembre del 1974 per poi comunque ritornare sotto la custodia dell’OLP. Da quel momento non ci sono state più notizie certe sulla loro sorte.