23 maggio 1992, strage di Capaci: l’attentato di Cosa Nostra per uccidere Giovanni Falcone. Uno dei tanti drammi che hanno coinvolto ogni anima della nostra Penisola, è difficile ancora trovare le parole per descrivere il terrore che ha attraversato ogni angolo delle case, una sensazione paragonabile solo a momenti bui come la morte di Aldo Moro.
In quegli anni, infatti, la Sicilia e l’Italia intera cambiarono completamente i connotati, tutti coloro che hanno vissuto gli anni dell’attentato a Giovanni Falcone, posso affermare con certezza che la Nazione era entrata in una nuova era e che quella morte non sarebbe stata vana.
La strage di Capaci: l’attentato di Cosa Nostra per uccidere Giovanni Falcone
Si trattava di un attentato esplosivo, compiuto aull’A2 per placare questa fresca ventata di libertà che si percepiva nel periodo in cui il duo Falcone – Borsellino iniziava ad ottenere risultati esemplari durante l’esperienza al Pool Antimafia.
In quel periodo Cosa Nostra operava nell’ombra, ma grazie al nucleo antimafia e all’arresto e in seguito il pentimento di Tommaso Buscetta, è come se si fossero improvvisamente accesi i riflettori sulla grezza e brutale bestia della mafia, cosa inaccettabile per i mammasantissima, personaggi loschi e inattaccabili che – nella paura di perdere la loro egemonia – iniziarono a tessere le trame per generare lo scempio di Capaci.
Dopo l’esperienza al Pool Antimafia avvenuto nell’83 e nell’84, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino divennero dei bersagli facili, gli insidiosi mafiosi iniziarono a fare terra bruciata attorno a loro, tanto che dopo l’omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà tutti iniziarono a temere per la loro incolumità, così – in via del tutte precauzionale – si ritrovarono a soggiornare presso il carcere dell’Asinara.
Oggi è il 23 maggio e si ricorda l’anno della strage e, conseguentemente, della morte del giudice entrato nella storia per aver costruito una rete e una legge funzionale alla criminalità organizzata italiana. Tuttavia, in tanti dimenticano facilmente i periodi in cui la politica, le istituzioni e l’opinione pubblica voltò le spalle ai due giudici, lasciandoli soli nell’estenuante lotta contro la criminalità.
Nei primi anni ’90 ci fu la cosiddetta “stagione dei veleni”, non erano mafiosi coloro che si schieravano contro le opinioni dei due magistrati, ma – un po’ come accadde nella celebre vicenda di Pietro e Gesù – eravamo dinnanzi a quel “canto del gallo”.
Falcone e Borsellino si ritrovarono in una salita talmente fitta che avrebbe fatto impallidire il più abile degli scalatori e non si sa il perché questo accadde, ma la popolarità dei due eroi fu macchiata nei talkshow e le persone non avevano più una buona opinione su di loro.
Celebre fu anche la veemenza di Totò Cuffaro – in seguito condannato per mafia – che aggredisce un Falcone logorato da una Nazione confusa che ormai gli era ostile e in una sentenza si evince quanto segue «non si evince un attacco diretto di Cuffaro nei confronti del giudice Falcone». I violenti attacchi vennero soprattutto dal fronte della politica, perché Falcone pagò a caro prezzo la vicinanza con il socialista Claudio Martelli, infatti, il PCI gli era in gran parte contro.
Leoluca Orlando, oltre a qualche altro esponente della DC e diversi giudici aderenti a Magistratura Democratica, lo attaccarono duramente e ciò generò uno suo sfogo dinnanzi al CSM:
«non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo».
Di lì a poco, questi duri attacchi furono riassunti da una dichiarazione di Falcone su Rai3 e che ormai è divenuto un vero e proprio aforisma:
«Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è la tua che non l’hai fatta esplodere».
In seguito ci fu la morte, ovvero la tristissima “strage di Capaci”, dove vennero totalmente sventrate le autovetture a causa di un ordigno esplosivo e chi vi era dentro era passato a miglior vita.
Falcone e Borsellino furono due figure della lotta alla mafia che, seppur morti in circostanze drammatiche, aprirono un ciclo nel nostro Paese e diedero messaggi chiari di lotta all’oppressione padronale dell’anti-Stato.