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“Habemus governum”, gli 88 giorni della (Terza) Repubblica

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“È nata la Terza Repubblica!”, esclamava un gaudente Luigi Di Maio il 5 marzo scorso. Il giorno precedente, il 4 marzo 2018, destinato fin da subito a entrare nella storia (che piaccia o meno), i risultati delle elezioni politiche avevano scosso in maniera molto evidente lo scenario italiano.
Movimento 5 Stelle e Lega erano riusciti a ribaltare i cosiddetti partiti politici tradizionali ottenendo cifre strepitose e al di sopra anche delle più rosee aspettative. Il movimento guidato da Di Maio superava il 32%, la Lega si attestava intorno al 17% e, cosa più importante, superava per la prima volta Forza Italia all’interno delle gerarchie della coalizione di centrodestra. Due risultati storici, per entrambe le formazioni politiche.

ELEZIONI POLITICHE 2018, GLI ELETTI IN CAMPANIA PARTITO PER PARTITO

Al contempo, lo stesso partito di Silvio Berlusconi e anche il Pd di Matteo Renzi registravano un netto calo con l’ex Cavaliere costretto a cedere lo scettro al leader del Carroccio e i dem che registravano il peggior risultato elettorale di sempre (meno del 19% di preferenze).

Prima degli 88 giorni

Matteo Salvini, leader della Lega, col rosario in piazza Duomo

Ma la Terza Repubblica annunciata con un sorriso a 32 denti da Di Maio è lungi dall’arrivare. Ancor di più se si pensa a quanto detto e fatto durante i giorni – altrettanto lunghi – di campagna elettorale.

Paradossalmente, la prima “bomba” è lanciata dal leader di un partito che di lì a poco scomparirà dal dibattito e anche dai ragionamenti dell’opinione pubblica: già a gennaio Pietro Grasso annuncia che Liberi e Uguali abolirà le tasse universitarie. In questo gioco, ovviamente, nessuno lo lascia solo: a febbraio Berlusconi rilancia annunciando di voler “portare le pensioni minime a 1.000 euro, anche per le casalinghe”. Salvini e Di Maio non stanno certo a guardare: lotta all’immigrazione e reddito di cittadinanza sono i cavalli di battaglia che Lega e M5S utilizzano più volentieri in comizi e dibattiti in tv (senza parlare delle dirette Facebook).

Intanto, il Partito Democratico e la debole coalizione di centrosinistra appaiono sempre più timidi.

Si può quindi passare facilmente dalle promesse ai colpi di teatro. La campagna elettorale volge al termine e non bisogna lasciarsi sfuggire neanche un’occasione per impressionare gli elettori, soprattutto quelli più indecisi che – come canta Caparezza – alle elezioni “sono decisivi”.

“Il Patto di San Valentino”: Berlusconi firma un “nuovo contratto con gli italiani” in diretta tv da Bruno Vespa

Allora Berlusconi torna di corsa da Vespa per firmare un nuovo “contratto con gli italiani” (14 febbraio 2018) con tanto di “firma leggibile”. Ma la stessa espressione del conduttore tv e giornalista Rai non è più la stessa ormai. L’accoglienza di pubblico e la pazienza di Bruno Vespa non sono come quelle del 2001, anzi.

Oggi serve altro. E Salvini lo sa. Così, il 24 febbraio 2018, il leader del Carroccio dà vita al massimo dell’orgasmo cattoleghista in piazza Duomo. Giuramento su Costituzione da premier non eletto e soprattutto – udite udite – promessa di un futuro migliore per “questo Paese” con tanto di Vangelo alla mano. E la piazza milanese esplode in un entusiasmo da plebiscito.

Luigi Di Maio e Giuseppe Conte durante la presentazione dei ministri del M5S

Infine, il Movimento 5 Stelle. Il 1 marzo 2018, a tre giorni dal voto, Di Maio presenta la lista dei ministri pentastellati davanti a migliaia di spettatori sui social e a centinaia di giornalisti riuscendo a monopolizzare il dibattito pubblico nei giorni che precedono il voto. Un coup de théâtre grazie al quale l’elettorato italiano conosce per la prima volta il viso e il nome di Giuseppe Conte, futuro premier. Giornali e talk show, intanto, si impegnano a far conoscere anche tutti gli altri ministri in pectore di un eventuale governo pentastellato perché è chiaro che – considerato il prevedibile successo elettorale del M5S – se non tutti, almeno qualcuno di quelli presentati da Di Maio potrebbe occupare qualche posizione importante tra i dicasteri del governo che si appresta a nascere.

Dal Pd, intanto, pochi e stanchi colpi; Leu non pervenuto. Come se non bastasse, nei giorni della campagna elettorale ritorna ad aleggiare il debole spettro degli opposti estremismi con attivisti di varie formazioni di estrema destra ed estrema sinistra che si scontrano, accoltellano e pestano in diverse città italiane. Dalla sera del 4 marzo in poi quell’antico fantasma riesumato da un passato che appare lontanissimo tornerà a riposare in una tomba della memoria repubblicana.

I risultati delle elezioni del 4 marzo: festa M5S-Lega

Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista festeggiano il risultato del Movimento 5 Stelle alle elezioni del 4 marzo 2018

Poi arriva il giorno tanto atteso. Domenica 4 marzo il 72,93% degli aventi diritto al voto si reca al proprio seggio di appartenenza per esprimere la preferenza. Che per la sinistra e il centrosinistra non sia giornata si nota fin da subito: di buon mattino Pierluigi Bersani, esponente di spicco di Leu ed ex segretario del Pd, sbaglia a votare. Preso dall’emozione (o dall’abitudine), il buon Bersani infila le schede elettorali direttamente nelle urne senza permettere alla presidente di seggio di controllare il numero del bollino anti-frode, una delle grandi novità del voto del 4 marzo.

È solo un presagio che anticipa una débâcle senza precedenti per il centrosinistra e la sinistra in Italia. Per il resto, va così (con differenze non molto rilevanti tra Camera e Senato, almeno in termini percentuali):

  • Centrodestra: 37%
  • Movimento 5 Stelle: 32%
  • Centrosinistra: 22%

Ma soprattutto:

  • Lega 17%
  • Forza Italia 14%
  • Pd: 18%
  • Leu: 3%

Le gerarchie all’interno della coalizione di centrodestra (che vince le elezioni) sono ufficialmente rovesciate. Il Movimento 5 Stelle vola anche da solo, ma non può governare. Leu riesce a stento a superare la soglia di sbarramento, il Pd inizia a leccarsi le ferite. Al resto ci pensa la legge elettorale nota come Rosatellum.

È nata la Terza Repubblica…?

Il Movimento 5 Stelle, com’è ovvio, festeggia. Di Maio annuncia: “È nata la Terza Repubblica”. Ma è presto per cantar vittoria.

Seconda proiezione #elezioni2018 #maratona #movimento5stelle

Un post condiviso da Luigi Di Maio (@luigi.di.maio) in data:

Quelli del Partito Democratico ammettono la sconfitta e già si accomodano all’opposizione, che per qualcuno somiglia più ad un Aventino 2.0. Al Nazareno ripetono come un mantra che ora “governare tocca a chi ha vinto le elezioni”. Di lì a qualche settimana si parlerà addirittura di pop corn per assistere meglio allo spettacolo (ma non si capirà mai a chi si possa attribuire con certezza questa poco confortante e combattiva immagine).

Il 12 marzo, comunque, Matteo Renzi si presenta in conferenza stampa per annunciare le non-dimissioni: “Me ne vado dalla segreteria, non dal partito. Ci attende una lunga traversata nel deserto. Ma ripartire da zero, dall’opposizione, può essere una grande occasione”. Così l’ex premier che già pensa alle “primarie” mentre lancia la sfida ai suoi: “No ai caminetti interni”.

Dall’altra parte del campo, però, la situazione non è così semplice come potrebbe sembrare. Salvini e Di Maio sembrano fatti l’uno per l’altro tanto che, nel giorno in cui si votano i presidenti delle Camere, lo streetartist Tvboy li immortala in un bel bacio simbolico su un muro di Roma.

Il murales di Tvboy che ritrae il bacio tra Di Maio e Salvini

E infatti l’affinità M5S-Lega sembra quasi scontata. L’accordo per i presidenti delle Camere si trova in tempi record: la forzista Casellati, fedelissima di Silvio Berlusconi, diventa la prima presidente del Senato donna; il grillino Roberto Fico è il primo presidente della Camera del M5S. Così Matteo Salvini inaugura la breve quanto incisiva stagione dei “passi di lato” cominciando a rivendicare pubblicamente le sue gesta politiche e istituzionali, fatte per il “bene del Paese”, in maniera sempre più frequente.

Tuttavia, urge un’altra questione da sistemare. Il Movimento 5 Stelle, da sempre partito-non partito antisistema, non può certo andare al governo con Silvio Berlusconi, il rappresentante principale del sistema che Grillo, Di Battista e compagni combattono fin dalla nascita del movimento. D’altro canto Salvini, che si è presentato alle elezioni con Berlusconi e Meloni, non può certo liberarsene così facilmente. Ne deriva una serie infinita ed estenuante di consultazioni al Quirinale con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che – prima della finale di Coppa Italia tra Milan e Juventus – arriverà ad annunciare: “I giocatori dovrebbero aiutare l’arbitro (…). Se l’arbitro non si nota significa che ha arbitrato bene”. Fuor di metafora, al Quirinale l’arbitro si noterà eccome.

Le consultazioni infinite e i “due forni”

Consultazioni del 12 aprile 2018: Berlusconi “conta” i punti del programma del centrodestra alle spalle di Salvini

Berlusconi chiude ai 5Stelle e i 5Stelle chiudono in maniera categorica a Berlusconi: nessuno dei due, però, stando alle dichiarazioni, ha mai messo veti. Il giochino si rompe quando tutto sembra poter andar bene con la “astensione benevola” di Forza Italia all’esecutivo giallo-verde.

È solo un’illusione. Il 12 aprile 2018, durante un altro giro di consultazioni, Berlusconi fa notare al mondo che proprio non riesce a cedere lo scettro: nella sala stampa del Quirinale, prima anticipa Salvini che dovrebbe annunciare quanto riferito al capo dello Stato, poi quasi lo sbeffeggia portando (male) il conto dei punti del programma del centrodestra che il leader leghista cerca di elencare alla stampa e agli italiani. Infine, mentre Salvini e Meloni si allontano dai microfoni, il colpo di scena che porta alla definitiva rottura col M5S: “Mi raccomando fate i bravi e sappiate distinguere chi è un democratico e chi non conosce neppure l’abc della democrazia. Sarebbe ora di dirlo”. È il monito lanciato ai giornalisti presenti, ma è soprattutto la dichiarazione che mette Salvini con le spalle al muro.

Così, mentre lo show di B. alle spalle del leader del Carroccio diventa pane quotidiano per gli utenti dei social network, il Movimento 5 Stelle dà vita a una delle pratiche democristiane più note in assoluto: la “politica dei due forni”. Il movimento antisistema per eccellenza adotta una della tattiche più utilizzate nel sistema democratico italiano, e non solo. Inaspettatamente Di Maio apre al Pd, un po’ per mettere pressione a Salvini che non riesce a scrollarsi di dosso Berlusconi, e – forse – un po’ anche per la consapevolezza della difficoltà in cui si troverebbero i dem dinanzi a una proposta così “indecente”: formare un governo insieme al M5S. In un primo momento, infatti, la reazione sembra unanime: “Mai al governo con i grillini”, urla la base del Pd che intanto conia l’hashtag #senzadime. Ma l’idea spacca – tanto per cambiare – il partito, tanto che a un certo punto, all’ennesimo giro di consultazioni, il segretario reggente Maurizio Martina non chiude definitivamente le porte a quest’ipotesi.

A farlo, infatti, ci penserà Renzi. L’ex segretario che da poco più di un mese aveva rassegnato le dimissioni dalla carica, decide di dettare la linea in diretta tv da Fabio Fazio, in una qualsiasi domenica di primavera (era il 29 aprile). “Pericolo” scampato per la base di M5S e Pd: l’esecutivo con i nemici di sempre non si fa. Eppure, chi lo avrebbe mai detto che il miglior salvagente per un partito che sta naufragando sarebbe arrivato proprio dagli acerrimi nemici nel momento meno atteso.

Verso il “contratto di governo”

Movimento 5 Stelle e Lega al tavolo per stilare il “contratto di governo”

Dopo lo spavento, neanche troppo grande, torna in campo Matteo Salvini. Movimento 5 Stelle e Lega riprendono il dialogo: l’unico forno acceso ormai è quello che porta al Carroccio. Tutto, ovviamente, senza Berlusconi che nel frattempo ha dichiarato che i grillini “nella mia azienda pulirebbero i cessi”.

Il discorso si riduce ormai ai soli Salvini e Di Maio. Il 14 maggio 2018 viene diffusa la prima bozza del cosiddetto “contratto di governo”, che per alcuni è una locuzione nuova usata per nascondere il più classico “inciucio”, termine accostato nel recente passato al cosiddetto “patto del Nazareno” tra Pd e Forza Italia.

Per Salvini e Di Maio, però, il contratto di governo è una cosa da prendere sul serio. I pentastellati, che lo presentano come l’unico leader del movimento, sottopongono il contratto alla ratifica degli attivisti del M5S iscritti alla piattaforma Rousseau. Il ristretto voto interno del 18 maggio non lascia dubbi: il 94% degli iscritti a Rousseau ha approvato il contratto di governo M5S-Lega.

Di Maio è più entusiasta che mai: “Se parte questo governo, inizia la Terza Repubblica”, annuncia al Quirinale dopo la consegna della bozza a Mattarella. La Seconda Repubblica, però, è dura a morire. Il 21 maggio partiti e capo dello Stato trovano convergenza sul nome di Giuseppe Conte premier, ma manca l’accordo sui ministri. In Europa e negli Stati Uniti i giornali iniziano a parlare di “primo governo populista in Occidente”; i tedeschi, in particolare, ci vanno giù pesante rispolverando termini come “scrocconi” e “parassiti” che fanno male anche al meno patriottico degli italiani. Intanto lo spread aumenta e Piazza Affari si sveglia ogni giorno in affanno. Salvini e Di Maio, in risposta a tutto questo, si impuntano sul nome del professor Paolo Savona, noto economista di fama mondiale e dalla grande esperienza, anche politica, che negli ultimi anni ha espresso chiaramente le sue posizioni anti-euro paragonando inoltre la Germania di oggi a quella nazista. È quanto di più incerto i mercati si possano aspettare: domenica 27 maggio Mattarella fa saltare il banco. Accetta tutta la lista dei ministri, tranne Savona all’Economia. Il governo Conte non si fa, la Terza Repubblica non nasce: mandato esplorativo in mano a un tecnico, Carlo Cottarelli, l’ex “mister spending review” e… apriti cielo.

Via con gli insulti a Mattarella, social scatenati, Meloni e Di Maio che chiedono l’impeachment. Il capo dello Stato vive due giorni da incubo, ma l’emergenza rientra quando il 29 maggio, in un comizio a Napoli, Di Maio ritira la minaccia dell’impeachment e riapre al dialogo col Quirinale. È l’ennesimo colpo di scena. Salvini, che si era detto “davvero arrabbiato” su Facebook, aumenta il numero di dirette soacil dal tetto della Camera. Di Maio, che poche ore prima aveva invitato tutti a comprare e sventolare il tricolore, trova di nuovo la forza di confrontarsi con Mattarella. Il nodo da sciogliere, ancora una volta, è rappresentato dal professor Paolo Savona che, dall’Economia, sarà spostato agli Affari Esteri ed entrerà comunque a far parte dell’esecutivo.

Il 31 maggio si sciolgono tutte le riserve. Carlo Cottarelli sale al Colle per rimettere il mandato e si congeda affermando che “un governo politico è la miglior soluzione possibile”, prima di scusarsi con i giornalisti per l’eccessivo silenzio dei giorni precedenti e di ricevere un applauso che nella sala stampa del Quirinale è un evento più unico che raro.

Alle 21.00 dello stesso giorno il professor Giuseppe Conte ritorna al Colle. Dopo un colloquio di oltre mezz’ora col capo dello Stato, il premier tecnico/politico del nascente governo giallo-verde annuncia la lista dei ministri definitiva: tra le altre cose, Salvini e Di Maio (rispettivamente ministro degli Interni e ministro del Lavoro) ricoprono anche i ruoli di vicepremier. Su 18 ministri, ci sono 5 donne: 8 dicasteri sono nelle mani del Movimento 5 Stelle, 7 in quelle della Lega, oltre alla presenza di Giorgetti nel ruolo di Sottosegretario.

È tutto pronto, pare. La Terza Repubblica, se vuole, può partire.

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