Il clan Sequino è una associazione di tipo mafioso, camorrista, attiva prevalentemente nella città di Napoli, nel rione Sanità e nelle zone limitrofe.
Clan Sequino: storia, origini, protagonisti
I fratelli Nicola e Salvatore Sequino, rispettivamente di 54 e 49 anni, originari di Giugliano, da piccoli si trasferirono nel Rione Sanità, parte popolare della città di Napoli. Cresciuti nel crimine, molto presto divennero affiliati del clan Misso, gruppo egemone della zona.
Il fratello maggiore Nicola Sequino sposò la nipote di Giulio Pirozzi, detto ‘O Giulio, braccio armato del boss Peppe Misso, conosciuto come ‘O Nasone.
Dimostrarono, con le loro azioni, coraggio e fedeltà alla famiglia Misso e riuscirono a guadagnarsi la fiducia e il rispetto per poter ricoprire ruoli di responsabilità all’interno dell’organizzazione.
I fratelli Nicola e Salvatore, quest’ultimo chiamato anche “Totore” Sequino, divennero i capozona del rione Sanità per conto dei fratelli Misso di Largo Donnaregina.
Nel 2006, iniziò una faida interna tra i Misso e il loro luogotenente Salvatore Torino detto ‘O Gassusaro e i Sequino non si schierarono con nessuno, ma tentarono solo di mediare, senza ottenere risultati.
La feroce guerra tra i clan sfuggì al controllo, ci furono numerosi agguati e diverse vittime, tra le quali anche innocenti ed estranee all’ambiente criminale.
Alla fine il conflitto venne interrotto dall’intervento della magistratura e delle Forze dell’Ordine, che attraverso diverse operazioni e maxi blitz misero le manette a molti capi e affiliati, sia della famiglia Misso che della famiglia Torino e a seguito di questi arresti anche i fratelli Sequino finirono in carcere, sulla scorta delle dichiarazioni di alcuni ras dei clan, che decisero di diventare collaboratori di giustizia.
Gomorra del Rione Sanità: Clan Sequino e Vastarella, da alleati a nemici capitali
Dopo la scarcerazione, Nicola e “Totore” Sequino fecero ritorno nel rione Sanità, ma trovarono uno scenario completamente diverso da quello lasciato.
A spartirsi la Sanità c’erano la famiglia Vastarella delle Fontanelle, la famiglia Mauro dei Miracoli, i Tolomelli, Pierino Esposito con i suoi figliastri, Ciro e Antonio Genidoni con i loro “Barbudos”, il clan Lo Russo di Miano e le “Paranze re creature” (bande dei bambini), quest’ultimi gruppi chiamati così perché composti da soggetti molto giovani, tra i 15 e i 25 anni.
In breve tempo, grazie alla loro influenza e al loro “carisma criminale”, i fratelli Sequino, rimodellando gli assetti del potere, si posizionarono, di nuovo, ai vertici del comando nel rione Sanità, ma in seguito a dei fatali eventi si creò una frattura tra il clan Sequino e il clan Vastarella.
L’esecuzione di “Sandokan”
Salvatore Esposito, detto “Totore”, o “Sandokan”, soggetto inizialmente appartenente al clan Lepre, lasciò il gruppo per allearsi con Totore Sequino con il quale divideva la metà dei proventi illeciti.
Totore Esposito iniziò a gestire i traffici e le attività nella zona del Cavone di piazza Dante e per riscuotere una tangente dai parcheggiatori abusivi nei pressi del teatro Bellini, zona sotto il controllo dei Lepre, in pratica “sconfinò” e quell’azione fu la causa della sua condanna a morte.
A fare dichiarazioni sul movente e i mandanti dell’omicidio di Salvatore Esposito, avvenuto il 3 agosto del 2016 in vico Nocelle a Materdei fu il collaboratore di giustizia Rosario De Stefano, uomo del rione Sanità legato anche al clan Lo Russo di Miano.
Nell’agguato rimasero uccisi il ras emergente Salvatore Esposito detto “Sandokan“, Ciro Marfè uomo dei Sequino e ferito Pasquale Amodio elemento ai vertici del clan Sequino.
Dopo l’agguato tutto cambiò nel rione Sanità, lo scenario criminale ebbe dei repentini mutamenti e si scatenò una feroce faida tra i Vastarella autori del “tradimento” e i Sequino i “traditi”.
L’agguato del vico Nocelle a Materdei, fu un episodio cardine, tanto che i fratelli Salvatore e Nicola Sequino giurarono vendetta nei confronti dei Vastarella e sebbene i boss Sequino fossero già in carcere, questi continuarono ad impartire ordini all’esterno tramite i colloqui.
Vittime innocenti
- Antonio Bottone, 20 anni, venne freddato con un colpo d’arma da fuoco alla testa, esploso da una pistola calibro 7×65, domenica 6 novembre 2016, mentre si trovava davanti ad una cornetteria dei Colli Aminei, a Napoli.
La vittima, colpita per errore, era completamente estranea agli ambienti criminali, aveva l’unica colpa di essere amico di Daniele Pandolfi, affiliato del clan Vastarella e reale obiettivo dell’agguato.
Inoltre, quando Antonio Bottone venne colpito a morte, seduto al suo fianco c’era un minorenne, 12 anni, che ne uscí fortunatamente illeso.
A premere il grilletto fu uno dei sicari del clan Sequino del rione Sanità, Enrico La Salvia, 36 anni.
Le estorsioni e le ordinanze cautelari
Il collaboratore di giustizia Pasquale Pandolfi, elemento di spicco del clan Vastarella, scampato due volte alla morte in due agguati perpetrati nei suoi confronti, raccontò ai magistrati della Dda di Napoli, alcuni retroscena dei clan del rione Sanità.
Spiegò come il clan Sequino imponeva il pizzo alle agenzie di scommesse del quartiere.
In molti casi gli affiliati effettuavano delle giocate a debito fino a 700 euro e se perdevano naturalmente non pagavano, se vincevano, invece, non solo incassavano la vincita ma non lasciavano in cassa neanche la parte della cifra giocata.
Inoltre, Pasquale Pandolfi descrisse agli inquirenti come l’organizzazione dei Sequino fosse molto capace da un punto di vista “militare”, ma un disastro in fatto di estorsioni e di riscossione delle tangenti.
I gestori delle attività commerciali si ribellavano e riuscivano a sottrarsi ai pagamenti del “pizzo”, forse perché sostenuti dai clan rivali, ma queste “opposizioni” costringevano i Sequino a ricorrere quasi sempre ad atti violenti nei confronti delle attività che prendevano di mira e dovevano fare azioni intimidatorie, talvolta spedizioni punitive intese come aggressioni fisiche, sino ad arrivare a vere e proprie “stese”, sparando alle “saracinesche” delle sale di scommesse, o mettendo esplosivi ai locali.
Pasquale Amodio affiliato del clan Sequino, addetto alla gestione delle scommesse on-line, realizzò anche un sito web clandestino di scommesse sulle partite di calcio e su altri eventi sportivi che veniva imposto alle varie agenzie di scommesse attive nel rione Sanità, insieme al pagamento mensile di 500 euro di “pizzo” richiesti a tutti.
Anche Giovanni Sequino, detto “Gianni Gianni”, figlio di Nicola Sequino, per un periodo ebbe in gestione un’agenzia di scommesse che, però, venne chiusa dagli Operatori dell’Arma dei Carabinieri nel corso di una inchiesta sul clan che portò in carcere 24 persone tra capi e affiliati dei Sequino, Vastarella e Savarese.
Vennero emesse ordinanze cautelari nei confronti di:
- Pasquale Amodio.
- Gennaro Passaretti detto “Genny ’o cecato”.
- Giovanni Sequino detto “Gianni Gianni”.
- Alexander Babalyan, detto ’O Polacco per le sue origini.
- Pasquale Cunzi, detto “Lino”.
- Ciro Esposito conosciuto anche come ’O Macall.
- Nunzio Giuliano.
- Enrico La Salvia detto “Zepechegno”.
- Salvatore Pellecchia, detto “Dudù”.
Alle imputazioni di estorsione, si aggiunsero anche detenzione e possesso abusivo di armi da fuoco, esplosivi, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, con le aggravanti di associazione di tipo mafioso e finalità e metodi mafiosi.
Gli arresti dei capi del clan Sequino e le nuove alleanze
A seguito di diverse operazioni e maxiblitz, i fratelli Sequino, insieme a diversi altri vertici dell’organizzazione vennero arrestati, ma questo non impedì ai boss di continuare a dare ordini dal carcere ai ras e agli uomini del gruppo rimasti ancora liberi e attivi sul territorio.
Nicola e Salvatore Sequino continuarono a gestire gli affari, ad organizzare stese ed esecuzioni e a dare direttive per stringere nuove alleanze, avvalendosi per un periodo delle “Paranze re creature” per alcune stese, utilizzando i propri killer e dei sicari professionisti messi a disposizione anche dai clan fiancheggiatori per esecuzioni strategiche e per eliminare i nemici capitali Vastarella e altri gruppi della concorrenza nel rione Sanità.
La coalizione con la “Paranza re creature” terminò quando il boss Salvatore Sequino si schierò con i Buonerba, quest’ultimi tra i responsabili dell’omicidio del baby boss Emanuele Sibillo, detto anche “ES17”, capo della “Paranza” e parente dei Sibillo.
Inoltre, i Sequino erano supportati dai Savarese e dopo essere usciti vittoriosi dalla guerra per il controllo degli affari illeciti contro il clan Vastarella, decapitato da arresti e dal pentimento di alcuni suoi affiliati, divenuti collaboratori di giustizia, iniziarono a tessere alleanze strategiche nel centro storico di Napoli e nella zona dei Quartieri Spagnoli.
Il clan Sequino si avvicinò anche al potente clan Mazzarella nella guerra contro i Saltalamacchia-Ricci-Elia, che controllavano la zona che andava dal Pallonetto al Cavone, passando per i Quartieri Spagnoli, e contro alcune famiglie di Forcella, legate ai Rinaldi di San Giovanni a Teduccio, il quale boss venne, però, arrestato.
In alleanza con i Savarese e il clan Mauro, furono per anni in lotta con i Vastarella e i Tolomelli, ma dopo gli arresti di tutti i vertici del clan Vastarella, alla fine i Sequino e gruppi sostenitori, ripresero il controllo su tutto il rione Sanità.
I contatti con la ‘ndrangheta: i rifornimenti di cocaina e armi
Salvatore Pellecchia, 22 anni, figlio di Silvestro Pellecchia, luogotenente del clan e cognato dei boss Sequino, venne ferito alle gambe in quello che gli investigatori ritennero essere un avvertimento di camorra.
Il figlio di Silvestro Pellecchia, raccontò di essere stato avvicinato da due persone in piazza Municipio durante un tentativo di rapina del suo orologio, versione che non trovò riscontro e che non venne creduta dagli inquirenti durante le indagini.
Molto probabilmente, Salvatore Pellecchia, venne ferito durante un agguato perpetrato nei suoi confronti, un attentato “avvertimento” dal quale ne uscì solo ferito.
A seguito di questo episodio iniziò tutta un’attività investigativa da parte delle Autorità, che fecero controlli e ispezioni nelle abitazioni e nei covi dell’organizzazione.
Gli Operatori delle Interforze dello Stato trovarono e sequestrarono 630 grammi di “amnesia” (una qualità di marjuana) e un vero e proprio arsenale, costituito da un kalashnikov, cinque pistole, una mitragliatrice, tre fucili, un cospicuo munizionamento, un distintivo falso di riconoscimento della Guardia di Finanza e circa 1,3 chili di cocaina.
Inoltre, durante le operazioni delle Forze Armate vennero arrestate in flagranza di reato quattro persone.
Al termine delle indagini, gli investigatori riuscirono a provare che, in alcuni casi, l’approvvigionamento delle sostanze stupefacenti e delle armi avveniva in Calabria, direttamente dal comune di San Luca, grazie a contatti diretti tra esponenti del clan Sequino e una ‘ndrina locale.
Il clan Sequino oggi
Secondo le relazioni della Dia, nonostante i boss storici del clan Sequino siano in carcere, grazie a diverse alleanze che permangono come quella con i clan Savarese e Mauro e a seguito di riassetti interni al gruppo, le zone nelle quali opera sono il Rione Sanità, ma anche zone limitrofe e diversi altri quartieri della città di Napoli.
Ai vertici dell’organizzazione ci sono componenti della famiglia della “nuova” generazione, fedelissimi storici del gruppo e nuove leve, ma da quanto emerge dalle indagini della Dda di Napoli, un notevole potere decisionale è ancora esercitato dai boss Nicola e Salvatore Sequino, anche se sulla scorta delle prove ottenute dalle intercettazioni effettuate in carcere e da diverse altre indagini, sono stati presi opportuni provvedimenti e applicate misure di prevenzione e contenimento, per evitare che i fratelli Sequino e accoliti riescano ad effettuare qualsiasi tipo di comunicazione dubbia, o ambigua all’esterno.
Gli affari illeciti del clan rimangono improntati sul traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e di armi.
I risultati delle indagini portano la Dda a concludere che, oggi, il clan Sequino è presente sul territorio ed è attivo.