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San Carlo Borromeo: storia, la festa, nascita, morte e statua del celebre arcivescovo milanese

Carlo Borromeo (Arona, 2 ottobre 1538 – Milano, 3 novembre 1584) è stato un cardinale e arcivescovo cattolico italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica, con ricorrenza in data 4 novembre.

San Carlo Borromeo, tutti i dettagli sul celebre arcivescovo di Milano

È, dopo S. Ambrogio, il più celebre e popolare arcivescovo di Milano. Fiorito in un’epoca della massima importanza storica, egli è l’uomo di governo che, per la sua attività e le sue eccezionali virtù e qualità, ha lasciato un’orma incancellabile non solamente nell’ambito della chiesa milanese, ma in tutta la cristianità.

Carlo nacque secondo figlio del conte Giberto Borromeo e di Margherita de’ Medici (sorella, questa, di quel Giovanni Angelo che fu poi Pio IV) nella Rocca di Arona il 2 ottobre del 1538. Religiosamente educato a Milano dal parroco di S. Ambrogio, ricevette dodicenne l’abito clericale e la tonsura. A sedici anni lo troviamo inscritto all’università di Pavia per i rami della teologia e delle leggi e il 6 dicembre 1559 egli conseguì la laurea in diritto canonico e civile.

Gli inizi

San Carlo Borromeo

Pochi giorni dopo, il 25 dicembre, è assunto al pontificato lo zio Pio IV, e questo fatto segna l’ingresso di Carlo nelle più alte carriere: il pontefice zio chiamò a sé a Roma, il 3 gennaio, il giovane nipote e gli assegnò senz’altro le cariche più importanti.

Il 31 gennaio 1560 Carlo fu eletto cardinale diacono, e l’8 febbraio dello stesso anno arcivescovo di Milano, con l’obbligo di rimanere in Roma e di governare la lontana diocesi per mezzo di vicari.

Nello stesso tempo Carlo fu nominato protonotario apostolico, referendario, governatore delle legazioni pontificie di Bologna, della Romagna e delle Marche d’Ancona; diventò quindi protettore della Corona del Portogallo, dei Paesi Bassi, dei Cantoni cattolici della Svizzera, dell’ordine gerosolimitano di Malta e di parecchi ordini religiosi, come i francescani e i carmelitani.

Fu altresì nominato presidente della Consulta, dicastero che Paolo IV aveva istituito per provvedere a tutta l’amministrazione civile degli stati pontifici; toccò pure a lui l’onore d’aprire nella storia del governo della Chiesa la serie dei segretari di stato.

Un così vasto favore concesso dal pontefice a un nipote tanto giovane non poteva non destare le critiche di molti, specialmente nella curia romana. Ma presto apparve che la scelta era stata felice.

Il Concilio di Trento e la lunga carriera ecclesiastica

Concilio di Trento

Da questo momento Carlo appartiene alla grande storia, e la sua vita si può dividere in due periodi che potremmo chiamare, l’uno romano-tridentino, l’altro milanese. Il primo, breve di anni, ma densissimo d’azione, va dal 1560 al 1565; il secondo si protrae per 19 anni, cioè fino al 1584, anno della morte di Carlo.

Fosco era il quadro della cristianità in quell’epoca. Il concilio di Trento riconvocato nel 1550, veniva subito di nuovo interrotto per le sovrastanti minacce di Maurizio di Sassonia. In Germania il cattolicismo era fieramente avversato dall’idea luterana, che si radicava sempre più profondamente nelle coscienze.

Nella Polonia molte fazioni si agitavano, e a por fine alle diverse tendenze confessionali era stato radunato un concilio nel 1555. Accesissima era la lotta religiosa in Francia, specialmente per l’agitarsi del vivace nucleo dei protestanti; disastrose le condizioni dei cattolici in Inghilterra, dove Elisabetta, salita sul trono nel 1558, aveva compiuto la separazione della chiesa anglicana da Roma. Meno gravi, ma non liete, le condizioni generali dell’Italia e della Spagna.

D’altra parte, se l’intrapreso concilio aveva già portato qualche rimedio, la sua doppia interruzione aveva dissipato quei germi di orientamento cattolico, che i primi Padri là radunati avevano gettato nel terreno. Il cardinale Borromeo concepisce pressoché da solo il piano della ripresa del concilio, in mezzo a difficoltà grandissime.

Nonostante l’avversione di molti, anche cattolici, Carlo indusse il pontefice a riconvocare in Trento la grande assemblea che fu riaperta il 18 gennaio del 1562. Carlo intanto, già orfano dei genitori, nel 1562 aveva perduto anche il fratello Federico, unico sostegno del casato; per la qual cosa era stato consigliato dallo stesso pontefice a formarsi una famiglia; rifiutò decisamente, anzi, ricevendo pochi giorni dopo quella morte, dal card. Cesi, gli ordini ecclesiastici, si dava tutto all’esecuzione di ciò che avrebbe avuto rapporto col concilio.

Egli ne aveva preparato la buona ripresa col far riconoscere dal papa l’imperatore Ferdinando I; aveva fissato, inoltre, d’accordo col pontefice, tutto il programma: la riforma del clero e degli ordini religiosi, i rapporti della Chiesa con gli Stati, le costituzioni dogmatiche e disciplinari, la disciplina liturgica, l’ordinamento matrimoniale, il generale miglioramento morale e religioso del popolo. Il B. impartiva le istruzioni ai legati pontifici presso il concilio che sorvegliava in ogni atto e decisione (è famosa una frase del Sarpi a questo proposito), e tanto fece che, con la XXV seduta, il concilio poté chiudersi felicemente il 3 dicembre 1563.

Terminate le assise tridentine, Carlo, chiamato subito fra i membri della congregazione concistoriale per l’esecuzione dei deliberati, ebbe gran parte nella compilazione del Catechismus Romanus ad parochos, deciso dal concilio e pronto in redazione definitiva nel 1564, che doveva essere il testo unico ufficiale per l’insegnamento della religione al popolo.

Nel frattempo il Borromeo non trascurò la sua diocesi lontana, da cui gli giungevano giornalmente notizie sempre più dolorose. L’assenza dell’arcivescovo aggravata dalle assenze degli arcivescovi antecessori, aveva prodotto uno scadimento generale nella diocesi.

Il Borromeo decise allora di chiudere oramai il suo periodo romano, per tornare a Milano a dirigerne personalmente l’amministrazione ecclesiastica. Da principio vi aveva mandato come suo vicario l’agostiniano Gerolamo Ferragata; nel 1564 vi manda l’eccellente veronese mons. Nicola Ormaneto.

La morte dello zio e il lungo percorso milanese

San Carlo Borromeo

A costui era affidata la mansione di preparare la venuta del cardinale a Milano, la quale in realtà avvenne il 23 settembre del 1565, dopo un suo viaggio attraverso l’Italia in qualità di legato a latere.

Aggravatosi per malattia lo zio pontefice, il Borromeo fece subito ritorno a Roma per assisterlo fino alla morte, avvenuta il 10 dicembre 1565.

Nel conclave seguito il B. fece trionfare il nome del Ghislieri (Pio V) e riprese quindi la via di Milano, arrivandovi il 15 aprile 1566; ivi rimase definitivamente come pastore, salvo qualche fugace parentesi romana, come per il conclave donde uscì Gregorio XIII, e in occasione dell’affare Ayamonte.

L’opera grandiosa del B. a Milano si può riassumere in uno sforzo non mai interrotto per la difesa dell’idea religiosa e specialmente per il miglioramento dei costumi, sia del clero sia del popolo, in modo particolare eseguendo e facendo eseguire scrupolosamente le leggi del concilio di Trento; di guisa che il B. si può considerare il campione della Controriforma.

Lo zelo del B. non ebbe limiti: volle dapprima riformato l’uno e l’altro clero; servendosi dell’opera dei nuovi ordini di chierici regolari, quali i barnabiti, i gesuiti, i teatini, ecc. riordinò il culto secondo norme severe, erigendo numerose chiese fin sulle rupi alpestri, e fondando o rifacendo santuarî celebri, come quello di Rho, di Cannobio, del S. Monte di Varallo, e ponendo la prima pietra di S. Fedele in Milano; qui fondò nel 1564 il seminario; altri seminarî minori fondò nella campagna, come a Inverigo nel 1582, a Somasca nel 1576, e a Celana nel 1579. Estese la propria cura ai giovani ecclesiastici della Svizzera, istituendo per essi nel 1579 un Collegio elvetico.

Nello stesso anno aveva anche ottenuto da Gregorio XIII d’istituire una nunziatura per la Svizzera. Aprì scuole e collegi, tra cui celebri il collegio di Brera affidato ai gesuiti, il collegio di Pavia, il collegio dei Nobili in Milano e quello pontificio d’Ascona sul Lago Maggiore; aprì anche case e ricoveri d’ogni sorta, tra cui in Milano il ricovero di S. Maria Maddalena, detto il Deposito, per le donne di malavita. Fondò l’istituto delle Scuole della dottrina cristiana, e diede principio alle scuole elementari, la cui tenuta rese obbligatoria ai parroci. Eresse pure le confraternite della Penitenza, e quelle del Sacramento tuttora fiorenti.

Volle inoltre visitare tutta la diocesi, recandosi personalmente in circa mille parrocchie, non badando né a difficoltà di viaggio né a fatiche: il fatto della visita così generalizzata è una delle grandi lodi dell’episcopato del B., il quale visitò fin due volte ogni singola rupe delle Tre Valli Ambrosiane della Svizzera. Radunò durante il suo episcopato 11 sinodi diocesani (il primo presieduto dall’Ormaneto nell’agosto precedente l’ingresso solenne a Milano; e l’ultimo dal B. stesso nel 1584, pochi mesi prima della sua morte); che se si aggiungono anche i 6 concilî provinciali da lui tenuti negli anni 1565, ’69, ’73, ’76, ’79 e ’82, si vede quale somma di lavoro egli abbia compiuto, non paragonabile forse a quella di nessun altro episcopato.

San Carlo Borromeo in difesa della fisionomia milanese

Il Borromeo protesse e difese la fisionomia milanese attraverso l’antico rito liturgico della chiesa ambrosiana, pur non riuscendo, per la tenacia degli antichi usi locali, a introdurre il rito in taluni luoghi nel cuore stesso della diocesi (Monza). Con la questione del rito va pure connessa l’edizione del Breviario nel 1582, per la quale, come per il Messale, egli insistette nella conservazione della tradizione liturgica ambrosiana. Il B. è altresì il fondatore della Congregazione degli oblati, chiamata anche Congregazione dei Ss. Ambrogio e Carlo, eretta nella chiesa di S. Sepolcro in Milano nel 1578; le regole degli oblati, redatte da S. Carlo stesso, furono loro definitivamente consegnate il 13 settembre 1581.

Nel periodo milanese di S. Carlo non va dimenticata l’eroica assistenza agli appestati, quando il flagello colpì dopo la carestia la metropoli e la campagna lombarda nel 1576-1577 (rifacimenti in Milano del tempio votivo di S. Sebastiano, apertura della chiesa del celebre lazzaretto). Allora divise tra i poveri il prezzo di un intero principato, quello d’Oria, venduto per 40 mila ducati.

È naturale che ad un uomo siffatto si opponessero ostinate resistenze d’ogni sorta. Si ricorda l’opposizione fatta dai canonici della Scala che rifiutarono all’arcivescovo, il 24 agosto 1569, l’ingresso alla loro basilica, né meno noto è il contrasto di lui per i diritti della Chiesa con i rappresentanti del potere laico (questione d’Ayamonte, caso Requesens), contrasto finito poi col trionfo pacifico del santo; famosa è anche l’archibugiata tirata il 26 ottobre 1569 al santo, mentre pregava nella propria cappella, dal prete Gerolamo Donato, detto il Farina, la cui mano era stata armata da quei tracotanti Umiliati, il cui ordine stava per essere abolito dal B. (come avvenne con bolla papale del 7 febbraio 1571).

San Carlo Borromeo nel mondo Cattolico

Il Borromeo fu di carattere mite, ma energico. Taluni l’incolparono di precipitazione nei suoi consigli e perfino di ferocia nei suoi atti, rimproverandogli tra l’altro il cosiddetto processo intentato alle streghe: processo che pare a noi moderni di una rigorosità senza confine. Ma, a portare un retto giudizio sulla persona di lui, bisogna inquadrarla nell’epoca in cui visse.

Egli fu l’uomo veramente di tutti e prodigò il suo patrimonio ai poveri, ai quali poi lasciò in eredità il suo asse, legandolo all’Ospedale Maggiore di Milano. Fu largo caldeggiatore dei Monti di Pietà e del patrocinio gratuito ai poveri; riformò il pio Istituto di S. Corona per malati poveri; fondò il consorzio dei disciplini per il supremo conforto ai condannati a morte.

Né è a credere alla poca cultura di S. Carlo. Il Borromeo restaurò lo Studio di Bologna, protesse dotti ed artisti. Del rimanente, egli fu discepolo del dotto cardinale Sirleto e studiò S. Tommaso senza trascurare i filosofi antichi, specialmente Seneca, Epitteto e Cicerone, come ne fa fede la sua ricca biblioteca, di cui l’Ambrosiana possiede il catalogo manoscritto; e fra i suoi segretarî ebbe Giovanni Botero. Giovane in Roma, nel periodo d’intensa preparazione del concilio tridentino egli radunava la sera dopo le fatiche della giornata i più dotti, anche laici, a discussioni scientifiche in latino nel palazzo Vaticano, ed era il primo a tener alta l’erudita serata con quelle animate conversazioni che furono poi pubblicate dal Sassi a Milano nel 1748, sotto il titolo di Noctes Vaticanae seu sermones habiti in Academia Romae in Palatio Vaticano instituta.

A quelle conversazioni partecipavano tra gli altri il Sirleto, Francesco Alciati, e il Boncompagni che divenne Gregorio XIII. Si sa anche che egli prediligeva la musica, essendo amicissimo del Palestrina. Ma la sua serietà negli studî è attestata dalle sue Instructiones, dai suoi Sermones, dalle numerose lettere e specie dai discorsi nei concilî e nei sinodi. Le opere di S. Carlo furono stampate complete in 5 volumi in Milano nel 1747, pure da G. A. Sassi, prefetto dell’Ambrosiana, e, in seconda edizione, ad Augusta nel 1758 (voll. 2 in-folio).

La morte

Carlo morì in Milano, la sera del sabato 3 novembre 1584, con gli occhi fissi su un Cristo orante che si conserva all’Ambrosiana. Fu canonizzato il 1° novembre 1610, essendo arcivescovo di Milano suo cugino il cardinale Federico Borromeo, il quale fece costruire nel 1624 il famoso colosso di S. Carlo sulla sponda del basso Verbano. La sua festa ricorre il 4 novembre.

Il Colosso di San Bartolomeo (detto anche Sancarlone)

Il Colosso di San Carlo Borromeo (detto il Sancarlone o, nel dialetto locale al Sancarlòn), è una statua alta oltre 30 metri situata ad Arona (NO) nella frazione di San Carlo, sul Sacro Monte di San Carlo.

Su volontà del cugino Federico, arcivescovo di Milano e suo successore, iniziarono nel 1624 i lavori per la costruzione di un Sacro Monte che ne celebrasse la memoria.

Federico Borromeo, insieme all’oblato Marco Aurelio Grattarola, supervisore dei lavori del Sacro Monte, volle anche costruire un’enorme statua visibile dal lago Maggiore.

Il disegno fu di Giovanni Battista Crespi, detto “il Cerano”, e la statua fu realizzata con lastre di rame battute a martello e riunite utilizzando chiodi e tiranti in ferro. Gli scultori che la realizzarono furono Siro Zanella di Pavia e Bernardo Falconi di Bissone.

San Carlo è rappresentato in piedi in abito semplice con rocchetto e mozzetta, con nella mano sinistra un libro e con il braccio destro nell’atto di impartire una benedizione.

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