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Racconti di una terra antica, l’Irpinia e la sua lingua

Racconti di una terra antica

Un viaggio tra il linguaggio antico dell’Irpinia, dove la tradizione attraversa la storia di un popolo nelle sfaccettature dei suoi dialetti

Il racconto in lingua : Lo Valognese chi volia accattà lo cavaddo

No volognese, che non saccio come si chiamava, s’era puosto ncapo re s’accattà no cavallo e como arrivavo lo tiempo re la fera re Foggia s’abbiavo pe se l’accattà. Cammenava pe tutta la fera ma no fo possibile re trovà no cavallo chi li capia a l’uocchi; quanta nge n’erano li parievano tutti scuortichi brutti. E passea n’ora, paassea doe ore e passea tre ore, fu conosciuto ca era pacchiano, tant’è la vero chi fo fatt contente e gabbato ra na femmena; è come po?

Miezza alla fera ng’era na femmena, chi venneia cocozze a cantaro e quanno la vagnolese lo verette ge n’era romasta ntutto una, chi potia esse na cinquantina re rotola, como li parette na cosa nova a berè na cosa tonna tanto rossa, addommannavo a la femmena che era quera cosa chi vennea. La femmena se n’addonavo ca quiro era no scemo e pe lo coglionà li ricette:

  • “Quisto è uovo ra iomenta, che te lo volissi accattà?” –
  • “Si”-

recette o vasgnolese,

  • ma io non voglio spenne chiù re sissanta rocati –
  • Va buono – risponnette la femmena
  • io aggio vennuto l’ove paragge nfino a novanta rocati, mo pecchè e l’urtima e me ne voglio ire, te lo revo pe sissanta, com’hai ritt tu.-

Lo cazzone re vagnolese li contavo li sissanta rocati e l’addommannavo come l’avia fa scoccola , essa li recette che lo mettesse rinto terra e, a capo re vintuno iorni, trovava lo cavalluzzo scaccolato. Tutto preciato, lo povero cazzone si mettette l’uovo rint’a no sacco e s’abbiavo pe lo paese e pecchè la cancaro della cocozza pesava, armeno ogni mezz’ora s’avia ra reposa e fa tanto la tardanza che ra Foggia allo Paese nge mettette quasi quattro iorni. La mogliera, a berè che lo marito no benia, lo iette assi nnanti nfno vicino Torella, a quiro punto trovavo lo marito tutto stanco e surato com’a puorco, l’addommanavo re la tardanza che portava e lo marito li ricette:

  • Mogliera mia, aggio fatto no buono negozio, aggio avuto n’uovo re iamenta pe sessanta rocati. Mo co quist’avo facimo l’arrazza, mo so doj ore, passamo re notte pe dinto o Paese, giacchè nisciuno ne vere, ni trovamo chi ni face iorno prima r’arriva a Lacino, addò lo mittimo rinto terra senza chi nisciuno ne vere,e doppo vintirui iorni ne iamo a piglià lo cavaduzzo, chi lo trovamo iusto scoccolato. La mogliere, chiu pacchiana re lo marito abboccavo e crerette quero che lo marito l’avia ritto, si mettete la cocozza ncapo essa e co l’irea re ine tanno stesso a rebbrecà l’uovo re iomenta a Lacino. Quanno stevino re fonisce l’appizzacata re la montagna, era fatto iorno, quanno sciculiavano la povere femmena chi portava la cocozza ncapo e la coccozza, fatto chi avette na recina re scazzitrommole pe la tempa na mpieri, si spappavo e trovannosi ra sotta a foine na lepre, riciero:
  • Lo vi come fuie, lo cavaduzzo, lo vi !-

Tutti collerici se ne irono allo Paese pe la grossa perdeta chi avievano fatta.

 

(tratto da Li Canti Viecchi – di Modestino della Sala)

 

Il racconto in italiano : Il Bolognese che voleva comprare il cavallo

Un bolognese, che non so come si chiamava, si era messo in mente di voler acquistare un cavallo e, come arrivò il tempo della fiera di Foggia, si mise in via per comprarlo. Girò tutta la fiera, ma no gli fu possibile trovare un cavallo che gli saltasse all’occhio, quanti ce ne erano gli sembravano tutti brutti ronzini. E passeggia un ora, e passeggia due ore, passeggia tre ore, lo riconobbero per cafone, tanto è vero che fu fatto contento e gabbato da una donna. Come?

In mezzo alla fiera c’era una donna che vendeva zucche in vaso, e quando il bolognese la vide, ce n’era rimasta in tutto una, che poteva essere circa di 50 rotoli, poiché gli sembrò straordinaria a vedere una cosa tonda tanto grande, chiese alla donna cosa fosse quello che vendeva. La donna si accorse che quello era uno scemo e per burlarlo gli disse:

  • Questo è un uovo di giumenta, lo vuoi forse comprare?-
  • – disse il bolognese – ma io non voglio spendere più di sessanta ducati.-
  • Va bene – disse la donna . Ho venduto uova simili a questa anche per novanta ducati, ora, perché è l’ultimo e me ne voglio andare, te lo do per sessanta ducati, come hai detto tu. –

Lo sciocco bolognese, contò i sessanta ducati, e le chiese come avrebbe dovuto fare per farlo schiudere; la donna gli disse che lo avrebbe dovuto mettere nella terra,e, a capo di ventuno giorni, avrebbe trovato il cavallino schiuso. Tutto contento, il povero sciocco si mise l’uovo nel sacco e si avviò per il paese, e , perché la maledetta zucca pesava, ogni mezz’ora si doveva riposare e fu tanto il ritardo che da Foggia al Paese ci mise quattro giorni; la moglie, a vedere che il marito non tornava, gli andò incontro fin verso Torella e a quel punto trovò il marito stanco e sudato come un porco, gli chiese del ritardo  che aveva ed il marito disse:

  • Moglie mia, ho fatto un buono acquisto, ho avuto un uovo di giumenta per sessanta ducati. Ora con quest’uovo facciamo allevamento: ora sono le due di notte, passiamo di notte attraverso il Paese in modo che nessuno ci vede. Ci troviamo che fa giorno prima di arrivare al Laceno, dove lo mettiamo sotto terra, senza che nessuno ci vede e dopo ventuno giorni ci andiamo a prendere il cavallino e lo troviamo proprio schiuso. La moglie, più sciocca, del marito, abboccò e credette a quello che il marito le diceva, si mise la zucca sul capo con l’idea di andare immediatamente a duplicare l’uovo di giumenta al Laceno.  Quando stavano per terminare la salita della montagna fu giorno, allora la povera donna che portava la zucca sul capo scivolò e la zucca si fece in mille pezzi. Trovandosi a fuggire da sotto una lepre, dissero :
  • -Vedi come scappa il cavallino, vedi! –

Poi, tutti arrabbiati per la grossa perdita, che avevano ricevuto, se ne tornarono al Paese