Almanacco

La Rivoluzione rumena del 1989, la storia della caduta dei Ceaușescu

La Rivoluzione rumena del 1989 fu una successione di eventi e di proteste che, sul finire del 1989, portarono al crollo, in Romania, del regime comunista guidato del dittatore Nicolae Ceaușescu. Le proteste, sempre più violente, raggiunsero il culmine con il processo e l’esecuzione di Ceaușescu e della moglie Elena.

La caduta dei Ceaușescu, rivoluzione rumena o cambio di regime?

Michail Sergeevič Gorbačëv salì al potere in Unione Sovietica nel 1985 con l’intento di portare «Glasnost’ e Perestroika riforma» alle parole susseguirono i fatti, il ritiro dall’Afghanistan, l’accordo con Regan per il bando delle armi nucleari in Europa e l’inizio con un processo di democratizzazione nel Paese, nonché negli stati satelliti.

Evidentemente l’opera riformatrice di Gorbačëv arrivò fuori tempo massimo e nel 1989 iniziò una reazione a catena che portò in soli due anni la caduta di ben nove regimi comunisti e – tra i principali avvenimenti di quel concitato anno – vi fu la caduta della Repubblica Socialista della Romania, ovvero il cosiddetto socialismo scientifico di Nicolae ed Elena Ceaușescu.

A gennaio il sindacato Solidarność di Polonia ottiene uno statuto speciale e per la prima volta (all’interno del blocco orientale) viene organizzata un’opposizione al partito. In Ungheria a Marzo si tengono le elezioni e per la prima volta possono partecipare anche candidati non comunisti, in seguito il regime perde e va all’opposizione, inoltre, a maggio il ministro ungherese e quello austriaco s’incontrano per tagliare insieme simbolicamente il filo spinato della cortina di ferro. In agosto, una catena umana formata da ben 2 milioni di persone abbraccia i paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania chiedono l’indipendenza e in breve l’otterranno. A fine ottobre 250 mila persone, a piazza San Venceslao, Alexander Dubček e Václav Havel, la Ceco-Slovacchia è libera e poi arriva il 9 novembre… Quel pomeriggio il ministro della DDR (Deutsche Demokratische Republik) annuncia in una conferenza stampa che i cittadini della DDR potranno viaggiare in altri paesi senza previa autorizzazione, “quando entrerà in vigore?” chiedono in giornalisti “immagino immediatamente” risponde il ministro, quella stessa sera i berlinesi abbattono un muro che aveva diviso per 28 anni la loro città.

Tutto questo spaventa Nicolae Ceaușescu, il dittatore rumeno del “socialismo scientifico” ormai vecchio e logorato da tutti questi anni di governo. Egli, supportato dalla sua Elena, invoca l’intervento del “Patto di Varsavia” per ristabilire ordine tra i paesi fratelli. Dopo la caduta del muro, il Capo di Stato maggiore di Mosca gli fa sapere che ormai la dottrina dottrina Brežnev, quella degli interventi militari, è stata sostituita con la dottrina “my way”  così chiamata per via della canzone di Frank Sinatra My Way (“A modo mio”) ovvero “ognuno per la sua strada”… A Natale Nicolae Ceaușescu non sa ancora che la sua è una strada senza uscita.

La storia

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«È il giorno di Natale del 1989, per un quarto di secolo la Romania è vissuta sotto la morsa di ferro di un oppressivo regime comunista. Nelle ultime settimane, il Paese ha registrato una violenta ondata di dissenzi contro il dittatore Nicolae Ceaușescu. Come molti altri rumeni che hanno vissuto sotto il regime comunista, il capitano Ionel Boeru (elite del reggimento paracadutisti) non ha mai celebrato il Natale, a Bucarest la moglie di Boeru non vedeva l’ora di vedere suo marito, ma il Paese sembra sull’orlo di una guerra civile. Boeru vorrebbe essere con la sua famiglia, ma dato che tutto il personale militare è fermo in attesa di ordini, non gli è nemmeno possibile contattarla».

«Per tre giorni, feroci scontri hanno distrutto numerose città e sembra che Ceaușescu e sua mogli Elena, abbiano lasciato la Capitale, Bucarest. Quello che Boeru non sa, è che oggi il suo destino sarà totalmente legato a quello del Presidente. In un sobborgo di Bucarest, il diretto televisivo George Militaru solleva il morale alla propria squadra portando una colazione inusuale, caffè appena rubato allo spaccio del partito comunista, la stazione era sempre stata usata dal regime per diffondere la sua propaganda. Dall’inizio delle agitazioni, il nuovo servizio ha dichiarato che le rivolte sono opere di agitatori stranieri e Militaru non ha scelta, deve riportare gli eventi in questo modo. La stazione, dunque, è un probabile bersaglio e Militaru non sa quanto a lungo possano resistere, ma svolge il suo lavoro come d’abitudine».

«Contrariamente alle voci, i Ceaușescu non hanno lasciato la Romania, si nascondono in un rifugio militare a 50 km da Bucarest. Non è ben chiaro se i due coniugi sono li in arresto o per proteggersi e per il terzo giorno consecutivo rifiutano le razioni militari che vengono loro offerte, Elena è preoccupata per la pressione fisica e psicologica che gli eventi recenti hanno causato al marito. Nicolae soffre di diabete ed ha problemi di prostata, ha continuamente bisogno di andare in bagno, il loro stato contrasta con l’agiatezza a cui erano abituati negli ultimi 24 anni. Si dice che i Ceaușescu avevano conti miliardiari in Svizzera e possedevano palazzi reali e ville di lusso in tutto il Paese che avevano fatto decorare come la reggia di Versailles e nella maggior parte di esse non avevano nemmeno trascorso una notte. In quel frangente stanno per pagare il prezzo della loro avidità e della loro vanità».

«Con tutta la Romania nel caos, il capitano Boeru non ha la minima idea di quali possono essere gli incarichi del giorno e un ufficiale compare alla mensa. Chiede otto volontari per una missione speciale, dice loro che questa missione sarà per le loro famiglie e per il loro futuro… Boeru si sente in dovere di accettare. Nella caserma di Targoviste, i Ceaușescu vennero portati via dalla loro stanza, la notte prima la caserma era stata attaccata e la presenza dei Ceaușescu aveva reso le guardie piuttosto nervose. Il Presidente e la moglie vennero nascosti in un mezzo blindato per garantire la loro sicurezza, ma loro sono sicuri che otterranno di nuovo la libertà. Nicolae ed Elena hanno sempre creduto di essere invincibili, hanno lavorato duramente per creare attorno a sé il guru della loro personalità, per ottenere il rispetto del suo Paese, Nicolae si era auto-conferito il titolo di “Genio dei Carpazzi” e “Grande Condottiero”, mentre la semi-analfabeta Elena era stata insignita del titolo di “Grande Scienziata”, ingegnere ed accademica. Per contro i rumeni sono allo stremo e l’economia è sull’orlo del collasso, la gente è affata e la polizia segreta, la “Securitate”, semina un clima di terrore».

«La scintilla scocca quando, nella piccola cittadina di provincia di Timișoara, ha luogo una manifestazione in difesa dei diritti umani. L’esercito e la “Securitate” aprono il fuoco sulla gente inerme. “La “Securitate” ci ha sparato mentre stavamo tornando a casa” – dichiara una vittima dell’epoca. Sotto il comando dell’austero generale, Victor Atanasie Stănculescu, a Timișoara le forze governative causano 90 morti, 2 giorni dopo l’inizio delle proteste, il generale ordina la fucilazione di coloro che risultano coinvolti nella manifestazione, come deputato del ministero della difesa, Stănculescu, ha guadagnato la fiducia dei Ceaușescu e lo stesso Nicolae aveva chiesto al generale di prendere il controllo della situazione a Timișoara, sapendo che l’avrebbe fatto con efficienza e ferocia. Ma ciò che adesso non può essere fatto è fermare le voci del genocidio che nascono come conseguenza del massacro e che si diffondono incontrollabilmente in tutta la Romania».

La stampa mondiale diede ampio spazio alla notizia del massacro di Timișoara, per loro sembrava tutto chiaro: il regime messo all’angolo aveva risposto rabbiosamente contro l’incalzante richiesta di democrazia e libertà e, sulle persone inermi aveva scatenato tutta la ferocia di cui era capace. In quel giorno, il giornalista Paolo Rumiz era proprio lì a Timișoara e a distanza di molti anni racconta oggi una realtà molto diversa dalla prima versione ufficiale dei fatti: «Arrivai a Timișoara in una situazione in tensione, paradossale, la gente non sapeva dove stava il nemico, che cosa stava facendo, qualcuno sparava sui tetti e poi, dopo una grande manifestazione – dopo che ormai, il secondo giorno, il terzo giorno, erano arrivati i giornalisti in quantità sufficiente – qualcuno (ora sappiamo chi) aveva cominciato a cercarci perchè girava voce che alla periferia di Timișoara avevano trovato una trentina di corpi con segni evidenti di tortura».

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«Queste foto impressionanti, di queste bocche aperte, storte, gli occhi semi-aperti sotto la pioggia semi-coperti di terra fecero il giro del mondo, a colori e in bianco e nero, furono descritte da tutti, da me compreso, dopodiché quando la rivoluzione finì, quei corpi persero il loro significato, nel senso che avevano trovato il corpo del delitto per ammazzare il tiranno e si scoprì che fu facilissimo – ritornando lì a distanza di due o tre settimane – sapere quel che era accaduto, cioè che i servizi segreti avevano tirato quei corpi dalle celle frigorifere dell’ospedale di Timișoara e li avevano messi lì proprio per quello che avevo detto».

Nel corso del tempo gli avvenimenti della rivoluzione rumena appaiono molto più chiari, i vertici militari e le istituzioni cavalcarono il crescente malcontento militare per salvare se stesso dalla rovina, provocarono scontri in piazza, inventarono falsi genocidi per destituire il dittatore. Pochi giorni dopo, il generale e i golpisti ordiscono un’altra imboscata, Nicolae Ceaușescu parlò al suo popolo dal monumentale palazzo di Bucarest e proprio lì avverrà l’impensabile.

L’ultimo comizio

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«Il 21 dicembre il Presidente Ceaușescu fa la sua ultima apparizione pubblica dopo la strage. Ceaușescu organizza un’adunata di 150 mila persone al centro di Bucarest, è convinto che ciò possa risollevare il morale del suo popolo e mettere fine alla crisi. Il suo appello, fatto dal balcone di un palazzo del comitato centrale, viene trasmesso in tutta la Romania, Goerge Militaru ha diretto i discorsi del regime durante tutta la sua carriera e sa bene che passo falso può essere la fine. Controlla che l’operatore inquadri il pubblico manipolato, così se il Presidente dovesse tentennare o avere una smorfia, potrebbe essere immediatamente inserita un’esplosione di folla entusiasta. Quando si affacciano al balcone, né Elena né Nicolae hanno idea di quanto la Romania fosse cambiata».

«Alle 12.31 esatte Ceaușescu inizia il suo discorso, sullo stesso balcone nel 1968 Ceaușescu aveva ottenuto il suo successo, la Romania aveva già subito una limitazione della libertà sotto il controllo sovietico negli anni ’50 e, quando i carrarmati sovietici marciarono in cecoslovacchia nel 1968, Ceaușescu pronuncia un acceso discorso accusando Mosca di minare la pace in Europa “L’invasione della Cecoslovacchia da parte dei paesi del patto di varsavia è un grosso errore! Un pericolo per la pace in Europa e per il socialismo mondiale!” – Ceaușescu nel ’68. Il buon comunista diviene uno statista di fama mondiale, da allora si sentirà intoccabile, così parla alla folla per 8 minuti, poi lo stato d’animo cambia, nella piazza si divampa il grido di Timișoara, nessuno fino ad allora aveva osato contrastare Ceaușescu pubblicamente. Nicolae è in preda allo sconcerto e tutta la Romania lo avverte. In regia una vita di repressioni ha lasciato il suo segno e George Militaru non ha certo bisogno che qualcuno gli insegni il mestiere, così taglia direttamente la trasmissione. Le immagini scompaiono dallo schermo, ma il danno è irreversibile, l’immagine di quell’uomo vecchio e fragile è la molla che spinge migliaia di rumeni a riversarsi per le strade. Le paure di Stănculescu si sono avverate, le sue azioni hanno reso martiri le vittime di Timișoara e hanno spinto il popolo alla sommossa, ora il generale è sotto i riflettori, minacciato sia dai Ceaușescu che dalla folla, vista la situazione escogita di rompersi una gamba, sperando che questo gli permetta di mantenere una posizione meno pericolosa nello svolgersi degli eventi».

«E la notte che segue il discorso e Ceaușescu non riesce a dormire, mentre la folla la strada, il presidente e la moglie non possono contattare Stănculescu e l’esercito si mostra renitente ad eseguire l’ordine di disperdere i manifestanti. Verso le 11.00 la piazza è ancora stracolma di manifestanti circondati dalle truppe e le forze della “Securitate” difendono il palazzo del comitato centrale. I Ceaușescu sono ancora dentro. Alle 12.00 i manifestanti irrompono nel palazzo del comitato centrale, incontrano solo una piccola resistenza dell’esercito, ormai dalla loro parte. Stănculescu ricompare ed approfitta del panico crescente dei Ceaușescu e consiglia loro di abbandonare il palazzo al più presto, sapendo che una fuga li farà apparire colpevoli. Chiama un elicottero, ma non va con loro adducendo la scusa della gamba».

«La folla riempie il piano terra del palazzo, mentre i Ceaușescu tentano di mettersi in salvo raggiungendo l’elicottero, mentre il Presidente e la moglia raggiungono il tetto, vengono notati dalla folla esultante. L’elicottero appesantito fa fatica a decollare, a bordo ci sono Nicolae, la moglie Elena, due consiglieri, due guardie del corpo e tre uomini dell’equipaggio. Il piano è quello di diregersi in una residenza di campagna dei Ceaușescu e cercare di mettere insieme dei rinforzi. Dopo la fuga del Presidente, la folla riversa la sua attenzione verso gli studi televisivi, con l’intento di usare la tv per diffondere la notizia della rivoluzione. Militaru e il suo staff sono inermi, mentre la folla avanza, regna la confusione e i ribelli iniziano le trattative con lo staff televisivo: “Compagni! Voi gente della tv non siete colpevoli! Abbiamo bisogno di voi per comunicare con l’intero paese!” Lo staff accetta le richieste dei ribelli e all’01.00, il poeta dissidente ed eroe nazionale Mircea Dinescu va in onda, la notizia della rivoluzione raggiunge tutte le zone della Romania, come il resto del mondo… La rivoluzione viene annunciata in tv».

«Con tutta Bucarest la fuga dei Ceaușescu diviene una farsa, il pilota dell’elicottero inventa dei problemi tecnici e fa scendere i passeggeri in una strada deserta. Un medico del posto che si sta dirigendo a lavoro in macchina, nota la coppia disperata e la loro guardia del corpo sul ciglio della strada, Elena con Nicolae ferma l’uomo puntandogli addosso l’arma, vengono portati in direzione di Targoviste».

«A Bucarest si lavora per formare un nuovo governo, in un palazzo all’interno del comitato centrale, dei politici auto-eletti con il nome di “Fronte di salvezza nazionale” stanno cercando di contattare telefonicamente Stănculescu, per assicurarsi l’appoggio dell’esercito e riportare la calma, ma Stănculescu non risponde, consapevole di quanto è successo ai Ceaușescu, ma per i Ceaușescu la fuga è finita. Dopo aver requisito una seconda macchina, vengono identificati e condotti alla caserma di Targoviste».

L’ultimo atto

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«Il colonnello André Camaric è l’ufficiale in carica a Targovista, è preoccupato per la presenza di Ceaușescu nella caserma che diventa così bersaglio per i cecchini della “Securitate”. A Bucarest Stănculescu apprende la notizia dell’arresto dei Ceaușescu, adesso è lui a fare telefonate e stranamente il suo gesso è sparito».

«La gente non è ancora sicura di chi siano i nuovi leader e nelle strade esplodono violenti scontri tra l’esercito (ora in appoggio alla rivoluzione) e gli agenti della “Securitate” fedeli a Ceaușescu. L’esercito e gli agenti riescono a circondare gli agenti della “Securitate” che vengono poi interrogati e giustiziati. La contro-rivoluzione inizia a sembrare meno possibile, mentre alla vigilia di Natale il “Fronte di salvezza nazionale” s’incontra con il generale Stănculescu a Bucarest per decidere le sorti dei Ceaușescu, temono che i Ceaușescu possano rimanere un punto di riferimento per le forze contro-rivoluzionarie. In un acceso incontro di 3 ore, il futuro presidente Ion Iliescu propone un processo civile da tenersi qualche settimana dopo, mentre il generale Stănculescu pretende un immediato processo militare e alla fine riuscirà a imporsi. Il generale ha la sua idea riguardo al tipo di giustizia che meritano i Ceaușescu».

«Il giorno di Natale 5 elicotteri atterrano in caserma di Targoviste, il generale Stănculescu riunisce il perosnale che dovrà occuparsi del processo militare, incluso il capitano Boeru e le sue truppe. Stănculescu e Boeru incontrano il colonnello Camaic per mostrargli il perimetro della caserma, il generale indica un muro lungo un lato e dice che quello sarà il luogo dove avverrà l’esecuzione. Camaic è scioccato quando capisce che il verdetto è una conclusione inevitabile, Boeru capisce il significato della sua missione quando Stănculescu gli ordina di essere a capo del plotone di esecuzione. I Ceaușescu vengono condotti fuori dal mezzo blindato dove sono stati nascosti, hanno sentito gli elicotteri ed hanno immaginato di poter fuggire verso la libertà, invece, vengono condotti in un aula. All’interno viene recitata una macabra messa in scena, gli imputati vengono visitati per essere accertasi che siano nelle condizioni fisiche per affrontare un processo».

«La pressione sanguigna di Nicolae è molto alta, Elena rifiuta di essere visitata ma tiene stretta l’insulina che la mattina è stata consegnata per il marito. Il capitano Boeru sceglie tre soldati che comporranno il plotone d’esecuzione, non può permettersi di scegliere qualcuno che potrebbe avere dei ripensamenti circa quelli che fino a tre giorni prima i capi supremi della Romania. Alle 01.00 la corte si riunisce, per i Ceaușescu la partita è quasi persa, ma loro non la stanno giocando. Nicolae rifiuta di riconoscere la leggittimità della corte e durante tutto il processo mostra un atteggiamento di derisione “io non sono un imputato, sono il Presidente della Romania” i capi di accusa sono il genocidio a Timișoara e il furto dei beni nazionali che hanno reso povero il popolo, Elena è sconvolta quando la corte la spoglia di tutti i suoi titoli accademici e quando gli viene chiesto perché aveva lasciato il palazzo del comitato centrale Ceaușescu guarda fissi i testimoni riuniti, ora capisce il ruolo che Stănculescu ha giocato durante tutta la loro caduta. La corte ordina la sospensione per emettere la sentenza, le vite dei leader della Romania sono in bilico, il plotone di esecuzione del capitano Boeru aspetta nervosamente per sapere se ci sarà bisogno di lui per giudicare i 25 anni di governo dei Ceaușescu ci vogliono solo 55 minuti».

«Al comandante Boeru gli è stato chiesto di attendere la condanna a morte dei Ceaușescu, ma quando Ceaușescu è l’emozione a prendere il sopravvento. L’ispezione dei muri dimostra che oltre 100 pallottole sono state sparate contro la vecchia coppia, al plotone è stato chiesto di non colpire la faccia di Nicolae, così da poter utilizzare la morte per la propaganda, mentre ad Elena non viene concesso lo stesso privilegio. La notte di Natale alla tv, la rivoluzione raggiunge il suo macabro apice, gli spettatori possono vedere le immagini dei corpi morti di Ceaușescu. Le due salme vengono sepolte senza nome nel cimitero di Ghencea a Bucarest. Nicolae è l’unico Capo di Stato ad aver perso la vita durante l’epurazione del comunismo dall’Europa dell’est. Le prime elezioni politiche dopo 25 anni sono state vinte dal “Fronte nazionale” condotto da Ion Iliescu, egli nomina il generale Stănculescu ministro della difesa e ripristina la “Securitate”, i politici ministri dell’opposizione, i giornali e le manifestazioni pubbliche violentemente schiacciate» – Atlantide (LA 7).

«Era chiaro che Ceaușescu, perché se avesse avuto un processo regolare con presenza dei giornalisti stranieri avrebbe smascherato immediatamente il fatto che lo processarono erano gli stessi che fino a poche ore prima avevano collaborato con lui, questo non doveva accadere. Quindi era chiaro che Ceaușescu e sua moglie dovevano morire – chiaro, tiranni quando vuoi – ma era chiaro che dovevano morire subito. Per tutti era incredibile che accadesse quello che stava per accadere, di tutti i regimi del Centro Europa comunista, quelli dell’oltre la linea del grande freddo, quello che sembrava nettamente meno in bilico era proprio quello di Ceaușescu, il regime di terrore era talmente forte che nessuno si diceva avrebbe osato ribellarsi, ma chi diceva questo non aveva ancora preso atto – ce ne aveva messo un po’ – del fatto che, sia in Germania, sia in Cecoslovacchia, sia in Polonia, tutto quanto si era messo in modo perché qualcuno dentro il potere aveva capito che bisognava cambiare altrimenti la rivolta popolare sarebbe arrivata davvero, quindi non era una rivolta popolare ma era qualcosa che era stato fatto per evitare la rivolta popolare» – Le dichiarazioni del giornalista Paolo Rumiz.

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