Cronaca

“Fai la mamma o lavori”, licenziata a Torino dopo la fecondazione assistita

“Fai la mamma o lavori”, è questo quello che si è sentita dire una 30enne di Chivasso, in provincia di Torino, prima di essere licenziata dopo la fecondazione assistita. Una storia che inizia con battute a sfondo sessuale, un trasferimento e infine il licenziamento: “Il capo filiale mi diceva che se il mio compagno non fosse riuscito a mettermi incinta, ci avrebbe pensato lui”.

Torino, licenziata dopo la fecondazione assistita

Una storia che inizia con battute a sfondo sessuale, poi il trasferimento e finita con il licenziamento dopo aver riferito la volontà di sottoposti alla fecondazione in vitro per diventare mamma: la protagonista, una 30enne del Torinese, era impiegata in un’azienda di idrotermosanitari. Per lo stress ha anche perso il bambino e ora ha fatto causa all’azienda.

Il licenziamento ingiusto

Samantha fino a prima di comunicare il suo desiderio era considerata una lavoratrice modello. Il suo avvocato ha spiegato che alla sua assistita sarebbe stato contestato il superamento delle ore di assenza previste per la malattia: “Hanno sbagliato i calcoli. Nessun giorno di malattia è calcolabile se provocato dalla condotta del datore di lavoro”. Inoltre, nel totale delle assenze, sarebbero stati inseriti anche i giorni di ricovero per la fecondazione assistita e l’aborto che però per legge non dovrebbero essere conteggiati.

Le battute

“Quello che mi ha fatto soffrire di più”, ha spiegato la donna, “è il comportamento di alcuni miei superiori, le loro battute i messaggi, quando quasi mi minacciavano dicendo: ‘Scegli se vuoi fare la mamma o mantenere il posto di lavoro'”. La donna ha raccontato che il suo capo sarebbe addirittura arrivato a pubblicare sui social una sua foto mentre mangiava una brioche con la scritta: “Mangia che poi che me ne importa?”. Non solo, le avrebbe anche detto: “Se il tuo compagno non ci riesce, ci penso io a metterti incinta”.

Il trasferimento

Quando si è sottoposta alla fecondazione assistita, per non gravare sull’azienda, ha preso un periodo di aspettativa e ha sfruttato le ferie arretrate. Però, al suo rientro le è stato comunicato il trasferimento nella sede di Torino, a circa 25 chilomentri di distanza da casa. A causa dello stress, ha poi perso il bambino ed è ora seguita da uno psicologo.

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