Economia

Pensioni, niente maxi aumento per tutti a gennaio 2024: cosa succede

Pensioni, niente maxi aumenti per tutti a gennaio 2024: cosa succede? Dopo l’approvazione ieri della Nadef, si va verso una legge di bilancio attorno ai 20 miliardi, lontana dai 35 dell’anno scorso, per due terzi fatta in deficit. Meloni e Giorgetti varano quindi una manovra a debito.

Sul fronte delle pensioni, il quadro è ormai abbastanza chiaro e definito: riconfermate Ape Sociale, Quota 103 e Opzione Donna forse riassorbita nell’Ape. La novità potrebbe arrivare per gli under 35: norme per cumulare la pensione pubblica con quella privata (incentivata), così da raggiungere più agevolmente i traguardi per l’uscita anticipata (64 anni) o di vecchiaia (67 anni). Potrebbe essere tagliata ancora l’indicizzazione all’inflazione degli assegni in essere. Forza Italia chiede di andare oltre la conferma dei 600 euro delle pensioni minime agli over 75. Di fatto, la riforma Fornero resta in vigore, nonostante la sua abolizione fosse uno dei primi punti del programma elettorale del centrodestra.

Pensioni, aumenti 2024: chi avrà l’indicizzazione piena

Facile immaginare che le polemiche più vibranti riguarderanno l’indicizzazione più o meno piena delle pensioni nei prossimi mesi. La manovra vera e propria prenderà forma solo a novembre, ma è probabile, secondo le indiscrezioni riportate in questi giorni da più parti, che le pensioni potrebbero essere un po’ più basse rispetto alle previsioni più ottimiste: la rivalutazione al 100% dell’inflazione ci sarà solo per gli assegni fino a quattro volte il minimo (circa 2.200 euro lordi). Non si può certo parlare di svolta. Da circa 20 anni è in vigore un meccanismo che prevede l’indicizzazione piena per le pensioni più basse e la rivalutazione soltanto parziale per quelle più alte. 

Il governo non vorrebbe toccare l’indicizzazione all’85% tra 4 e 5 volte il minimo (intorno ai 2.600 euro) per non penalizzare i redditi medio bassi. Ma non sarà facile. Invece un taglio di uno, due o forse anche tre punti percentuali potrebbe essere applicato al recupero Istat delle altre fasce, che l’ultima legge di bilancio ha fissato al 53% per le pensioni tra 5 a 6 volte il minimo; al 47% tra 6 e 8 volte il minimo; al 37% da 8 a 10 volte e al 32% per gli assegni oltre dieci volte il minimo. 

Anche per il 2024 si possono ipotizzare rivalutazioni pensionistiche di minore entità per chi percepisce assegni di importo superiore a quattro volte il minimo. Un’ipotesi tutt’altra che campata per aria è che, alla fine, l’esecutivo decida di tagliare di qualche punto proprio la seconda fascia, quella che garantisce il recupero dell’85% dell’inflazione per le pensioni tra 4 e 5 volte la minima, così come aveva già fatto nella manovra dello scorso anno, quando inizialmente aveva fermato l’asticella all’80%. Solo dopo un aspro dibattito parlamentare il ministero dell’Economia diede l’ok a rialzare l’indicizzazione della seconda fascia all’85% per andare a tagliare di due o tre punti gli assegni più consistenti.

Ora c’è il taglio in base a sei fasce

Se il governo non cambierà nulla, si applicheranno le regole in vigore ora, quindi con il taglio in base alle sei fasce. Se invece Palazzo Chigi decidesse di intervenire, ad esempio aggiungendo altre fasce oppure abbassando la percentuale di rivalutazione, si creerebbero margini per incassi da usare a copertura della manovra. Ma è un campo minato. Infatti, non permettere a una platea, comunque molto ampia, di pensionati di fascia media e medio-alta di recuperare parte dell’inflazione, significa penalizzarla in modo perenne, dal momento che il taglio di un anno comprime l’importo della pensione che l’anno dopo sarà rivalutata. Un circolo “vizioso” che, se innescato, diventa inevitabile.

Se ne parlerà molto nei prossimi mesi. Con la manovra del 2023, oltre a essere stata prevista l’introduzione di sei fasce di rivalutazione a seconda dell’importo, Ã¨ stato ripristinato il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento e non più a scaglioni. E anche questo dettaglio va a formare un sistema più penalizzante per le pensioni più elevate.

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