Almanacco

Saddam Hussein viene giustiziato mediante impiccagione, i fatti del 2006

L’ex dittatore Saddam Hussein fu giustiziato il 30 dicembre 2006, a seguito di una sentenza di condanna a morte mediante impiccagione pronunziata da un tribunale speciale iracheno e confermata in appello per crimini contro l’umanità.

Iraq, l’ex dittatore Saddam Hussein viene giustiziato mediante impiccagione

La sua esecuzione ha destato scalpore e polemiche in tutto il mondo anche per via dello scherno che i suoi carnefici gli riservarono in punto di morte.

In seguito alla sua deposizione in Iraq vi fu un marcato aumento delle violenze settarie che ben presto si trasformò in una guerra civile la quale continuò a più riprese fino a culminare nel 2014 con la formazione dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS).

Cattura, processo e condanna

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La statua di Saddam abbattuta durante l’occupazione statunitense.

Nonostante l’emergere di una violenta e sanguinosa insurrezione condotta dalla resistenza irachena sunnita con azioni di guerriglia (ovvero, secondo un altro punto di vista, l’insorgere di gruppi terroristici dediti ad azioni terroristiche), tra cui spiccò per violenza l’organizzazione guidata da Abū Musʿab al-Zarqāwī, leader di al-Qaida in Iraq, l’ex presidente iracheno fu catturato il 13 dicembre 2003 da soldati statunitensi in un villaggio nelle vicinanze di Tikrīt, in un piccolo buco di ragno scavato sotto terra, durante l’Operazione Alba Rossa.

Fu sottoposto a processo dal 19 ottobre 2005 presso un tribunale speciale iracheno assieme ad altri sette imputati (tutti ex gerarchi del suo regime tra i quali era presente anche il suo fratellastro), accusato di crimini contro l’umanità in relazione alla strage di Dujail del 1982 in cui morirono 148 sciiti. Il 5 novembre 2006 fu condannato a morte per impiccagione, ignorando la sua richiesta di essere fucilato. Il 26 dicembre 2006 la condanna fu confermata dalla Corte d’appello. Con lui furono condannati a morte per impiccagione anche Awwad al-Bandar, presidente del tribunale rivoluzionario, ed il fratellastro Barzan Al Tiritik, mentre il vice presidente Taha Yassin Ramadan fu condannato all’ergastolo, salvo poi essere condannato all’impiccagione il 12 febbraio 2007 dall’Alta Corte Irachena.

Le reazioni internazionali alla sentenza furono fortemente contrastanti. Stati Uniti e Gran Bretagna manifestarono la loro soddisfazione, mentre l’Unione europea, a ranghi compatti, colse l’occasione per ribadire il suo secco no alla pena di morte, spalleggiata da Amnesty International e da Human Rights Watch, che criticarono la condanna a morte e lo stesso svolgimento del processo, che non avrebbe sufficientemente tutelato i diritti della difesa e che sarebbe stato sottoposto a forti pressioni da parte del governo iracheno e, indirettamente, da parte dell’Amministrazione statunitense. Tra le dichiarazioni più significative, George W. Bush: “È un grosso risultato per la giovane democrazia irachena e per il suo governo costituzionale” e l’ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, “È un’importante pietra miliare per l’Iraq, un altro passo verso la costruzione di una società libera basata sul rispetto del diritto”. Ed ancora il ministro degli Esteri britannico Margaret Beckett: “Plaudo al fatto che Saddam Hussein e gli altri imputati abbiano affrontato la giustizia e abbiano dovuto rispondere dei loro crimini”. Sul fronte opposto, il Ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema: “Condanna netta, severa, inflessibile di chi si è macchiato di crimini orrendi, ma l’Italia è contraria all’esecuzione”. Molti governi europei suggerirono all’Iraq di non eseguire la sentenza, una posizione non lontana da quella russa.

L’esecuzione per impiccagione di Saddam Hussein fu eseguita alle 6:00 ora locale del 30 dicembre 2006, all’interno di uno dei centri che venivano utilizzati dal deposto regime per torturare i dissidenti. Prima di essere impiccato l’ex dittatore ha fatto in tempo a lanciare un monito al popolo iracheno, esortandolo a restare unito e mettendolo in guardia dalla coalizione iraniana.

L’esecuzione di Saddam scatenò in Iraq e nel Vicino Oriente reazioni molto contrastanti, soprattutto contrapponendo le scene di giubilo della popolazione sciita alle manifestazioni (anche violente) di alcune roccaforti sunnite. Anche le popolazioni curde si abbandonarono a festeggiamenti a seguito dell’impiccagione. Il primo ministro sciita Nūrī al-Mālikī dichiarò che: «La condanna a morte segna la fine di un periodo nero della storia di questo Paese e ne apre un altro, quello di un Iraq democratico e libero». Pareri compiaciuti pervennero dai vicini iraniani e da Israele; mentre condanne decise furono espresse da Hamas e dalla Libia, che proclamò addirittura tre giorni di lutto nazionale.

Il video dell’esecuzione

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«Saddam Hussein è morto rapidamente, col viso scoperto, la testa alta, la dignità e il coraggio» – La Repubblica.

Nelle ore successive alla morte, i media di tutto il mondo, a cominciare dalla televisione di Stato dell’Iraq, al-ʿIrāqiyya, trasmisero un filmato dei momenti immediatamente precedenti l’esecuzione, che mostrava Saddam Hussein, apparentemente tranquillo, giungere al patibolo, dove gli era stato applicato un grosso cappio intorno al collo. Il video si interrompeva poco prima che la botola sotto i piedi di Saddam Hussein fosse aperta. Più tardi furono diffusi altri due filmati, di cattiva qualità: il primo mostrava il cadavere del condannato parzialmente avvolto in un lenzuolo bianco, con il volto visibile, livido e sanguinante, mentre era portato via dal luogo dell’esecuzione; il secondo, l’unico dotato di traccia audio, ripreso verosimilmente con un telefono cellulare dai piedi del patibolo, mostrava l’intera sequenza dell’esecuzione.

In quest’ultimo video è possibile seguire, con angolazione dal basso, gli stessi eventi ripresi nel primo video: si odono chiaramente i presenti inneggiare a Muqtada al-Sadr non appena il condannato è lasciato solo dal boia in piedi sulla botola chiusa e con il cappio già stretto al collo. Il condannato replica pronunciando a propria volta il nome Muqtada con tono ironico e chiedendo a chi lo insulta, con aria di sfida, se creda in tal modo di comportarsi da uomo. Alcuni secondi dopo Saddam inizia, nel silenzio, a pronunciare ad alta voce la professione di fede islamica che, dopo pochi secondi, è interrotta all’incipit del secondo versetto dall’apertura della botola che, con uno stridore metallico, fa precipitare il suo corpo e tendere la corda. Seguono alcuni confusi fotogrammi, che mostrano l’inneggiare dei presenti all’avvenuta esecuzione dell’ex presidente iracheno e, poco dopo, le immagini ne inquadrano il volto, mentre, ormai morto, pende appeso al cappio.

«Non fidatevi della coalizione iraniana» – ultimo appello di Saddam prima di morire.

Il 16 gennaio 2007 il presidente degli Stati Uniti d’America, George W. Bush, la cui Amministrazione aveva in precedenza approvato senza riserve la condanna a morte e l’esecuzione di Saddam Hussein, condannò con parole molto forti le modalità dell’impiccagione: «L’esecuzione di Saddam è sembrata come una vendetta» e il governo iracheno presieduto da Nūrī al-Mālikī «deve ancora maturare» e «rende difficile [per il governo USA] far passare presso il popolo americano l’idea che si tratti di un governo che voglia unificare il Paese».

Le dichiarazioni di Bush furono accolte con scetticismo da chi, come Feurat Alani, inviato a Baghdad per il giornale svizzero Le Temps, sollevò il sospetto che la fretta nel liberarsi di Saddam e dei suoi più prossimi gerarchi fosse in realtà stata originata dal desiderio di metter a tacere per sempre la delicata questione dei considerevoli aiuti, anche militari e in termini di armi di distruzione di massa, forniti da Stati Uniti d’America, Francia e Regno Unito al regime di Saddam Hussein durante gli anni ’80.