Giovanni Carmelo Verga, nasce a Catania il 2 settembre del 1840 e muore, sempre nel suo paese di origine, il 27 gennaio del 1922. Giovanni Verga è stato uno scrittore, drammaturgo e senatore italiano, considerato il maggior esponente della corrente letteraria del Verismo.
Celebri le sue opere caratterizzate da una costante sfiducia nei riguardi del mondo cittadino, che lo spingono preferire il mondo contadino siciliano. Per descriverlo Verga fa appello alla tecnica dell’impersonalità (cioè non esprime giudizi) e della regressione, effettuata tramite un abbassamento costante del punto di vista (sceglie di parlare dal punto di vista del popolo).
Le sue opere più famose sono: Rosso Malpelo, Storia di una capinera, I Malavoglia, Cavalleria Rusticana, Mastro-don Gesualdo.
Giovanni Verga, vita e opere
I Verga Catalano erano una tipica famiglia di “galantuomini” ovvero di nobili di provincia con scarse risorse finanziarie, ma costretti a ben comparire data la posizione sociale. Insomma, il perfetto ritratto di una tipica famiglia uscita dai romanzi di Verga.
Non manca al quadro la lite con i parenti ricchi: le zie zitelle, le avarissime “mummie” e lo zio Salvatore che, in virtù del maggiorascato, aveva avuto in eredità tutto il patrimonio, a patto che restasse celibe, per amministrarlo in favore anche dei fratelli.
Le controversie si composero probabilmente negli anni Quaranta e i rapporti familiari furono in seguito buoni come rivelano le lettere dello scrittore e la conclusione di un matrimonio in famiglia tra Mario, il fratello di Giovanni detto Maro, e Lidda, figlia naturale di don Salvatore e di una contadina di Tèbidi.
Compiuti gli studi primari e medi sotto la guida di Carmelino Greco e di Carmelo Platania, Verga segue le lezioni di don Antonino Abate, poeta, romanziere e acceso patriota, capo di un fiorente studio in Catania.
Alla sua scuola, oltre ai poemi dello stesso maestro, legge i classici: Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Monti, Manzoni e le opere di Domenico Castorina, poeta e narratore di Catania, di cui l’Abate era un commentatore entusiasta.
Il colera e la perdita del padre
Nel 1845, a causa di un’epidemia di colera, la famiglia Verga si trasferisce a Vizzini quindi nelle sue terre di Tèbidi, fra Vizzini e Licodia. Qui termina di scrivere il suo primo romanzo, iniziato nel 1856 a soli quindici anni, “Amore e Patria”, che al momento non viene però pubblicato per consiglio del canonico Mario Torrisi, di cui il Verga fu alunno.
Per desiderio del padre si iscrive alla facoltà di legge dell’Università di Catania, senza dimostrare tuttavia molto interesse per gli studi giuridici, che abbandona definitivamente nel 1861 per dedicarsi, incoraggiato dalla madre, all’attività letteraria.
Nel 1860 si arruola nella Guardia Nazionale istituita dopo l’arrivo di Garibaldi a Catania, prestandovi servizio per circa quattro anni. Fonda, dirigendolo per soli tre mesi, insieme a Nicolò Niceforo e ad Antonino Abate, il settimanale politico “Roma degli Italiani“, con un programma unitario e anti-regionalistico.
Nel 1861 inizia la pubblicazione, a sue spese presso l’editore Galatola di Catania, del romanzo “I carbonari della montagna“, cui aveva lavorato già dal 1859; nel 1862 uscirà il quarto e ultimo tomo del libro che l’autore invierà, fra gli altri, anche ad Alexandre Dumas.
Collabora alla rivista “L’ltalia contemporanea“, probabilmente pubblicandovi una novella o meglio il primo capitolo di un racconto realista. L’anno successivo lo scrittore viene colpito da un lutto famigliare: perde infatti l’amato padre.
Nel maggio si reca, per la prima volta, rimanendovi almeno fino al giugno, a Firenze, dal 1864 capitale d’Italia e centro della vita politica e intellettuale. Di questo periodo è la commedia, inedita, “I nuovi tartufi” (in testa alla seconda stesura si legge la data 14 dicembre 1886), che fu inviata, anonima, al Concorso Drammatico Governativo.
La nuova epidemia e il trasferimento a Milano
Nel 1867 una nuova epidemia di colera lo costringe a rifugiarsi con la famiglia nelle proprietà di Sant’Agata li Battiati. Ma il 26 aprile 1869 parte da Catania alla volta di Firenze, dove soggiornerà
fino al settembre. Viene introdotto negli ambienti letterari fiorentini e prende a frequentare i salotti di Ludmilla Assing e delle signore Swanzberg, venendo a contatto con scrittori e intellettuali dell’epoca come il Prati, l’Aleardi, il Maffei, il Fusinato e l’Imbriani (quest’ultimo autore di capolavori a tutt’oggi ancora poco conosciuti).
In questo stesso periodo, ha inizio l’amicizia con Luigi Capuana, scrittore e intellettuale meridionale. Conosce anche Giselda Fojanesi, con la quale compie il viaggio di ritorno in Sicilia. Comincia a scrivere “Storia di una capinera” (che uscirà a puntate nel giornale di moda “La Ricamatrice”), e il dramma “Rose caduche”.
Corrisponde regolarmente con i familiari, informandoli minutamente della sua vita fiorentina (da una lettera del ’69:
“Firenze è davvero il centro della vita politica e intellettuale d’Italia qui si vive in un’altra atmosfera [ …] e per diventare qualche cosa bisogna […] vivere in mezzo a questo movimento incessante, farsi conoscere, e conoscere, respirarne l’aria, insomma”).
Nel novembre 1872 si trasferisce a Milano, dove rimarrà, pur con frequenti ritorni in Sicilia, per circa un ventennio. Grazie alla presentazione di Salvatore Farina e di Tullo Massarani, frequenta i più noti ritrovi letterari e mondani: fra l’altro i salotti della contessa Maffei, di Vittoria Cima e di Teresa Mannati-Vigoni.
Si incontra con Arrigo Boito, Emilio Praga, Luigi Gualdo, amicizie da cui deriva uno stretto e proficuo contatto con temi e problemi della Scapigliatura. Inoltre, ha modo di frequentare la famiglia dell’editore Treves e il Cameroni. Con quest’ultimo intreccia una corrispondenza epistolare di grande interesse per le posizioni teoriche sul verismo e sul naturalismo e per i giudizi sulla narrativa contemporanea (Zola, Flaubert, Vallés, D’Annunzio).
La crisi
Il 1874, al ritorno a Milano in Gennaio, ha una crisi di sconforto: il 20 del mese, infatti, il Treves gli aveva rifiutato “Tigre reale“, cosa che lo spinge quasi a decidere il rientro definitivo in Sicilia.
Supera però rapidamente la crisi buttandosi nella vita mondana milanese (anche in questo caso un documento prezioso sono le lettere ai familiari, in cui è possibile leggere un minutissimo resoconto, oltre che dei suoi rapporti con l’ambiente editoriale, di feste, veglioni e teatri), scrivendo così in soli tre giorni “Nedda“.
La novella, pubblicata il 15 giugno nella “Rivista italiana di scienze, lettere e arti“, ha un successo tanto grande quanto inaspettato per l’autore che continua a parlarne come di “una vera miseria” e non manifesta alcun interesse, se non economico, al genere del racconto.
“Nedda” è subito ristampata dal Brigola, come estratto dalla rivista. Verga, spinto dal buon esito del bozzetto e sollecitato dal Treves, scrive nell’autunno, tra Catania e Vizzini, alcune delle novelle di “Primavera” e comincia a ideare il bozzetto marinaresco “Padron ‘Ntoni” (che confluirà poi nei “Malavoglia“), di cui, nel dicembre, invia la seconda parte all’editore. Raccoglie intanto in volume le novelle scritte fino ad allora, pubblicandole presso il Brigola con il titolo “Primavera ed altri racconti“.
Il romanzo procede lentamente, anche a causa di un altro duro contraccolpo emotivo, la perdita di Rosa, la sorella prediletta.
Il 5 dicembre muore la madre, alla quale era legato da profondo affetto. Questo evento lo getta in un grave stato di crisi. Lascia allora Catania per recarsi nuovamente a Firenze e successivamente a Milano, dove riprende con accanimento il lavoro.
“Vita dei Campi” e “I Malavoglia”
Nel 1880 pubblica presso Treves “Vita dei campi” che raccoglie le novelle apparse in rivista negli anni 1878-80. Continua a lavorare ai “Malavoglia” e nella primavera ne manda i primi capitoli al Treves, dopo aver tagliato le quaranta pagine iniziali di un precedente manoscritto. Incontra, a distanza di quasi dieci anni, Giselda Fojanesi, con la quale ha una relazione che durerà circa tre anni. “Di là del mare“, novella epilogo delle “Rusticane“, adombra probabilmente il rapporto sentimentale con Giselda, descrivendone in certo modo l’evoluzione e l’inevitabile fine.
L’anno successivo escono finalmente, per i tipi sempre di Treves, “I Malavoglia“, invero accolti assai freddamente dalla critica. Inizia i contatti epistolari con Edouard Rod, giovane scrittore svizzero che risiede a Parigi e che nel 1887 darà alle stampe la traduzione francese dei “Malavoglia”.
Frattanto, stringe rapporti di amicizia con De Roberto. Comincia a ideare “Mastro-don Gesualdo” e pubblica in rivista “Malaria” e “Il Reverendo” che all’inizio dell’anno aveva proposto a Treves per la ristampa di “Vita dei campi” in sostituzione di “Il come, il quando ed il perché“.
Nasce anche il progetto di ridurre per le scene “Cavalleria rusticana“; a questo scopo intensifica i rapporti con Giacosa, che sarà il “padrino” del suo esordio teatrale.
Sul piano della vita privata continua la relazione con Giselda che viene cacciata di casa da Rapisardi per la scoperta di una lettera compromettente. Ha inizio la lunga e affettuosa amicizia (durerà oltre la fine del secolo: l’ultima lettera è datata 11 maggio 1905) con la contessa Paolina Greppi.
Altre opere, esordio teatrale e difficoltà economiche
Il 1884 è l’anno dell’esordio teatrale con “Cavalleria rusticana“; il dramma, letto e bocciato durante una serata milanese da un gruppo di amici (Boito, Emilio Treves, Gualdo), ma approvato da Torelli-Viollier (il fondatore del “Corriere della Sera”), è rappresentato per la prima volta, con Eleonora Duse nella parte di Santuzza, con grande successo il 14 gennaio al teatro Carignano di Torino dalla compagnia di Cesare Rossi.
Si conclude, con la pubblicazione della prima redazione di “Vagabondaggio” e di “Mondo piccino“, ricavati dagli abbozzi del romanzo, la prima fase di stesura del “Mastro-don Gesualdo” per il quale era già pronto il contratto con l’editore Casanova.
Il 16 maggio 1885 il dramma “In portineria“, adattamento teatrale de “Il canarino” (una novella di “Per le vie“), viene accolto freddamente al teatro Manzoni di Milano. Ha inizio una crisi psicologica aggravata dalla difficoltà di portare avanti il “Ciclo dei Vinti” e soprattutto da preoccupazioni economiche personali e della famiglia, che lo assilleranno alcuni anni, toccando la punta massima nell’estate del 1889.
Confida il suo scoraggiamento a Salvatore Paola Verdura in una lettera del 17 gennaio da Milano. Si infittiscono le richieste di prestiti agli amici, in particolare a Mariano Salluzzo e al conte Gegè Primoli.
Per distendersi, passa lunghi periodi a Roma e lavora contemporaneamente alle novelle pubblicate dal 1884 in poi, correggendole e ampliandole per la raccolta “Vagabondaggio“, che uscirà nella primavera del 1887 presso l’editore Barbèra di Firenze. Nello stesso anno esce la traduzione francese de “I Malavoglia“, anch’essa senza riscontrare alcun successo di critica né di pubblico.
Ritorno in Sicilia e il rifacimento di “Mastro-don Gesualdo”
Dopo aver soggiornato a Roma alcuni mesi, all’inizio dell’estate ritorna in Sicilia, dove rimane (tranne brevi viaggi a Roma nel dicembre 1888 e nella tarda primavera del 1889), sino al novembre 1890, alternando alla residenza a Catania lunghi soggiorni estivi a Vizzini.
Nella primavera conduce a buon fine le trattative per pubblicare “Mastro-don Gesualdo” nella “Nuova Antologia” (ma in luglio romperà col Casanova, passando alla casa Treves). Il romanzo esce a puntate nella rivista dal 1° luglio al 16 dicembre, mentre Verga vi lavora intensamente per rielaborare o scrivere ex novo i sedici capitoli. Nel novembre ne ha già iniziata la revisione.
Ad ogni modo, continua l'”esilio” siciliano, durante il quale si dedica alla revisione o, meglio, al rifacimento di “Mastro-don Gesualdo” che, sul finire dell’anno, uscirà presso Treves.
Pubblica nella “Gazzetta letteraria” e nel “Fanfulla della Domenica” le novelle che raccoglierà in seguito nei “Ricordi del capitano d’Arce” e dichiara a più riprese di esser sul punto di terminare una commedia. Incontra, probabilmente a Villa d’Este, la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo cui rimarrà legato per il resto della vita.
La fama
Rinfrancato dal successo di “Mastro-don Gesualdo “progetta di continuare subito il “Ciclo” con la “Duchessa di Leyra” e “L’onorevole Scipioni“. In questo periodo, inizia la causa contro Mascagni e l’editore Sonzogno per i diritti sulla versione lirica di “Cavalleria rusticana“. A fine ottobre, però, si reca in Germania per seguire le rappresentazioni di “Cavalleria“, che è pur sempre un capolavoro della musica, a Francoforte a Berlino.
Nel 1893 si conclude, in seguito a transazione col Sonzogno, la causa per i diritti su “Cavalleria”, già vinta da Verga nel 1891 in Corte d’appello. Lo scrittore incassa così circa 140.000 lire, superando finalmente i problemi economici che lo avevano assillato nel precedente decennio.
Prosegue intanto le trattative, iniziate nel ’91 (e che si concluderanno con un nulla di fatto), con Puccini per una versione lirica della “Lupa” su libretto di De Roberto. Si stabilisce definitivamente a Catania dove rimarrà sino alla morte, tranne brevi viaggi e permanenze a Milano e a Roma.
Nel biennio 1894-1895, pubblica l’ultima raccolta, “Don Candeloro e C.“, che comprende novelle scritte e pubblicate in varie riviste tra 1889 e il ’93. Nel ’95 incontra a Roma, insieme a Capuana, Emile Zola, importante esponente della letteratura francese e fautore della corrente letteraria del Naturalismo, una poetica assai affine a quella del Verismo (anzi, si può dire che quest’ultimo sia la “versione” italiana di quello).
Nel 1903 sono affidati alla sua tutela i figli del fratello Pietro, morto nello stesso anno. Verga rallenta sempre più la sua attività letteraria e si dedica assiduamente alla cura delle proprie terre. Continua a lavorare alla “Duchessa di Leyra”, di cui sarà pubblicato postumo un solo capitolo a cura del De Roberto nel 1922.
Tra il 1912 e il 1914 affida sempre a De Roberto la sceneggiatura cinematografica di alcune sue opere tra cui “Cavalleria rusticana” e “La Lupa“, mentre egli stesso stende la riduzione della “Storia di una capinera“, pensando anche di ricavarne una versione teatrale.
Nel 1919 scrive l’ultima novella: “Una capanna e il tuo cuore“, che uscirà pure postuma ne “L’illustrazione italiana“, il 12 febbraio 1922. Nel 1920 pubblica, infine, a Roma presso “La Voce” una edizione riveduta delle “Novelle rusticane“. Nell’ottobre è nominato senatore.
Morte
Colpito da paralisi cerebrale il 24 gennaio 1922, muore il 27 dello stesso mese a Catania nella casa di via Sant’Anna, 8. Tra le opere uscite postume, oltre alle due citate, vi sono la commedia “Rose caduche”, in “Le Maschere”, giugno 1928 e il bozzetto “Il Mistero”, in “Scenario”, marzo 1940.