La Prima Repubblica è un’espressione giornalistica italiana che si riferisce al sistema politico della Repubblica Italiana vigente tra il 1948 e il 16 gennaio del 1994, in contrapposizione a quello della Seconda Repubblica in cui avvenne un radicale mutamento partitico.
Nel 1994, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro scioglie le Camere e finisce così la Prima Repubblica
Esattamente 26 anni fa, il 16 gennaio 1994, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro scioglieva le camere, dando avvio a una nuova campagna elettorale e sancendo la fine della cosiddetta Prima Repubblica.
Un momento epocale per la politica del nostro Paese, in quegli anni sconvolta dall’inchiesta Mani pulite di Milano che aveva portato alla luce il malaffare radicato nei rapporti tra partiti e imprenditoria, inficiati da accordi segreti e tangenti miliardarie. Proprio i partiti tradizionali, quelli che avevano caratterizzato la storia italiana del Dopoguerra, saranno spazzati via, dalle indagini e dalle urne.
Fatti antecedenti: C.A.F., Lega Nord e La Rete
Verso la fine degli anni ottanta la coalizione di maggioranza si consolidò nel patto informale del CAF (dall’acronimo di Craxi-Andreotti-Forlani), una solida alleanza che prevedeva un’alternanza al governo dei tre sottoscrittori del patto. Il fatto che un tale progetto politico sembrasse non prevedere alternative suscitò tuttavia una sensazione di immobilismo, dando l’impressione che i partiti si accordassero tra loro indipendentemente dal resto del Paese. Con la caduta del Muro di Berlino, che assunse il significato ideale di un crollo dell’alternativa al capitalismo, sembrarono aprirsi nuovi spazi di intesa tra il PSI e un PCI libero dalla pregiudiziale sovietica, ma il rapporto travagliato tra i due partiti che si era andato logorando lungo tutti gli anni Ottanta fece ben presto naufragare una tale prospettiva.
Tra l’altro, fu solo dopo la crisi delle Repubbliche del Patto di Varsavia, e la conseguente caduta della Cortina di ferro, che il PCI decise di effettuare la transizione dal comunismo al socialismo democratico, cambiando nome in Partito Democratico della Sinistra (PDS). Dal partito si distaccò l’ala dell’estrema sinistra libertaria e il ramo veterostalinista, guidati da Sergio Garavini e Armando Cossutta, che diedero vita al Partito della Rifondazione Comunista (PRC). La trasformazione avvenuta nella sinistra fece cadere in molti elettori moderati le ragioni per votare democristiano in funzione anticomunista.
Tale orientamento fu intercettato da due movimenti post-ideologici nati nel 1991, la Lega Nord e La Rete, con base elettorale rispettivamente nel Nord e nel Sud Italia. La Lega era una federazione di partiti regionalisti esistenti sin dal 1979, guidata da Umberto Bossi, che propugnava principalmente la risoluzione della questione settentrionale dovuta all’oneroso carico fiscale richiesto per finanziare la crescita economica nel Mezzogiorno. Il secondo, fondato da Leoluca Orlando sulla base di alcune associazioni cattoliche sociali, proponeva come tema centrale la lotta alla mafia e alla corruzione.
La Federazione delle Liste Verdi, movimento di ispirazione ambientalista e riformista fondato nel 1986, era un’altra giovane formazione estranea agli schemi tradizionali, e dopo la nascita dei Verdi Arcobaleno (fondati nel 1989) ci fu la fusione nella Federazione dei Verdi, nel 1990.
La scoperta della Gladio
In quello stesso anno venne scoperta l’organizzazione Gladio: si trattava di una struttura segreta creata a metà degli anni cinquanta per consentire la nascita di un movimento di resistenza, qualora i confini orientali fossero stati violati da un invasore straniero. Ne facevano parte 622 volontari, ed erano stati predisposti depositi d’armi (quasi tutti eliminati nel 1973) cui questi «partigiani» potessero attingere, per le loro azioni. Il magistrato veneziano Felice Casson riteneva che l’organizzazione fosse un’entità fuorilegge e avesse finalità eversive: in particolare quella di impedire che in Italia si affermassero le forze di sinistra (come il PCI).
Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica nel 1990 e sottosegretario alla Difesa nel triennio 1966-1969, rivendicò con orgoglio il ruolo svolto per migliorare la struttura che a suo avviso, pur essendo segreta, era legittima. Nei mesi successivi si scatenarono continue polemiche: Achille Occhetto (segretario comunista) tuonò contro la «democrazia limitata» che sarebbe esistita in Italia durante il dopoguerra e contro l’«eversione atlantica», mentre lo stesso Cossiga minacciò di autosospendersi purché lo facesse anche Andreotti (in quel momento Presidente del Consiglio). Successivamente Casson trasmise il fascicolo sull’organizzazione, per ragioni di competenza territoriale, alla Procura di Roma, la quale dichiarò che la struttura Stay-behind non aveva nulla di penalmente rilevante.
Le polemiche politiche e il malgoverno fecero scendere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei partiti: alle elezioni europee del 1989 un elettore su quattro si era astenuto o aveva votato scheda bianca, mentre i referendum abrogativi dell’anno seguente, sulla caccia e sui fitofarmaci, non avevano raggiunto il quorum fermandosi tra il 42 e il 43% dei voti.
Gli anni Novanta e lo scandalo di Mani Pulite
Il 9 giugno 1991 si tenne il referendum abrogativo delle preferenze multiple per i candidati alla Camera dei deputati in favore della preferenza unica, assimilando così il sistema elettorale al maggioritario uninominale pur lasciandolo formalmente proporzionale. Alla vigilia del voto si temeva che non si potesse raggiungere il quorum del 50% dei voti, con i partiti di governo che scelsero la linea dell’astensione invitando gli italiani ad andare al mare. Invece la partecipazione al referendum fu elevata: votò il 62,5% degli aventi diritto, e tra di loro oltre il 95% si pronunciò per la preferenza unica. Subito dopo il Capo dello Stato Cossiga presentò un messaggio alle Camere che evidenziava la necessità di riforme costituzionali, nell’ambito di una serie di «esternazioni» che la dottrina ha definito «episodi di forzatura della costituzione».
Il 17 febbraio 1992 cominciò l’inchiesta giudiziaria Mani pulite sul sistema delle tangenti, che coinvolse molti esponenti di tutti i maggiori partiti e fece emergere il fenomeno detto Tangentopoli. L’enorme perdita di credibilità subita in particolare dalle forze del pentapartito le portò a una crisi irreversibile, fino allo scioglimento della DC e del PSI, rispettivamente il più importante e il più antico dei partiti politici italiani. L’iniziativa della magistratura allora godette del diffuso sostegno dell’opinione pubblica alimentato dai mass media.
L’ascesa della Lega e il caso Pecorelli
Nelle elezioni politiche del 5 aprile 1992 la DC ottenne il minimo storico dei suffragi pur conservando la maggioranza relativa, PDS e PRC assommati ricevettero molti meno voti del vecchio PCI, mentre gli altri partiti di governo rimasero pressoché stabili nelle preferenze. La Lega Nord ottenne un risultato sorprendente vincendo in numerosi collegi settentrionali e ottenendo quasi il 9% a livello nazionale. Anche Rete e Verdi riuscirono a fare eleggere alcuni loro candidati. Conseguenza del voto fu un parlamento molto frammentato e senza una maggioranza robusta.
Questo periodo non vide solo la crisi della politica, ma anche delle istituzioni e dell’economia per colpa di una violenta offensiva della mafia contro le istituzioni e una spaventosa impennata del deficit pubblico. Il 27 marzo 1993 Giulio Andreotti fu raggiunto da un avviso di garanzia dalla Procura di Palermo per attività di mafia; il 5 aprile fu indagato dalla Procura di Milano per finanziamento illecito e la settimana dopo dalla Procura di Roma per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli (avvenuto nel 1979). Le inchieste di Palermo furono viste come un processo alla DC e all’intero sistema politico, e il contraccolpo fu notevole: Gianni Pilo, sondaggista della Fininvest, scrisse che la fiducia nei partiti era scesa al minimo storico, il 2% (solo nel 1989 era all’11,4%).
Il Mattarellum e lo scioglimento delle Camere
Il 18 aprile gli elettori furono chiamati a pronunciarsi sul referendum per la riforma elettorale del Senato della Repubblica (bocciato dalla Corte costituzionale due anni prima) instaurando il sistema maggioritario e aprendo la strada a un’analoga riforma per la Camera dei deputati. L’82,74% votò a favore della riforma e il 4 agosto successivo le Camere deliberarono la legge elettorale denominata «Mattarellum», che introdusse il sistema maggioritario misto, soppiantando il proporzionale puro che era considerato una delle cause dell’instabilità istituzionale e della partitocrazia.
Questa innovazione legislativa, oltre alla gravità della crisi che stava colpendo i partiti, il Parlamento e il Governo, spinse il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro – che già con l’incarico a Ciampi aveva sposato «una soluzione inedita, secondo la quale le forze politiche partecipavano al governo, ma con esponenti non appartenenti alle prime file dei rispettivi partiti» – a sciogliere anticipatamente le Camere e indire le elezioni per il 27 e 28 marzo 1994.