Cronaca

Roberto Scarpinato: «La verità ufficiale sulle stragi mafiose del 1992 non regge»

Il Procuratore Roberto Scarpinato sulle stragi del ’92: «La narrazione semplificata è messa a dura prova da verità che vanno oltre il livello mafioso». Domani ricorre l’anniversario della morte di Giovanni Falcone e della sua scorta nell’attentato di Capacci.

Il Procuratore Roberto Scarpinato sulle stragi del ’92

Il Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato ne è convinto quando parla delle stragi del ’92:

La verità ufficiale sulle stragi mafiose del 1992 non regge. La narrazione semplificata è messa a dura prova da verità che vanno oltre il livello mafioso. Più trascorrono gli anni e più cresce la mia sensazione di disagio nel partecipare il 23 maggio e il 19 luglio alle pubbliche cerimonie commemorative delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio.

Su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino:

La retorica di Stato ha i suoi rigidi protocolli. Esige che il discorso pubblico consegni alla memoria collettiva una narrazione tragica e, nello stesso tempo, semplice e pacificata. Si può riassumere nei seguenti termini: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono assassinati perché uomini simbolo di uno Stato. Le condanne inflitte con il maxiprocesso avevano sferrato un colpo mortale a Cosa nostra, mandando in frantumi il mito della sua invincibilità.

Sui protagonisti mafiosi che organizzarono le stragi:

I carnefici, i portatori del male di mafia, erano identificati e condannati. Hanno i volti noti di coloro che l’immaginario collettivo ha già elevato a icone assolute e totalizzanti della mafia: Riina, Provenzano d altri personaggi di tale fatta.

A tutti furono taciute le causali esterne di quella campagna stragista in parte coincidenti con gli interessi dell’organizzazione. In parte, invece, talmente divergenti da alimentare progressivamente in taluni capi e persino negli esecutori, la certezza che Riina e i suoi fedelissimi, tra i quali i fratelli Graviano e Matteo Messina Denaro, componenti di quelli che Riina aveva definito la ‘Super Cosa’, non dicevano tutta la verità.

Sui collaborati di ‘giustizia’:

Non hanno mai riferito alcunché delle riunioni che nel 1991 si svolsero nelle campagne di Enna. Nel corso delle quali i massimi vertici regionali della mafia discussero dell’attuazione di un complesso piano di destabilizzazione politica suggerito da entità esterne.

Quindi l’affondo:

La Corte d’assise ha accertato che le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana. Dunque eventuali finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato.

Interrogativi ancora senza risposta e che forse possono spiegare anche il pervicace silenzio mantenuto dai fratelli Graviano sui segreti delle stragi che coinvolgono centri di potere rimasti temibili e la straordinaria longevità della latitanza di Messina Denaro.