Almanacco

Il 30 dicembre del 2006 ci lascia Saddam Hussein: presidente dell’Iraq dal 1979 al 2003

Ṣaddām Ḥusayn ʿAbd al-Majīd al-Tikrītī (Saddam Hussein) è stato un politico e militare iracheno, leader assoluto dell’Iraq in un regime considerato dittatoriale dal 1979 al 2003, quando fu destituito durante la seconda guerra del Golfo in seguito all’invasione anglo-americana.

Saddam Hussein, tutto quello che c’è da sapere sull’ex-dittatore iracheno

Ṣaddām Ḥusayn ʿAbd al-Majīd al-Tikrītī (Saddam Hussein) è nato a Tikrit il 28 aprile del 1937. Prima di diventare Presidente e primo ministro dell’Iraq (carica che ha detenuto a partire dal 1979), il tiranno arabo ha avuto una vita assai turbolenta. Nato ad Auja si dedica molto presto alla politica, unendosi al ramo iracheno del partito socialista arabo (il “Bath”). Condannato a morte per un attentato al leader politico Qasim nel 1959, ripara in Siria, poi al Cairo.


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Rientrato in Iraq nel 1963, viene eletto vicesegretario del Bath nel 1964 e, grazie alle sue carismatiche doti di trascinatore di folle e di organizzatore politico, diventa il protagonista della rivoluzione del 1968, tesa a rovesciare il governo allora in carica. I tentativi per rovesciare lo “status quo” sono molteplici ma, in particolare, Saddam prende parte a due colpi di stato, assumendo il ruolo di responsabile della sicurezza.

L’ascesa al potere e la Guerra del Golfo

Collaboratore del presidente Ahmed Hasan al Bakr, gli succede appunto nel 1979 come presidente della Repubblica e segretario del Bath. Il 22 settembre del 1980, dietro sua forte pressione politica, esplode la guerra contro l’Iran, causata dall’occupazione, avvenuta nel 1973, di alcuni territori da parte dell’Iran. Il conflitto è aspro e cruento e causerà, durante i quindici anni della sua durata (la guerra finisce nell’88), migliaia di morti.


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Tuttavia, malgrado l’estenuante guerra per il territorio, nessuna della due parti in causa ne uscirà il realtà vincitrice. Dopo questo duro contraccolpo che piega la popolazione irachena, non si ferma però la sete di potere che Saddam cova dentro di sè da lungo tempo. Infatti, appena due anni dopo, con una mossa a sorpresa e senza nessuna ragione apparente invade il Kuwait. L’azione, com’è comprensibile, anche per via della grande importanza strategica ed economica del Kuwait, ha una forte ripercussione internazionale; allerta nazioni occidentali e gli Stati Uniti e preoccupa fortemente i vicini stati arabi, già pressati da una situazione geo-politica esplosiva.

Dopo numerose minacce, puntualmente ignorate da parte del Rais arabo, un contingente alleato (a cui aderiscono più di trenta paesi) interviene il 17 gennaio 1991 provocando la cosiddetta “Guerra del Golfo”. L’Iraq rapidamente si trova costretto al ritiro e subisce una pesante sconfitta. Nonostante ciò, il dittatore riesce a mantenersi saldamente al potere.


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Anzi, approfittando del caos internazionale e dell’apparente debolezza che il suo Paese esprime agli occhi della comunità internazionale, scatena una campagna di sterminio nei confronti delle popolazioni curde, da sempre fortemente osteggiate ed emarginate dall’Iraq e invise in particolar modo al dittatore. Fortunatamente, anche in questo caso l’intervento delle forze occidentali lo costringe ad una drastica limitazione dell’aviazione irachena all’interno dello stesso spazio aereo del Paese.

Gli anni delle sanzoni

Ad ogni modo, Saddam non smette di prodursi in una serie di piccole e grandi provocazioni, che vanno dal tentativo di impedire le ispezioni Onu agli impianti sospettati di produrre armamenti non convenzionali, agli sconfinamenti in territorio kuwaitiano, ai movimenti di missili. Nel febbraio del 1998 provoca una nuova crisi a livello internazionale, minacciando di ricorrere a oscure “nuove strategie” se le sanzioni non verranno sospese (in realtà, la minaccia è quella di utilizzare armi chimiche).


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Atteggiamenti che portano a nuovi interventi compreso un parziale bombardamento della stessa capitale, mentre l’Onu promuove un altro e più rigido embargo nei confronti dell’Iraq. Le sanzioni portano ad un rapido declino dell’economia irachena: cibo insufficiente, peggioramento dei servizi sanitari pubblici. Tutto ciò, però, non sembra al momento indebolire il radicato potere di Saddam.

Isolato sul piano internazionale, Saddam riesce infatti a mantenere la sua leadership anche grazie a una forte repressione interna e a continui rimescolamenti all’interno delle posizioni di potere. Si susseguono epurazioni e uccisioni, anche a tradimento, addirittura ai danni dei suoi stessi familiari, come quando il suo primogenito viene fatto oggetto di un attentato mai ben chiarito. Per non saper nè leggere nè scrivere, Saddam fa arrestare la propria moglie Sajida accusandola del complotto.

Gli ultimi anni

Com’è facilmente comprensibile, nel protrarsi degli anni, l’embargo internazionale a cui è stato soggetto l’Iraq ha fortemente prostrato la popolazione civile, l’unica a pagare le conseguenze della scellerata politica del despota.


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Eppure, il paese arabo poteva contare sugli introiti derivanti dalla vendita di petrolio, di cui è abbondantemente fornito; fonti governative di vari paesi, però, hanno dimostrato come in realtà Saddam Hussein intascasse buona parte dei milioni derivanti dalla vendita del cosiddetto “oro nero”, per spenderli in buona parte per un uso “personale” (e per mantenere il vasto apparato burocratico e difensivo di cui si era circondato). Negli anni del suo massimo potere, poi, come ulteriore sfregio alla miseria in cui versavano le masse, ordinò la costruzione di un monumento a Baghdad per celebrare la guerra del Golfo, chiedendo non contento la composizione di un nuovo inno nazionale.

Fortunatamente, come ormai è ben noto, la storia recente ha visto la fine di questo strappo mediorientale, grazie all’entrata delle truppe americane a Baghdad, in seguito alla guerra scatenata contro di lui dal presidente americano Bush. Indipendentemente dalla legittimazione che questa guerra ha raccolto e alle numerose critiche si è trascinata dietro, nessuno può dirsi indifferente alle scene di giubilo del popolo iracheno che, con la caduta di Saddam (simbolicamente rappresentata dall’abbattimento delle statue precedentemente erette in suo onore), ha festeggiato la fine di un incubo e l’aprirsi di uno spiraglio per una nuova storia nazionale tutta da costruire.

Fuga, cattura e morte

Dopo la caduta di Bagdad (9 aprile 2003) Saddam fugge e di lui non si hanno più notizie, se non alcuni messaggi audio registrati. Il giorno 1 maggio George W. Bush proclama finita la guerra.


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I figli Uday e Qusay vengono uccisi in uno scontro a fuoco il 22 luglio. Ma la caccia a Saddam Hussein finisce solo il 13 dicembre 2003 in modo poco glorioso, quando viene catturato in un buco scavato nella terra in una fattoria vicino a Tikrit, sua città natale, con la barba lunga, stanco e demoralizzato, senza opporre alcuna resistenza.

Viene processato da un tribunale iracheno per la strage di Dujail del 1982 (148 sciiti uccisi); il 5 novembre 2006 viene proclamata la sua condanna a morte per impiccagione: l’esecuzione avviene a Baghdad il 30 dicembre.