Iran, i funerali del generale Qassem Soleimani: il popolo iraniano giura vendetta contro gli americani. Ecco qual è la situazione attuale.
L’Iran dice addio a Soleimani
L’Iran metterà in atto una vendetta contro gli americani per l’uccisione del generale Qassem Soleimani al punto che “metterà fine alla presenza degli Usa nella regione”. Lo ha detto questa sera il comandante delle Guardie della rivoluzione, Hossein Salami, citato dall’agenzia Fars. Nel frattempo il capo del Centro per gli studi strategici dell’esercito, generale Ahmad Reza Purdastan, ha detto che gli Usa “hanno chiesto a 16 Paesi di mediare per indurre l’Iran a non compiere una rappresaglia”.
Trentacinque obiettivi americani, oltre a Tel Aviv, sono “sono a portata di tiro della Repubblica islamica” e potrebbero essere colpiti in una rappresaglia iraniana per l’uccisione giovedì sera a Baghdad del generale Qassem Soleimani. Lo ha detto il generale Gholamali Abuhamzeh, comandante delle Guardie della rivoluzione nella provincia sud-orientale di Kerman, citato dall’agenzia Tasnim. Abuhamzeh ha accennato in particolare alla possibilità di attacchi nello Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa circa il 20% dei traffici petroliferi mondiali via mare: “Lo Stretto di Hormuz – ha affermato – è una rotta vitale per l’Occidente, e un gran numero di navi da guerra americane attraversano lo Stretto di Hormuz, il Golfo di Oman e il Golfo Persico”.
Se l’Iran colpisce americani o asset americani gli Usa colpiranno molto duramente l’Iran. E gli Stati Uniti hanno già individuato 52 siti iraniani che potranno essere attaccati molto rapidamente: è la minaccia twittata da Donald Trump, spiegando che il numero 52 corrisponde “agli ostaggi americani presi dall’Iran molti anni fa” nell’ambasciata Usa a Teheran. Il presidente americano spiega che molti di questi obiettivi sono di “livello molto elevato e importanti per l’Iran e per la cultura iraniana”
‘Morte all’America’: sono grida di vendetta quelle che si sono alzate da Baghdad durante i funerali di Qassem Soleimani, al quale hanno partecipato non solo migliaia di miliziani e comuni sostenitori delle forze sciite fedeli all’Iran, ma anche il primo ministro Adil Abdul-Mahdi e diversi deputati. Poche ore dopo, due attacchi simultanei hanno preso di mira gli americani: due razzi Katyusha hanno colpito la base di Balad, a nord della capitale, mentre due obici di mortaio si sono abbattuti sulla superprotetta Green Zone, che ospita diverse ambasciate, fra cui quella statunitense.
Ma al di là delle affermazioni pubbliche, e degli attacchi di matrice sconosciuta in cui non sono per ora segnalate vittime, la Repubblica islamica dà l’impressione di soppesare attentamente le prossime mosse, per evitare errori di calcolo che potrebbero portare ad una guerra aperta. Visitando a Kerman, nel sud-est dell’Iran, la famiglia di Soleimani, il presidente Hassan Rohani ha assicurato alla figlia che “tutti” vogliono vendicare la morte di suo padre e ha promesso che gli Usa “pagheranno le conseguenze non solo oggi, ma anche negli anni a venire” per il blitz in cui giovedì sera hanno ucciso a Baghdad il capo della Forza Qods dei Pasdaran.
Il rappresentante iraniano presso l’Onu, Majid Takht Ravanchi, in una lettera al segretario generale Antonio Guterres ha scritto che il suo Paese reagirà con “un’azione militare all’azione militare” degli Stati Uniti, riservandosi di decidere “dove e quando”. Ma allo stesso tempo l’Iran non respinge gli approcci diplomatici. La vendetta iraniana per l’uccisione del generale Qassem Soleimani potrebbe colpire ovunque: più probabilmente in Medio Oriente, ma anche in altre parti del mondo.
E l’obiettivo potrebbe essere non solo l’America, ma anche le forze e gli interessi degli alleati Usa. E’ questo che vanno ripetendo in queste ore esperti e commentatori americani, anche se da Washington assicurano che al momento non esistono minacce “specifiche e credibili”. L’unico vero allarme per ora è quello su una possibile massiccia ondata di cyberattacchi che l’Iran potrebbe sferrare con conseguenze disastrose in Occidente. Non è detto che la risposta della Repubblica islamica arrivi nell’immediato: non solo per rispettare il lutto proclamato per la morte del generale iraniano, ma anche per la necessità di riorganizzare i vertici di intelligence e militari di cui Soleimani era il leader assoluto. Di certo – spiegano gli esperti – i target allo studio di Teheran saranno altamente simbolici, quanto me. C’è poi il timore per i soldati Usa di stanza in Medio Oriente, dall’Iraq alla Siria, dal Bahrain al Kuwait agli Emirati Arabi. E più che mai obiettivi sensibili sono le ambasciate-fortezza degli Usa nell’area, per proteggere le quali sono in arrivo almeno 2.800 soldati per dare rinforzo alle truppe già presenti. Un altro fronte che preoccupa sono gli impianti petroliferi, a partire da quelli in Arabia Saudita già colpiti a suo tempo dalle milizie filo-iraniane, e le petroliere che transitano nel Golfo Persico.
Intanto, mentre la Nato ha sospeso a scopo precauzionale le sue attività di addestramento in Iraq, Papa Francesco ha lanciato un accorato appello alla pace via Twitter: “Dobbiamo credere che l’altro ha il nostro stesso bisogno di pace. Non si ottiene la pace – ha affermato il Pontefice – se non la si spera. Chiediamo al Signore il dono della pace!”. La prima dura risposta iraniana agli Usa potrebbe essere politica e venire proprio da Baghdad, dove domenica è in programma una riunione del Parlamento che potrebbe votare per il ritiro dal Paese dei 5.200 militari Usa, una mossa che lascerebbe il campo libero a Teheran per rafforzare ulteriormente la presa sul Paese vicino.
Mediazione, soluzione politica, dialogo: il premier Giuseppe Conte, dopo un giorno di silenzio, interviene sull’escalation di tensione in Iraq e mette in campo quei concetti che il governo italiano ritiene indispensabili anche per la soluzione della più vicina crisi libica. E, come sul dossier dello Stato nordafricano, l’Italia chiama in causa l’Europa per un ruolo più propositivo, e da dipanare con una sola voce, nello scacchiere mediorientale. A Palazzo Chigi si respira fortissima preoccupazione per la crisi in Iraq. Sono soprattutto due gli aspetti che fanno scattare l’allarme delle stanze del governo. Innanzitutto quello che riguarda i nostri militari di stanza in Libano e Iraq. Nel Paese dei cedri e di Hezbollah – tra i principali alleati di Qassem Soleimani – i soldati italiani inquadrati nella missione Unifil sono 1250. In Iraq oltre novecento. “C’è massima attenzione sui nostri militari da parte di Conte”, fanno trapelare da Palazzo Chigi. Al momento l’Italia non medita alcun ritiro dei suoi militari. “Le missioni continuano, c’e’ stato un innalzamento delle misure di sicurezza previsto in situazioni di questo tipo e deciso con la coalizione”, assicura il ministro della Difesa Lorenzo Guerini sottolineando come, invece, siano state sospeso l’attività di addestramento delle forze irachene.
Qualcosa sembra essersi rotto nei rapporti tra Stati Uniti e Europa. Le tensioni ci sono da tempo, soprattutto da quando alla Casa Bianca è arrivato Donald Trump. Ma la crisi con Teheran, culminata nella clamorosa uccisione del generale Qassem Soleimani, sembra aver scavato un solco particolarmente profondo. Così come mai tanto a rischio negli ultimi anni sono state le relazioni tra Washington e Baghdad. La mossa inattesa del presidente americano ha spiazzato tutti, ed è stata accolta con grande freddezza nelle capitali del Vecchio Continente. Nel fittissimo giro di telefonate delle ultime ore se ne è accorto il segretario di stato Usa Mike Pompeo, non nascondendo la sua irritazione e quella della Casa Bianca. “Francamente sono rimasto deluso dagli alleati europei”, ha confessato in un’intervista a Fox News, “non sono stati così d’aiuto come avremmo desiderato”. Il capo della diplomazia americana spiega di aver trascorso negli ultimi due giorni gran parte del tempo proprio al telefono, per spiegare al mondo la decisione del presidente Trump. “Ho parlato con i partner nella regione mediorientale, condividendo con loro cosa stavamo facendo, perché lo stavamo facendo e cercando la loro assistenza. Sono stati tutti fantastici”. “Poi – ha aggiunto Pompeo – parlando con i nostri alleati altrove in altri luoghi non li ho sentiti altrettanto disponibili. I britannici, i francesi, i tedeschi devono capire che quello che gli americani hanno fatto ha salvato vite anche in Europa!”.