Processo da rifare per Massimo Raccuia, soccorritore ed istruttore del 118 a Torino accusato di aver violentato una collega all’ospedale Gradenigo e assolto in primo grado perché la vittima era stata giudicata non attendibile. Per i giudici la vittima “aveva detto basta, ma non aveva urlato o pianto” e non aveva “tradito emotività“. Ora la Cassazione ha dato ragione alla procura generale.
Assolto dallo stupro perché “la vittima non urlò”
I fatti risalirebbero al 2011. In appello la donna era stata ritenuta credibile ma Raccuia era stato nuovamente assolto perché mancava la querela. Il sostituto procuratore generale Elena Daloiso, che aveva sostenuto in aula l’accusa contro Raccuia, aveva però fatto ricorso per Cassazione. Gli ermellini le hanno dato ragione e il processo d’appello è ora da rifare.
La sentenza in Primo Grado
Come riporta Il Messaggero, nelle motivazioni della sentenza di primo grado il giudice definiva “inverosimile” il racconto della donna, che non aveva “tradito quella emotività che pur avrebbe dovuto suscitare in lei la violazione della sua persona” e “non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo“.
Inoltre, “non avrebbe adottato alcuna precauzione per evitare di rimanere sola con lui, né per ostacolarne la violenza quando se ne fosse ripresentata l’occasione“. Il giudice aveva anche deciso di trasmettere gli atti in procura per procedere contro la vittima per calunnia.
Assolto anche in Appello
Sempre secondo quanto riportato dal quotidiano, in appello la donna era stata riascoltata e ritenuta pienamente credibile. In questo caso, però, Raccuia era stato assolto per via della tesi della corte sulla non procedibilità del reato: mancava la querela. La vittima, infatti, non aveva sporto subito denuncia, l’aveva sporta successivamente, ma i giudici di secondo grado avevano ritenuto tardiva la querela.
Per la Cassazione il processo è da rifare
Nel fare ricorso per Cassazione, come riporta anche La Repubblica Torino, Daloiso aveva puntato sul ruolo di superiore che l’uomo ricopriva. Pur parlando di volontari, infatti, la vittima era di fatto una sua sottoposta, che non aveva sporto subito denuncia perché impaurita dalla situazione.
La Cassazione ha dato ragione alla procura generale e il processo d’appello è da rifare. La querela non è stata ritenuta necessaria e quindi il reato è stato giudicato procedibile d’ufficio.