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Vittorio De Sica, vita e carriera di uno dei cineasti più influenti della storia del cinema

Vittorio De Sica è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano. Tra i cineasti più influenti della storia del cinema, è stato inoltre attore di teatro e documentarista. È considerato uno dei padri del neorealismo e uno dei maggiori registi e interpreti della commedia all’italiana.
I suoi film Sciuscià, Ladri di biciclette, Ieri, oggi, domani e Il giardino dei Finzi Contini hanno vinto l’Oscar al miglior film in lingua straniera, premio al quale fu anche candidato Matrimonio all’italiana. A Napoli gli è stata dedicata una strada nel quartiere Stella, alle spalle di piazza Cavour.

7 luglio 1901: nasce Vittorio De Sica,

Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano De Sica nacque il 7 luglio 1901 a Sora, all’epoca parte della provincia campana di Terra di Lavoro (dal 1927 annessa alla neoprovincia di Frosinone nel Lazio), in via Cittadella, nel rione omonimo, da Umberto De Sica, un impiegato nella sede locale della Banca d’Italia, cagliaritano originario di Giffoni Valle Piana, e da Teresa Manfredi, una casalinga napoletana. Nella chiesa di san Giovanni Battista, posta proprio di fronte alla casa di famiglia, ricevette il battesimo con i nomi di Vittorio, Domenico, Stanislao, Gaetano, Sorano.


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Il padre Umberto collaborò con lo pseudonimo di Caside per un mensile locale, La voce del Liri, pubblicato dal 1909 al 1915. Vittorio aveva con il padre un rapporto molto forte (a lui, infatti, dedicherà il suo film Umberto D.). Come Vittorio ebbe a dire, la sua famiglia viveva in “tragica e aristocratica povertà”.

In seguito, nel 1914, si trasferì con i familiari a Napoli e ancora, dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, a Firenze. A 15 anni cominciò a esibirsi come attore dilettante in piccoli spettacoli organizzati per i militari ricoverati negli ospedali. In seguito avvenne il definitivo trasferimento a Roma.

Gli esordi in teatro

Durante gli studi di ragioneria, grazie all’intercessione dell’amico di famiglia Edoardo Bencivenga, ottiene un piccolo ruolo (impersonava un Clémenceau giovane) in un film muto diretto da Alfredo De Antoni, Il processo Clémenceau del 1917.

Preferisce comunque continuare gli studi salvo poi, dopo aver ottenuto il diploma di ragioniere, accettare nel 1923 una scrittura teatrale da generico nella compagnia di Tatiana Pavlova, con la quale rimase per due anni. Nella primavera del 1925 è secondo attore brillante nella compagnia di Italia Almirante, celebre diva del muto, quindi nel 1927 passa alla qualifica di secondo attor giovane nella compagnia di Luigi Almirante, Sergio Tofano e Giuditta Rissone.


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De Sica nel suo primo film, Il processo Clémenceau del 1917.

Nel 1930 giunse al livello di primo attore, accanto a Guido Salvini, e lì viene notato da Mario Mattoli, in quel momento titolare della Compagnia Teatrale Za-Bum (il primo serio esperimento teatrale italiano di mescolare la comicità degli attori del varietà al genere drammatico degli attori di prosa), il quale, comprese le qualità brillanti di De Sica, lo scrittura immediatamente e lo mette al fianco di Umberto Melnati, con il quale formò una coppia comica di assoluto rilievo per l’epoca, con gag e tormentoni che li rendono celebri a livello nazionale. Soprattutto la canzone Lodovico sei dolce come un fico e tanti sketch radiofonici: da citare su tutti il Dura minga, dura no ripreso in seguito negli anni cinquanta in un carosello pubblicitario da Ernesto Calindri e Franco Volpi. Nel 1933 fondò una sua propria compagnia con Giuditta Rissone e Sergio Tofano, con rappresentazioni soprattutto comiche.

Nell’immediato dopoguerra, quando cominciò a essere celebre anche come regista cinematografico, insieme a Paolo Stoppa e a Vivi Gioi dal 1944 portò in scena anche drammi di notevole valore come Catene di Langdon Martin. Nella stagione 1945-1946 partecipò a due spettacoli diretti da Alessandro Blasetti, Il tempo e la famiglia Conway di John Boynton Priestley e Ma non è una cosa seria di Luigi Pirandello. Nella stagione 1946-1947 lavorò con Luchino Visconti, insieme a Vivi Gioi e a Nino Besozzi nello spettacolo Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, oltre che alla rivista Ah… ci risiamo! scritta da Oreste Biancoli. Infine, nella stagione 1948-1949, partecipò alle due novità I giorni della vita di William Saroyan e Il magnifico cornuto di Fernand Crommelynck, entrambi diretti da Mario Chiari. Quella fu la sua ultima apparizione sul palcoscenico: in seguito, sempre più assorbito da impegni cinematografici e televisivi, non vi fece più ritorno. Si calcola che De Sica, tra il 1923 e il 1949, abbia preso parte, tra commedie, spettacoli di rivista e drammi in prosa, a oltre 120 rappresentazioni.

Attore cinematografico

Sul grande schermo, dopo altre due partecipazioni a film muti diretti da Mario Almirante nel biennio 1927-1928, diventò un divo tra i più richiesti (alla pari con Amedeo Nazzari, Gino Cervi e Fosco Giachetti) dal 1932, con molte commedie garbate e gradevoli interpretate con Lya Franca e Assia Noris e tutte dirette da Mario Camerini: tra queste si ricordano Gli uomini, che mascalzoni… del 1932, in cui lancia la celeberrima canzone Parlami d’amore Mariù, suo cavallo di battaglia per il resto della carriera, quindi Darò un milione del 1935, dove incontra Cesare Zavattini, Il signor Max del 1937 e I grandi magazzini del 1939.


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Un giovanissimo De Sica ad inizio carriera in un’immagine degli anni venti.

Anche una volta iniziata la sua prestigiosa attività come regista continuò a recitare: apparve in un centinaio di pellicole, anche in brevi ruoli di contorno, vincendo un Nastro d’argento nel 1948 e ottenendo numerosi premi negli anni seguenti a diversi festival. Per motivi ideologici rifiutò la proposta di dirigere il film Don Camillo.

Nei primi anni Cinquanta colse come interprete un notevole successo di pubblico con due pellicole dirette da Alessandro Blasetti e Luigi Comencini, e nelle quali recitò a fianco di Gina Lollobrigida: Altri tempi – Zibaldone n. 1 (1952), nell’episodio Il processo di Frine; quindi in Pane, amore e fantasia (1953), dove interpretava l’esuberante maresciallo Carotenuto, film che ebbe un enorme successo, così come i due sèguiti Pane, amore e gelosia del 1954, sempre a fianco di Gina Lollobrigida e Pane, amore e… del 1956, questa volta a fianco di Sophia Loren. Divertente la sua interpretazione al fianco di Totò in I due marescialli (1961).

Il rapporto con Alberto Sordi

Ebbe anche un proficuo rapporto con Alberto Sordi, che tentò di lanciare nel 1951 producendo e dirigendo anonimamente Mamma mia, che impressione! e con il quale recitò in diversi film, tra i quali sono da menzionare Il conte Max, Il moralista e Il vigile. Il risultato più alto del connubio è probabilmente in un film diretto dallo stesso Sordi, Un italiano in America (1967), dove interpretò un incisivo e malinconico ruolo di uno sfaccendato squattrinato emigrato negli Stati Uniti d’America, che sfrutta la partecipazione a una trasmissione televisiva per incontrare il figlio che non vedeva da tempo e al quale fa credere di essere ricco.


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De Sica con Carotenuto e Blasetti durante una pausa della lavorazione di Tempi nostri del 1954.

Molto intense anche le sue interpretazioni drammatiche: su tutte quella de Il generale Della Rovere, di Roberto Rossellini (1959), e la partecipazione nel remake di Addio alle armi di Charles Vidor (1957). Nella parte finale della propria carriera artistica si trovò ad interpretare ruoli secondari in film anche molto lontani dalla sua immagine, come nel caso di Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete!!! di Paul Morrissey (1974).

De Sica regista

De Sica compì il suo esordio dietro la macchina da presa nel 1939 sotto l’egida di un potente produttore dell’epoca, Giuseppe Amato, che lo fece debuttare nella commedia Rose scarlatte.

Fino al 1942 la sua produzione da regista non si discosta molto dalle commedie misurate e garbate simili a quelle di Mario Camerini: ricordiamo Maddalena… zero in condotta (1940) con Carla Del Poggio e Irasema Dilian, e Teresa Venerdì (1941) con Adriana Benetti e Anna Magnani.

A partire dal 1943, con I bambini ci guardano (tratto dal romanzo Pricò di Giulio Cesare Viola) iniziò, insieme a Zavattini ad esplorare le tematiche neorealiste.


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Vittorio De Sica con Cesare Zavattini, fotografia di Federico Patellani, 1951.

Dopo un film a sfondo religioso realizzato nella Città del Vaticano durante l’occupazione della capitale, La porta del cielo (1944), il regista firma, uno dietro l’altro, quattro grandi capolavori del cinema mondiale: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), ricavato dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini, Miracolo a Milano (1951), tratto dal romanzo Totò il buono dello stesso Zavattini, e Umberto D. (1952), tutte pietre miliari del neorealismo cinematografico italiano. I primi due ottengono l’Oscar come miglior film straniero e il Nastro d’argento per la migliore regia. Nonostante ciò, alla presentazione di Sciuscià in un cinema milanese, il regista venne accusato da uno spettatore presente in sala di rendere una cattiva immagine dell’Italia.

Altre grandi opere

Dopo questa quadrilogia, De Sica firmò altre opere importanti: L’oro di Napoli (1954) tratto da una raccolta di racconti di Giuseppe Marotta, Il tetto (1956) che è considerato il suo passo d’addio al neorealismo, quindi l’acclamato La ciociara, del 1960, tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia, che vanta una vibrante interpretazione di Sophia Loren, la quale vinse numerosi premi: Nastro d’argento, David di Donatello, Palma d’oro al Festival di Cannes e il Premio Oscar per la miglior attrice.

Con la Loren lavorò anche in seguito, nell’episodio La riffa inserito nel film Boccaccio ’70 (1962), quindi in coppia con Marcello Mastroianni in Ieri, oggi e domani (1963), con tre ritratti di donna (la popolana, la snob e la mondana) e terzo suo Oscar, Matrimonio all’italiana (1964), trasposizione di Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, e I girasoli (1970).


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Ladri di biciclette (1948), considerato una pietra miliare del cinema italiano.

Nel 1972 ottenne un quarto Premio Oscar con la trasposizione filmica del romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi-Contini, storia drammatica della persecuzione di una famiglia ebrea ferrarese durante il fascismo; quest’opera ottiene anche l’Orso d’oro al Festival di Berlino del 1971. L’ultimo film da lui diretto è la riduzione di una novella di Luigi Pirandello, Il viaggio (1974), interpretato ancora da Sophia Loren, accanto a Richard Burton.

La canzone napoletana

Nel 1911, in un periodo in cui, a causa di un’epidemia di colera, le autorità avevano proibito di mangiare i fichi, pur di procurarsene, anche perché costavano poco, la madre si faceva aiutare dal piccolo Vittorio durante gli acquisti dagli ambulanti. De Sica in questo caso fungeva da palo per dare l’allarme all’arrivo della legge.

In un’occasione, quando si profilarono due carabinieri, l’artista intonò Torna a Surriento. Ai militi piacque e chiesero di continuare; De Sica si trovò così a interpretare tutto il repertorio napoletano a lui noto. Negli anni seguenti, divenuto attore, incise numerose versioni dei classici napoletani.


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Vittorio De Sica durante i sopralluogi del film L’oro di Napoli, fotografia di Federico Patellani, 1953.

Ernesto Murolo lo bocciò esclamando durante una sua esibizione: “Tene sulo nu filo ‘e voce”. Inoltre, alludendo alla sua magrezza, aggiunse: “Pare nu miezo tisico”. Lo apprezzò, invece, Enzo Lucio Murolo, l’inventore della sceneggiata. Disse Dino Falconi, autore di riviste: “Nessuno meglio di me può assicurare che Vittorio De Sica cantava come soltanto un napoletano sa cantare”.

Nella maturità, incise Signorinella di Bovio. Fece in tv a Studio Uno un duetto con Mina in Amarsi quando piove. Per la collana Recital dedicò album a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo e Michele Galdieri, in cui interpretava canzoni e recitava poesie.

Nel 1968 partecipò come autore a un Festival di Napoli. La sua Dimme che tuorne a mme!, musicata dal figlio Manuel, nel Festival di Napoli 1968 fu interpretata da Nunzio Gallo e da Luciano Tomei, ma non entrò in finale. Più volte progettò di prendere casa a Posillipo: De Sica sosteneva che “nu cafone ‘e fora” – come lui si definiva – può amare Napoli più di un napoletano.

Incise l’ultimo album nel 1971: De Sica anni Trenta, realizzato con gli arrangiamenti del figlio Manuel. La sua interpretazione più nota, tuttavia, resterà quella di Munasterio ‘e santa Chiara.

In televisione

Molto attivo anche sul piccolo schermo, sebbene non lo amasse molto, partecipò a diverse trasmissioni statunitensi e italiane di intrattenimento leggero come Il Musichiere (1960), Studio Uno (1965), Colonna Sonora (1966), Sabato Sera con Corrado (1967), Delia Scala Story (1968), Stasera Gina Lollobrigida (1969), Canzonissima con Corrado e Raffaella Carrà (1970-71) e Adesso musica (1972), nonché nel ruolo del giudice chiamato a processare il burattino Pinocchio nello sceneggiato Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (1972). Nel 1971 diresse due documentari, e inoltre molti uomini di cultura gli dedicarono diversi documentari onorifici.


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De Sica, ad Alassio, sul set de I bambini ci guardano.

Era nota la sua grande passione per il gioco, per la quale si trovò a volte a perdere somme anche ingenti, e che probabilmente spiega qualche sua partecipazione a pellicole non alla sua altezza. Una passione che non nascose mai e che anzi riportò, con grande autoironia, in diversi suoi personaggi cinematografici, come ad esempio in Il conte Max, Un italiano in America o L’oro di Napoli.

Morte e sepoltura

Vittorio De Sica morì a 73 anni in seguito a un intervento chirurgico per curare un tumore ai polmoni di cui soffriva, all’ospedale di Neuilly-sur-Seine, presso Parigi; nello stesso anno, Ettore Scola gli dedicò il suo capolavoro C’eravamo tanto amati. Come ha ricordato suo figlio Christian durante un’intervista a Le invasioni barbariche, Vittorio De Sica era comunista, e questo fatto, unito ovviamente alle sopraccitate vicende matrimoniali, gli impedì di ricevere un funerale particolarmente fastoso. Per Carlo Lizzani era in realtà «un tranquillo conservatore».


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La piastrella autografata da De Sica sul muretto di Alassio.

Trentacinque anni dopo, Annarosa Morri e Mario Canale gli hanno dedicato il documentario Vittorio D., presentato alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e successivamente trasmesso da LA7. La sua salma riposa nel cimitero monumentale del Verano a Roma.

Vita privata

Vittorio De Sica si sposò nella Chiesa di San Pietro di Borgo San Pietro ad Asti il 10 aprile del 1937 con l’attrice torinese Giuditta Rissone, che aveva conosciuto dieci anni prima e dalla quale l’anno dopo ebbe la figlia Emilia. Nel 1942, sul set del film Un garibaldino al convento conobbe l’attrice catalana María Mercader, con la quale andò in seguito a convivere.


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De Sica, Nico Pepe, Domenico Forges-Davanzati, Giuditta Rissone radio EIAR nel 1940.

Dopo il divorzio dalla Rissone, ottenuto in Messico nel 1954, si unì con l’attrice catalana in un primo matrimonio nel 1959 sempre in Messico, ma l’unione fu ritenuta “nulla” perché non riconosciuta dalla legge italiana; nel 1968 ottenne la cittadinanza francese e si sposò con María Mercader a Parigi. Da lei aveva nel frattempo avuto due figli: Manuel nel 1949, musicista, e Christian nel 1951, che seguirà le sue orme come attore e regista. Figlio di Manuel, suo nipote Andrea, nato nel 1981, è anche lui regista e sceneggiatore.

Seppur divorziato, De Sica non seppe rinunciare alla sua prima famiglia. Avviò così un doppio ménage, con doppi pranzi nelle feste e un conseguente logorìo; si racconta che alla Vigilia e all’ultimo dell’anno regolasse l’orologio avanti di due ore in casa della Mercader per poter brindare alla mezzanotte. La prima moglie accettò di mantenere una sorta di matrimonio apparente pur di non togliere alla figlia la figura paterna.