Almanacco

L’8 luglio del 1879 Sandro Pertini viene eletto Presidente della Repubblica

Era dunque ufficiale: dopo 16 scrutini andati a vuoto l’ottantaduenne socialista, Sandro Pertini, già Presidente della Camera, veniva eletto al Quirinale. Un lungo scroscio di applausi riempì l’aria di Montecitorio. Un uomo coerente che ha sempre pagato un alto prezzo per le sue posizioni.
Un idealista mai scalfito dalle persecuzioni, con il suo tratto intransigente e allo stesso tempo profondamente umano. Era la prima volta, dal 1946, che un Socialista veniva eletto Presidente della Repubblica. Alla fine dello spoglio alle 13,30 circa, l’esito finale parlava di un successo schiacciante: 832 voti su 995 (121 le schede bianche), anche questo era un dato inedito nella storia della Repubblica.

Pertini, nel frattempo, si trovava nella sua abitazione-studio nei pressi della Fontana di Trevi. Era stato sul punto di rinunciare definitivamente alla candidatura per le divergenze e le pressioni attorno alla sua figura. Sul letto, le valigie già pronte per un periodo di riflessione nella sua amata Nizza, che lo vide manovale durante la fuga dalla giustizia fascista.

8 luglio 1978: Sandro Pertini Presidente della Repubblica italiana

Alle 12:57 di sabato 8 luglio 1978 il Presidente della Camera Pietro Ingrao leggeva per la cinquecentoseiesima volta il nome dell’Avvocato Sandro Pertini (San Giovanni di Stella, Savona, 25 settembre 1896).


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Era dunque ufficiale: dopo 16 scrutini andati a vuoto l’ottantaduenne socialista, già Presidente della Camera, veniva eletto al Quirinale. Un lungo scroscio di applausi riempì l’aria di Montecitorio. Era la prima volta dal 1946 che un Socialista veniva eletto Presidente della Repubblica.

Alla fine dello spoglio alle 13,30 circa, l’esito finale parlava di un successo schiacciante: 832 voti su 995 (121 le schede bianche), anche questo era un dato inedito nella storia della Repubblica. Pertini, nel frattempo, si trovava nella sua abitazione-studio nei pressi della Fontana di Trevi. Era stato sul punto di rinunciare definitivamente alla candidatura per le divergenze e le pressioni attorno alla sua figura. Sul letto, le valigie già pronte per un periodo di riflessione nella sua amata Nizza, che lo vide manovale durante la fuga dalla giustizia fascista.

Il fantasma di Aldo Moro

Il percorso che portò il vecchio partigiano Pertini a ricoprire la più alta carica dello Stato fu lungo e tutt’altro che semplice, intrapreso in uno dei periodi più difficili per le Istituzioni repubblicane a soli due mesi dall’assassinio del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro avvenuto il 9 maggio del 1978.


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Proprio l’esito drammatico dei 55 giorni di prigionia dello statista democristiano nella prigione delle Brigate Rosse aveva segnato profondamente il corso della politica italiana.

La sconfitta dello Stato e le gravissime spaccature tra i sostenitori della fermezza nei confronti dei terroristi in contrasto tra i fautori del dialogo (in primis Craxi) resero ancora più precario l’equilibrio politico di un paese atterrito dall’omicidio di Moro e dall’escalation di violenze degli anni di piombo, ora dirette al “cuore dello Stato”. Ad aggiungere peso alle incognite, Aldo Moro aveva portato con sé nella tomba l’idea del “compromesso storico” tra il suo partito ed il PCI.

La fine ingloriosa di Giovanni Leone

Contemporaneamente ai cupi giorni di quella tarda primavera del 1978, sulla figura dell’ormai ex Capo dello Stato era calata l’ombra dello scandalo. Giovanni Leone aveva infatti rassegnato le dimissioni il 15 giugno 1978, travolto dalla pressione dello scandalo Lockheed. Date queste premesse, si rivelava assolutamente necessaria la figura di un futuro Presidente di indubbia moralità e dotato di carisma, che fosse in grado di unificare attorno alla sua figura un Paese che rischiava una pericolosa deriva istituzionale ed una spaccatura insanabile nelle forze politiche del paese.


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Le candidature che furono avanzate durante il mese di giugno rispecchiavano sostanzialmente le forti divisioni tra partiti e quelle all’interno delle correnti degli stessi.

Il primo a fare il nome di Sandro Pertini è Giacomo Mancini in un’intervista al quotidiano “Paese Sera”. E’ il 21 giugno 1978 e la proposta pare subito piacere al Segretario della Dc Benigno Zaccagnini, seguito prontamente dal Pci di Berlinguer. La destra dorotea della DC non gradiva invece la candidatura dell’anziano socialista ligure, in quanto espressione diretta dell’esperienza “frontista” dei primi anni del secondo dopoguerra. Risolutamente contrario si espresse il Msi per l’esperienza resistenziale di Pertini, mentre il Segretario socialista Bettino Craxi si incaricava di candidare ufficialmente l’ottantaduenne padre politico del PSI a insaputa di quest’ultimo.

Pertini arrabbiato con Craxi

Alla mossa decisionista e spregiudicata di Craxi, il carattere impulsivo e irascibile di Pertini ebbe uno scatto: non avrebbe voluto offrire la propria figura come candidato alla Presidenza non ritenendosi accettato come “Presidente di tutti”, essendo avversato dalla destra DC e anche da una parte degli stessi Socialisti che avevano proposto nel frattempo le candidature di Giuliano Vassalli e di Antonio Giolitti.

Nello stesso momento i Repubblicani candidavano Ugo La Malfa ma Sandro Pertini con una mossa a sorpresa ritirava la propria candidatura con una lettera di rinuncia. La mossa dell’anziano socialista si rivelerà presto vincente perché in Aula si stava consumando la paralisi dovuta ai veti incrociati dei partiti e delle correnti.


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Il PCI bocciava Vassalli per il suo ruolo di giurista a difesa degli imputati dello scandalo Lockheed (Cossutta arrivò a dire che votarlo “equivaleva a votare Lefebvre”); il Psi dal canto suo attaccava la candidatura di La Malfa, che piaceva invece ad una parte della DC.

Lo scontro con la DC e l’MSI

Come detto, Pertini era avversato dalla destra democristiana e da tutto il MSI. Negli ultimi giorni la partita sembrò giocarsi tra Giolitti e La Malfa. Ma anche in questo caso si arrivò alla paralisi perché la scelta obbligata per la Dc avrebbe dovuto essere tra due laici, mentre il PCI pose un veto definitivo su La Malfa. A questo punto lo stallo sembrava essere destinato a minare la stabilità del governo di solidarietà nazionale di Giulio Andreotti, nato dall’emergenza del dopo Moro.


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La lettera di rinuncia di Pertini sparigliava le carte e si rivelava decisiva perché otteneva l’effetto contrario: il PCI decideva di rimetterlo in corsa, trascinando con sé la sinistra DC di Zaccagnini che aveva sempre supportato l’anziano socialista e parte del PSI che avrebbe comunque avuto un illustre rappresentante del partito nonostante la candidatura di Giolitti.

La volata del Presidente partigiano

Fu in questo quadro di fibrillazione che si giunse allo scrutinio finale, quello del’ 8 luglio 1978. Le voci dissonanti della Dc di Forlani (che mirava a indebolire la segreteria di Benigno Zaccagnini) e dei Repubblicani che sostennero fino all’ultimo La Malfa furono alla fine messe a tacere. Craxi dal canto suo avrebbe più volentieri sostenuto Antonio Giolitti, per le note divergenze nate dopo la svolta del Midas con la vecchia dirigenza del Psi di cui Pertini era espressione piena.


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Tuttavia la prospettiva di un socialista al Quirinale fu determinante per la scelta finale del Segretario del garofano. I Comunisti dal canto loro accettarono il rientro in gioco di Pertini senza condizioni, sapendo bene che il possibile nuovo Presidente non avrebbe preso ordini da Craxi.

Il salvataggio degli equilibri politici e l’idea di un Presidente di garanzia fece crollare le pesanti barriere erette dagli elettori negli ultimi giorni prima dell’elezione.

L’insurrezione di Milano

Quando Pertini venne a conoscenza della sua schiacciante vittoria mentre era in casa davanti ad un film western, era ancora risentito con Bettino Craxi per avere alimentato le trame di Montecitorio nel periodo tra la sua rinuncia ed il successo finale. Il giorno seguente, il 9 luglio 1978, fu fissata la data del giuramento davanti alla Costituzione.

Un uomo profondamente differente prendeva il posto di Giovanni Leone, per storia e cultura personali. Un simbolo dell’antifascismo e dei valori della Costituzione caratterizzato dall’avversione al compromesso e dalla fermezza. Portava con sé gli anni di carcere e di confino, l’attività ai vertici del CLN, incarnazione di una vittoria contro un nemico dello Stato che nel 1978 si chiamava terrorismo.


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La nota capacità dialettica e retorica accompagnò la figura di Pertini per tutto il mandato, e attirò sia favori che critiche: soprattutto da chi lo accusava di narcisismo presenzialista e di forti ingerenze politiche esplicitate sotto la maschera di “Presidente degli Italiani”. Fu in particolare modo accusato dagli avversari di efferatezza in alcuni episodi legati alle giornate dell’insurrezione di Milano nell’aprile 1945 (presunto ordine di fucilazione per gli attori Osvaldo Valenti e Isa Ferida).

Fu criticato per l’omaggio a Stalin in un discorso al Parlamento all’indomani della morte del dittatore comunista nel 1953. In seguito anche per i toni incendiari che gli avversari politici gli imputavano in occasione del comizio tenuto a Genova nel 1960, nel quale avrebbe incitato gli operai e i portuali alla violenza per impedire il Congresso dell’Msi nel capoluogo ligure Medaglia d’Oro della Resistenza, che costò la poltrona al breve Governo Tambroni. Durante la carica di Presidente della Repubblica, gli furono mosse critiche di eccessivo protagonismo in particolare durante la straziante agonia del piccolo Alfredo Rampi nel pozzo di Vermicino nel giugno 1981.

«Moro, non io, se fosse vivo, parlerebbe oggi a voi»

Pertini tiene il proprio discorso inaugurale davanti alle Camere alle 11:40 del 9 luglio 1978. Oltre alle formule di giuramento sulla Costituzione, il nuovo Presidente si soffermò su alcuni temi dominanti il suo pensiero: la dignità fondata sul lavoro, l’eguaglianza dei diritti e l’assoluta inalienabilità della libertà, non sindacabile con alcun tipo di vantaggio sociale o economico.

Dopo avere salutato le Forze dell’Ordine, Pertini rivolge un pensiero ed un elogio agli emigranti italiani nel mondo, per poi tornare con la memoria alla propria esperienza di antifascista della prima ora. “Non posso, in ultimo, non ricordare i patrioti con i quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza […]”, è l’incipit del passo riservato al passato partigiano. Tuttavia Pertini smorzava subito i toni infiammati che riportavano ai drammatici giorni e alla violenza dell’insurrezione, rassicurando gli Italiani con questa frase: “Ricordo questo con orgoglio non per ridestare antichi risentimenti, perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce né in morale, Nè in politica. Ma da oggi io cesserò di essere uomo di parte. Intendo essere solo il Presidente della Repubblica di tutti gli Italiani, fratello a tutti nell’amore di Patria e nell’aspirazione costante alla Libertà e alla Giustizia. Onorevoli Senatori e Deputati, signori Delegati Regionali: viva la Repubblica, viva l’Italia!”.


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Era cominciata l’era del “Presidente più amato dagli Italiani” (o,meglio, da buona parte), che salvava il Governo Andreotti oltre agli gli equilibri politici dei partiti minati dai colpi di maglio delle bombe e da un terrorismo tutt’altro che sconfitto. Forse la persona meno entusiasta dell’elezione del Presidente partigiano fu sua moglie Carla Voltolina, l’ex staffetta partigiana che proprio non ne voleva sapere dei futuri obblighi da first lady, preoccupata com’era per i tanti impegni di lavoro al servizio dei tossicodipendenti e alcolisti ricoverati al Policlinico Gemelli.

Presidente della Repubblica