Cronaca

Quarta dose vaccino, Cauda: “Temo servirà”

La quarta dose di vaccino anti Covid, che Israele ha già cominciato a somministrare sopra i 60 anni, sarà necessaria? “Temo di sì“. A dirlo è Roberto Cauda, direttore di Malattie infettive al Policlinico Gemelli di Roma e consulente dell’Agenzia europea del farmaco Ema per le malattie infettive, intervenuto ad ‘Agorà’ su Rai Tre. Bisogna continuare a vaccinare, spiega, lanciando il monito: “La riduzione delle vaccinazioni sull’età pediatrica non è una buona notizia. Un contagio su 4 è al di sotto dei 20 anni“. “Non dobbiamo desistere” dall’immunizzarci contro Covid.

Covid, servirà anche la quarta dose di vaccino

La quarta dose – prosegue – al di là di quel che può essere l’efficacia della terza dose che sicuramente darà effetti importanti, penso che potrebbe essere necessaria se verranno allestiti dei vaccini che tengano conto delle varianti e che quindi sarebbero più performanti nei confronti della protezione. I dati di Israele saranno importanti, ma se loro hanno cominciato a farla è evidente che, se non per tutti, per alcune categorie potrebbe essere utile“.

Auspico che il 2022 sia Covid-free, se non tutto, almeno parte” dell’anno. Ma intanto “fanno paura i 170mila contagi” registrati ieri in Italia, “che crescono di settimana in settimana in percentuale del 150%, e il numero dei decessi. Io credo che il picco possa essere fra metà e fine gennaio“, prevede Cauda. Tutto questo, ha osservato, “è sicuramente dovuto alla variante Omicron, che è già diventata prevalente nel nostro Paese. In Francia vediamo 300 mila contagi al giorno, in Usa un milione. Abbiamo una situazione piuttosto difficile che richiede prese di posizione rapide per poter cercare di fronteggiarla, anche se noi sappiamo che l’unico modo per poter avere una vera e propria barriera nei confronti di questa diffusione del virus è rappresentato del vaccino”.

Il peso di Omicron

“Studi indicano che Omicron dà forme meno gravi – ha aggiunto Cauda – ma quando la platea dei contagiati è così ampia è chiaro che anche l’1% di forme gravi determina quello stress che stiamo vedendo su ospedali e terapie intensive e quell’aumento dei decessi”.


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