Cronaca

Niente latte fresco nel 2023? Si punta su quello pastorizzato

Niente più vendita del latte fresco nel 2023? Si punta tutto su quello pastorizzato a lunga conservazione anche per gli effetti della siccità: ecco cosa potrebbe cambiare. Il primo con questa rivoluzione è Granarolo, azienda leader nel settore.

Niente più vendita del latte fresco nel 2023?

Presto le aziende italiane nel settore potrebbero puntare sul prodotto pastorizzato con scadenza non oltre i dieci giorni, per allineare l’offerta ai cambiamenti della spesa delle famiglie italiane negli ultimi anni.

Sprechi nei supermercati e nella distribuzione, aumento dei prezzi in seguioto alla crisi economica e del conflitto in Ucraina, allarme siccità ed esigenza di filiere ecosostenibili portano a modificare anche la linea di produzione del latte.

Cosa potrebbe cambiare

Il primo ad avviare questa rivoluzione è Granarolo, l’azienda leader del settore fondata nel 1957 a Bologna. A spiegare i motivi di questa decisione radicale è Gianpiero Calzolari, il presidente della cooperativa. “La scadenza a 10 giorni del prodotto prolunga di oltre il 60% della shelf-life”.

Con l’insorgenza della pandemia, la gente ha cominciato ad andare meno al supermercato preferendo il latte a lunga conservazione con una scadenza a 90 giorni. “Il mercato ha scelto – dice Calzolari – ormai è il consumatore a dettare il passo alle aziende. Una consuetudine che incide sul prezzo di vendita. Un vero e proprio crimine che le azienda hanno l’obbligo di contrastare”.

Il test della Granarolo

Per questo Granarolo ha deciso di testare il nuovo latte pastorizzato che sembra identico al fresco. Infatti i consumatori non trovano differenze tra le due bevande in termini di gusto e valori nutrizionali. La svolta riguarderà anche il marchio della Centrale del latte: “La nuova confezione ha un migliore impatto ambientale, il tappo riduce la plastica del 35% e non si stacca dalla bottiglia come prevede l’Unione europea”.

L’impatto della siccità sul latte

La siccità in Italia è stata definita “la più grave degli ultimi 70 anni” dagli esperti dell’Esagono. Le sue conseguenze sono state: l’erba diminuita del 21% proprio in un periodo in cui le vacche da latte si nutriscono di pascolo. Di fronte a questo gli agricoltori possono: attingere alle scorte di foraggio invernale, acquistare mangimi o vendere parte della mandria per risparmiare sui costi. Molti, in relazione ai costi aumentati del 25,9%, hanno dunque preferito vendere parte della madria. Il rischio ovviamente è quello di carenza del latte.

“A livello globale, la mancanza di latte porterà a una riduzione delle possibilità di produrre burro, panna, cartoni di latte e formaggi. E quando c’è una mancanza di prodotto, indipendentemente dal settore, c’è un impatto sul prezzo”, spiega l’economista citato da Agrifoodtoday. “Quando l’acqua c’è, poi, non riusciamo nemmeno a trattenerla, è una vera assurdità. Per questo è necessario avere più bacini. Dopo la crisi dell’anno scorso abbiamo sentito tante chiacchiere, ma non c’è stata una vera iniziativa. Ci vuole una maggiore tempestività, la siccità è un’emergenza e va trattata come tale”.

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