Niente innalzamento dei limiti per il 5G. Il decreto legge asset e investimenti approvato dal Consiglio dei ministri, infatti, non prevede la norma comparsa invece nella bozza del provvedimento circolata nei giorni scorsi, una modifica chiesta da tempo dalle imprese delle telecomunicazioni ma che gli ambientalisti avevano bollato come “insensata“.
Nella prima versione del provvedimento era previsto che entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto i limiti per i ripetitori dei cellulari fossero adeguati “alla luce delle più recenti e accreditate evidenze scientifiche, nel rispetto delle regole, delle raccomandazioni e delle linee guida dell’Unione europea”.
Decreto legge, salta l’innalzamento dei limiti per il 5G
Non era indicato alcun valore rispetto all’attuale limite di 6 volt al metro, ma l’ipotesi più accreditata era di un possibile aumento a 24 volt per metro, la media dei limiti nei paesi europei. Il valore massimo delle emissioni elettromagnetiche raccomandato dall’Unione europea è di 61 volt per metro. Un livello non vincolante, solo indicativo, contenuto nella Raccomandazione del Consiglio europeo 519 del 1999. Ma la normativa italiana è appunto molto più restrittiva, con la legge quadro 36 del 2001 e il Dpcm dell’8 luglio del 2003 che fissano un limite massimo di 6 v/m. Per le imprese italiane delle telecomunicazioni, rappresentate da Asstel, si tratta di un livello troppo basso.
“Le linee guida internazionali per la protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici – scrive Asstel – applicano un fattore di riduzione di ben 50 volte alla potenza elettromagnetica che potrebbe produrre effetti potenzialmente nocivi“. Invece, “la normativa italiana applica un ulteriore margine cautelativo di 100 volte”. Il risultato è che gli operatori nostrani sono costretti a installare ripetitori meno potenti e quindi in numero maggiore, con “costi più elevati, tempi di realizzazione più lunghi e maggiore impatto ambientale“.