Cronaca

Detenuto morto suicida nel carcere Due Palazzi di Padova: aveva 27 anni ed recluso da agosto

detenuto carcere ariano irpino
Immagine di repertorio
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Aveva 27 anni il detenuto morto suicida nella serata di ieri nel carcere Due Palazzi di Padova. Il giovane si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella. Il 27enne veneto era recluso dal mese di agosto, per scontare una pena che sarebbe terminata a metà del 2028.

La notizia del suicidio, diffusa da ‘Ristretti ‘Orizzonti’ tramite le volontarie dell’associazione Granello di Senape, ha trovato conferma a livello di amministrazione penitenziaria. La storia del detenuto suicida è stata ricordata da Manuela – e riportata dall’Ansa – una volontaria che è stata la sua insegnante.

Detenuto suicida nel carcere Due Palazzi di Padova: aveva 27 anni

Stefano (nome di fantasia) condannato per un brutto reato aveva ritrovato tra le mura del carcere di Padova la sua ex insegnate Manuela volontaria di un’associazione che avvicina i reclusi alla lettura. La donna ha voluto ricordare con una lettera aperta – diffusa dalla onlus ‘Granello di Senape’ e riportata dall’Ansa la storia del 27enne che si è tolto la vita.

“L’ultima volta che l’ho intravisto, era lui, camminava mestamente davanti a me nel corridoio con un agente, ma quando sono arrivata al cancello erano spariti – scrive Manuela – l’avevo riconosciuto dalla camminata e dalla figura, piuttosto massiccia”. In biblioteca, invece, la donna spiega che era rimasta colpita “dal suo lo sguardo e dal modo di muoversi: erano arrivati in due, l’altro piuttosto sguaiato, lui taciturno, mi aveva fatto tornare in mente un mio alunno delle medie di tanti anni prima. Poi qualche frase e ci siamo riconosciuti. ‘Prof, ma aveva i capelli lunghi e biondi…’ Già, e lui, Stefano, era un ragazzino molto speciale”.

“Ecco, ci siamo ritrovati in mezzo ai libri – prosegue il racconto – Quando scendeva in biblioteca, durante il mio turno, abbiamo parlato, parlavamo dei suoi progetti, la musica, la scrittura. La seconda volta si interessò al concorso di poesia che stava per scadere. Con la collaborazione di un altro volontario riuscimmo a spedire per il rotto della cuffia una poesia dedicata a una ragazza. Il ritmo era giusto, diedi solo qualche aggiustatina con il suo consenso”.

“La terza volta – scrive sempre Manuela – mi portò tre fogli scritti a mano, con riflessioni filosofiche (la settimana prima aveva preso un testo di Nietzsche). Volle che le leggessi insieme a lui, lo facemmo. Gli chiesi spiegazioni di varie espressioni, e lui mi diede le sue risposte”.

La sua infanzia

Nello scritto di Manuela la memoria torna poi a quando il ragazzo le capitò tra capo e collo all’inizio dell’anno scolastico, nella scuola media di una casa famiglia in provincia di Padova gestita dall’associazione di cui fa parte: “Mai frequentato regolarmente la scuola, nessuna idea di cosa fosse un qualsivoglia regolamento. Ma sapeva comunque farsi benvolere – prosegue nel racconto – È stato mio alunno per due anni, prima e seconda media, alla fine ce l’avevamo quasi fatta. Certo, ogni tanto usciva dalla classe e allora… inseguimenti per i corridoi e le scale, cose pericolose, credo che i suoi compagni non si siano mai divertiti tanto. Decidemmo di essere sempre in due, per non dover abbandonare lui o gli altri”.

“Un giorno – prosegue Manuela – durante una lezione, vidi i ragazzi che guardano con occhi spalancati fuori dalla finestra: era lui, sul cornicione del primo piano che correva intorno alla facciata. Era venuto a salutarci, uscendo dalla finestra della sua aula e raggiungendo la nostra, ci sorrideva, questo era Stefano”. Proveniva da una famiglia modesta e numerosa, che faticava a seguirlo. Per due volte riuscì a raggiungere la cittadina dei suoi (in un’altra provincia) in bicicletta, fuggendo dalla casa famiglia.” Manuela conclude: “mi diceva ‘non vedo l’ora di avere diciotto anni’. E cosa farai?”. “Lui rideva: ‘torno a casa mia’”.

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