Gino Paoli (Monfalcone, 23 settembre 1934) è il padre dei cantautori italiani, autore di canzoni celebri come Il cielo in una stanza e Sapore di mare. Ecco una raccolta delle frasi più belle di Gino Paoli.
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Le frasi più belle di Gino Paoli
Credo ci sia sempre altro da fare e da sperimentare, la cosa fondamentale è non smettere di porsi delle domande, perché mentre le risposte sono definitive, le domande creano movimento ed evoluzione, e ci spingono ad andare avanti.
Distribuisco inquietudini, solletico dubbi, pongo domande. Perché il vero compito dell’artista è quello di attivare le idee e di dare un calcio in culo alle coscienze, affinché riprendano a muoversi autonomamente.
La cultura crea individui, l’industria vuole la massa.
La ricerca della comodità, del benessere materiale, porterà la nostra società in un baratro definitivo. Non sappiamo più come alimentare il consumismo, mentre pian piano ci erodono la nostra individualità.
A Pegli c’era una scritta sul muro: “Anarchico e comunista”. Io ridevo: che cazzo voleva dire? È una colossale contraddizione.
Mi guardo le spalle, perché non so mai che cosa aspettarmi dal passato.
Il limite della democrazia è che tutti chiacchierano e nessuno governa davvero.
La società si fonda sulla paura, sui “mostri” immaginari che castrano la personalità.
Dalle donne ho avuto molto perché quelle che ho amato erano tutte straordinarie, chissà se avessi incontrato una stronza…
L’amore è solo un’amicizia complicata dal sesso.
Io non mi meraviglio affatto quando il gatto fa qualcosa di misterioso, mi meraviglio quando fa cose normali.
“Censura” è una parola che ha evocazioni dittatoriali, eccetera, e con questo si elimina. Ma censura è anche una tua capacità di rispetto per la persona che hai davanti, di rispetto per tuo figlio, per tua moglie… Io in casa di mia madre non dico parolacce, perché? Per rispetto a mia madre.
[Perché proprio a Genova nasce la canzone d’autore italiana?] Perché è una città bellissima e avara, che ti comprime, non ti dà nulla. Sicché ti mette dentro una gran rabbia, una voglia matta di esplodere. E di andare altrove, per cercarvi i riconoscimenti che lei ti nega.Genova è una città che ti comprime, ti chiude in cantina a fermentare fino a sentirti una bombola di gas surriscaldato, finisce che esplodi e diventi un Beppe Grillo o un Renzo Piano, due amici.
Il ricordo di Boccadaze e di quando ci vivevo in mezzo alla gente che preferisco, la gente chiusa e sincera, semplice e scorbutica che mi assomiglia. Ricordi di maccaja vissuta nei bar a giocare, o di libeccio, quando non si può andare a pescare e si diventa per forza gente di terra.
Un artista è anche uno che non riesce ad aprirsi.
Mio padre mi diceva: “Quand’è che la smetti con queste cose e fai qualcosa di serio?”. Voleva che diventassi ingegnere navale come lui. Avere un figlio artista era una vergogna. Non venne mai a sentirmi. Mia madre, però, mi confessò che non lo faceva perché si arrabbiava se qualcuno mi criticava. Perché in fondo era orgoglioso, davanti a me non diceva mai niente, poi in ufficio si vantava con gli amici: “Senti l’ultima canzone di mio figlio”.
Avevamo subito il fascino dell’esistenzialismo, Simone de Beauvoir, Sartre, e con loro c’erano le canzoni di Vian o Barbara. Un giorno poi un’amica andò a Parigi e se ne tornò col primo lp di Brassens… Da lì nacque la voglia di esprimersi, non puntare solo sull’evasione: la canzone italiana dopo Napoli era diventata solo Papaveri e papere, oggetto per non pensare. Noi, dilettanti pure nel senso che ci divertivamo, capimmo così che si potevano dire cose serie con le canzoni.
Lucio Dalla per arrivare al successo ha dovuto fare sei long playing, oggi non fai neanche il primo, o meglio, fai il primo se ti danno la possibilità di farlo e se non vendi con quello hai chiuso. Se stai proponendo qualcosa di nuovo devi avere dietro qualcuno che ti appoggi in qualche maniera, che ti sostenga. Oggi se sballi una cosa sola non ti vuole più né la tua casa discografica né nessun altra casa discografica.
Ho avuto dei genitori decenti, un nonno straordinario che vedevo come un supereroe e donne che mi hanno conquistato. Perché io non ho mai conquistato nessuna, sia chiaro, a decidere sono le donne.
Ogni suicidio è diverso, e privato. È l’unico modo per scegliere: perché le cose cruciali della vita, l’amore e la morte, non si scelgono; tu non scegli di nascere, né di amare, né di morire. Il suicidio è l’unico, arrogante modo dato all’uomo per decidere di sé. Ma io sono la dimostrazione che neppure così si riesce a decidere davvero. Il proiettile bucò il cuore e si conficcò nel pericardio, dov’è tuttora incapsulato. Ero a casa da solo. Anna, allora mia moglie, era partita; ma aveva lasciato le chiavi a un amico, che poco dopo entrò a vedere come stavo.
Una volta avevamo politici che facevano affari. Oggi abbiamo affaristi che fanno politica.
Il sistema dell’informazione e il mondo in generale che pompa chi va su per poi fare di tutto per buttarlo giù, e quindi gettarlo nella spazzatura facendo infine finta che non sia mai esistito.
Vivo pensando che c’è ancora tanto tempo davanti, Zavattini a 84 anni diceva di tenere i libri più belli da leggere per gli anni che sarebbero venuti.
Mi sento provvisorio da sempre, ma vivo come se avessi 12 anni. Pianto alberi che sbocceranno tra dieci anni, faccio progetti. Non rinuncio a pensare al domani.
Non credo affatto che tutto finisca con me. Perciò, mi batto per un mondo migliore di come l’ho trovato.
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Frasi dalle canzoni di Gino Paoli
Quando sei qui con me
questa stanza non ha più pareti
ma alberi, alberi infiniti.
Quando sei qui vicino a me
questo soffitto viola
no, non esiste più…
Io vedo il cielo sopra noi.
(Il cielo in una stanza)
Suona un’armonica:
mi sembra un organo
che vibra per te e per me
su nell’immensità del cielo.
(Il cielo in una stanza)
C’era una volta una gatta
che aveva una macchia nera sul muso
e una vecchia soffitta vicino al mare
con una finestra a un passo dal cielo blu.
Se la chitarra suonavo,
la gatta faceva le fusa ed una
stellina scendeva vicina, vicina
poi mi sorrideva e se ne tornava su.
(La gatta)
Che cosa c’è…
c’è che mi sono innamorato di te,
c’è che ora non mi importa niente
di tutta l’altra gente,
di tutta quella gente che non sei tu.
(Che cosa c’è)
Che cosa c’è…
c’è che mi sono innamorato di te,
c’è che ti voglio tanto bene
e il mondo mi appartiene,
il mondo mio che è fatto solo di te.
(Che cosa c’è)
Come ti amo
non posso spiegarti,
non so cosa sento per te
ma se tu mi guardi
negli occhi un momento
puoi capire anche da te.
(Che cosa c’è)
Sapore di sale,
sapore di mare,
che hai sulla pelle,
che hai sulle labbra,
quando esci dall’acqua
e ti vieni a sdraiare
vicino a me,
vicino a me.
(Sapore di mare)
Qui il tempo è dei giorni
Che passano pigri
E lasciano in bocca
Il gusto del sale
Ti butti nell’acqua
E mi lasci a guardarti
E rimango da solo
Nella sabbia e nel sole.
(Sapore di mare)
Senza fine,
tu sei un attimo senza fine
non hai ieri, non hai domani
tutto è ormai
nelle tue mani, mani grandi
mani senza fine.
(Senza fine)
Eravamo quattro amici al bar
che volevano cambiare il mondo,
destinati a qualche cosa in più
che a una donna ed un impiego in banca.
(Quattro amici)
Fai finta che solo per noi due passerà il tempo ma non passerà
questa lunga storia d’amore
Ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai
È troppo tardi ma è presto se tu te ne vai.
(Una lunga storia d’amore)
Mio Figlio ha cinque anni E cinque convinzioni
Facendo bene i conti ne ha cinque poù di me
Se il nero fosse bianco, se il bianco fosse nero
Sarei poco sicuro di quello che ora so…
Io che mi fido solo, di chi mi ha dato iL cuore
Qaando non ce l’avevo mio…
(Cosa farò da grande)