Mia Martini, al secolo Domenica Bertè, nasce a Bagnara Calabra il 20 settembre (lo stesso giorno della sorella Loredana più piccola di tre anni) del 1947 e con la famiglia si trasferisce prima ad Ancona e poi a Roma. Comincia a cantare giovanissima, ma il successo arriva negli Anni 70 con brani storici come “Piccolo Uomo” e “Minuetto” che le fanno vincere il Festivalbar nel ’72 e ’73, altri come “Inno” e “Padre davvero” scalano le hit parade. Tutti riconoscimenti che la portano all’estero, in Giappone e in Francia, dove canta all’Olympia di Parigi con Charles Aznavour che si innamora perdutamente della sua voce. “E’ nata una stella”, titola in prima pagina “Le Figaro”.
Mia Martini: la sua storia
Negli Anni 80 regala canzoni indimenticabili come “E non finisce mica il cielo“, il brano scritto per lei da Ivano Fossati, unico grande amore della sua vita, che non vince Sanremo nel 1982 ma conquista il Premio della Critica nato appositamente per lei. Era un pezzo troppo bello per non ricevere una targa, così i giornalisti si riuniscono in gran segreto e decidono di premiarla.
La lunga pausa
Poi una lunga pausa. Un lungo tunnel, quel ritrovarsi sempre più sola e quella voce terribile e cattiva che comincia a circolare nel mondo dello showbiz. Mia fa un concerto con un gruppo, ma uno dei componenti al ritorno di casa muore in un incidente stradale. Ecco che iniziano a circolare maldicenze: “Porta sfortuna”, si dice. “Meglio non farla lavorare”. Comincia così la parabola discendente. Mia non viene più invitata nelle manifestazioni canore e in tv perché la sua presenza non è gradita dagli addetti ai lavori e dagli altri colleghi. Una condanna a morte. “Se ti dicono che hai l’Aids fai un test e puoi dimostare il contrario, ma come faccio io? Come faccio io a convincervi che non porto sfortuna?”, si sfogava, con dolore.
Prima del grande ritiro però riprova la carta di Sanremo con “Spaccami il cuore” scritta per lei da Paolo Conte. Si illude che l’arte possa vincere sulla superstizione. Ma la canzone non viene ammessa. Mimì capisce che è arrivato il momento di farsi da parte. L’ennesima porta in faccia la convince ad abbandonare per sempre il mondo dello spettacolo. Va a vivere in una piccola casa di campagna in Umbria, cerca le sue radici che la riportano in Calabria, dall’amata zia Sarina a Bagnara, che per lei è stata una mamma.
I lunghi anni di silenzio
Lunghi anni di silenzio in cui finisce la storia con Fossati e ritrova invece l’amore del padre Giuseppe. Lo va a cercare nel varesotto dove è preside. Bussa alla sua porta. Vuole capire perchè si è allontanto. Ad aprirle è Virginia, la nuova compagna del professore che si è rifatto una vita dopo la fine del matrimonio burrascoso con Maria Salvina Dato. Tra loro risboccia l’amore.
Il grande ritorno a Sanremo
Intanto Mia Martini continua a non lavorare, vive di stenti, è costretta a vendere gli abiti di scena, canta nelle sagre di piazza. Ma non smette di fare musica. Scrive, suona al pianoforte, si aggiorna. Fino al 1989. L’anno del grande ritorno sulle scene. Che non fu facile. “Almeno tu nell’universo” era chiuso nel cassetto da 20 anni, ma Mimì non lo voleva cantare. Non voleva tornare a Sanremo. La convincono con tanta fatica, e il brano, quel brano che è entrato nella storia della musica italiana, ancora una volta fa storcere il naso a qualcuno. Interviene la sua migliore amica, Alba Calia, che lo fa trovare sulla scrivania dell’allora ministro dello Spettacolo Franco Carraro. Un capolavoro così non poteva rimanere segreto. Mia Martini arriva finalmente su quel palco, umile, timida, spaventata.
Il pubblico impazzisce per la sua interpretazione, mentre Renato Zero la scorta e la protegge, seduto in prima fila c’è Adriano Celentano (quel festival era presentato dai “figli dì”, tra cui la figlia Rosita, ndr) , che si alza in piedi e non smette di applaudirla. Con il brano scritto da Bruno Lauzi (lo stesso di “Piccolo Uomo”) e Maurizio Fabrizio rientra dalla porta principale. Non vince, conquista di nuovo il Premio della Critica, il pubblico la acclama, ma ormai è un’altra Mia Martini. Segnata da lunghi anni di cattiveria, con le ferite ancora aperte.
I nuovi successi
Eppure sono anni di successi, uno dietro l’altro a Sanremo. Ricomincia con grinta, la voce roca e quell’eleganza innata, vestita da cima a fondo dal suo grande amico Giorgio Armani che non ha mai smesso di volerle bene, nella buona e nella cattiva sorte. Sono gli anni de “La nevicata del 56” nel 1990 scritta da Franco Califano (autore anche di “Minuetto”) fino al famoso 1992 con “Gli uomini non cambiano” in cui sfiora la vittoria. Arriva seconda, ancora una volta è difficile riconoscerle di essere la numero uno.
Sono anni in cui Mimì torna alla ribalta, all’improvviso gli stessi che le avevano voltato la faccia fanno a gara per starle vicino. Mia sorride ma non dimentica. E, soprattutto, c’è ancora un capitolo aperto: la sorella Loredana Bertè. Le due non si parlano da anni, fino a quando nel 1992 Loredana – dopo la fine del matrimonio con Borg – tenta il suicidio. Mimì se ne frega dei fotografi e irrompe nella camera dell’ospedale: “Che cazzo fai?”, le urla. “Abbracciami”, le risponde lei. Le due sono di nuovo l’una al fianco dell’altra. Loro che hanno sempre vissuto vite e carriere parallele, che si sono sempre alternate tra trionfi e silenzi. Stavolta è Mia quella famosa, Loredana quella più bisognosa. Arriva il 1993 e la Martini aiuta la sorella, partecipano per la prima volta insieme a Sanremo con “Stiamo come stiamo“. Loredana cambia 14 versioni del pezzo, fa le bizze, non si presenta alle prove, Mimì è esasperata. Dalla seconda serata sul palco neanche si guardano più. Arrivano penultime e si consolano con il “Premio Boy Scout”. Litigano e fanno la pace. “Sono pazza di Loredana”, amava raccontare Mimì.
La morte
Il 12 maggio del 1995, quel “maledetto venerdì”, Mia la chiama più volte. Ma la Bertè non risponde. Due giorni dopo, alle 14, a “Domenica In” dalla voce rotta dalle lacrime di Mara Venier scopre che la sorella è morta. Da allora Loredana non ha più voluto un telefono.
Era una domenica, all’ora di pranzo. Era il 14 maggio del 1995 e Mia Martini veniva trovata senza vita a 47 anni, in una casa a Cardano al Campo, vicino a Busto Arsizio, dove si era trasferita da poco per stare vicina al padre Giuseppe Bertè. Era morta da due giorni ma nessuno se ne era accorto. Una delle più grandi interpreti della musica italiana se ne andava in silenzio, come aveva sempre vissuto.
Riversa sul letto, con le cuffie alle orecchie, il suo cuore si è fermato ascoltando “Luna rossa”: stava preparando una nuova versione per il Festival di Napoli allora presentato da Mike Bongiorno. Quella musica napoletana che tanto amava e che qualche anno prima, nel 1993, con Roberto Murolo ed Enzo Gragnaniello, aveva omaggiato con il brano-capolavoro “Cummè”.
“Arresto cardiaco”. Si archiviava così l’esisenza di una delle più grandi e difficili interpreti della nostra canzone.
Le frasi più belle delle canzoni di Mia Martini
- Io donna io persona avvilita come un oggetto, come bambola da letto. Io non voglio essere schiava e neppure esser padrona, voglio essere soltanto una donna, una persona!
- Ma perché gli uomini che nascono | sono figli delle donne | ma non sono come noi?
- Piccolo uomo, non mandarmi via! Io, piccola donna, muoio se mi lascerai.
- Ma ho scoperto con il tempo | e diventando un po’ più dura | che se l’uomo in gruppo è più cattivo | quando è solo ha più paura.
- Troppo cara la felicità per la mia ingenuità. | Continuo ad aspettarti nelle sere per elemosinare amore.
- Non deve essere nulla di speciale, il mio amore, mi basta solo che sia un amore.
- Il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no. | Le mani tue, strumenti su di me | che dirigi da maestro esperto quale sei.