Cronaca

Attese troppo lunghe, il 7,6% degli italiani rinuncia alle cure

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Circa 1 italiano su 13 a rinunciare alle cure. Lo conferma il Rapporto civico sulla salute presentato oggi a Roma da Cittadinanzattiva. Le liste d’attesa per le cure mediche sono troppo lunghe.

Il 7,6% degli italiani rinuncia alle cure a causa delle attese troppo lunghe

Le liste d’attesa rappresentano ancora il problema principale per gli italiani che si interfacciano con il sistema sanitario, contribuendo a far sì che circa 1 italiano su 13 rinunci a ricevere le cure necessarie. Questo è quanto emerge dal Rapporto civico sulla salute presentato oggi a Roma da Cittadinanzattiva. I dati del rapporto, riferiti al 2023, evidenziano come i cittadini continuino a lamentare l’incapacità del servizio sanitario di rispondere in modo tempestivo alle loro esigenze di salute.

Ad esempio, per una prima visita oculistica in classe P (programmabile, ossia da effettuare entro 120 giorni), si possono attendere 468 giorni; per una visita di controllo oncologico in classe non determinata l’attesa può arrivare a 480 giorni; 300 giorni sono necessari per una visita oculistica di controllo in classe B (breve, da erogare entro 10 giorni); 526 giorni per un ecodoppler dei tronchi sovraaortici in classe P; 437 giorni per un intervento di protesi d’anca in classe D (da eseguire entro 12 mesi); e 159 giorni per un intervento per tumore alla prostata in classe B. È importante notare che si tratta di tempi massimi segnalati dai cittadini e non delle attese medie.

Tuttavia, questo problema ha un impatto significativo sul percorso terapeutico e, in alcune situazioni, porta anche alla decisione di non curarsi. L’indagine rivela che nel 2023 il 7,6% della popolazione ha scelto di rinunciare alle cure (+0,6% rispetto al 2022), e quasi due cittadini su tre (il 4,5%) lo fanno proprio a causa delle lunghe liste d’attesa (rispetto al 2,8% del 2022). La percentuale di rinunce è del 9,0% tra le donne e del 6,2% tra gli uomini. Inoltre, il fenomeno delle rinunce aumenta al Centro, dove si è passati dal 7,0% all’8,8% in un anno, e al Sud (dal 6,2% al 7,3%). Al Nord, invece, il dato rimane stabile al 7,1%.

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