È stata confermata la dinamica che ha portato alla morte di Arcangelo Correra a Napoli: un gioco pericoloso con un’arma che si è concluso tragicamente. Renato Benedetto Caiafa, di 19 anni, ha confessato il coinvolgimento in questo dramma, dichiarando durante l’interrogatorio di garanzia di aver sparato ad Arcangelo, apparentemente per dimostrare coraggio, come raccontato dallo stesso Caiafa.
Omicidio Arcangelo Correra, Caiafa sarebbe stato invitato a sparare
In particolare, ha descritto come il giovane Correra lo avesse sfidato a sparare, mostrandogli il petto. Un secondo dopo, il colpo è partito, e subito i presenti si sono resi conto della gravità della situazione.
“Arcangelo mi sfidava a sparare, mostrando il petto… tutti guardavano nella direzione e, una volta esploso il colpo, tutti gli altri avevano urlato ‘cosa hai fatto’?”.
Di fronte a questo resoconto, il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto di mutare l’accusa iniziale di omicidio colposo a omicidio volontario con dolo eventuale, un reato più grave che implica la consapevolezza di un rischio elevato. L’autopsia e le prove raccolte indicano che l’arma – una calibro 9×21 con matricola abrasa e un serbatoio modificato – era effettivamente nelle mani del giovane e del gruppo di amici, contrariamente alla versione di Caiafa, che l’avrebbe trovata per strada. Secondo il gip, l’arma clandestina, ben nascosta e dotata di un alto valore sul mercato nero, difficilmente sarebbe stata abbandonata in quel luogo per puro caso.
L’arma
Un dettaglio significativo, per il giudice, è che l’arma era nascosta in modo tale che solo chi ne conosceva esattamente la posizione avrebbe potuto trovarla, specialmente in condizioni di scarsa visibilità. Caiafa, inoltre, ha mostrato particolare freddezza nelle azioni successive al fatto, come confermato dal tentativo di far sparire l’arma chiedendo l’aiuto di uno zio per recuperarla, oltre a eliminare indizi e impronte. Questo comportamento ha rafforzato la convinzione del giudice che l’arma non fosse stata trovata casualmente, ma che fosse già in possesso del gruppo.
Pur non avendo ravvisato un rischio concreto di fuga, il giudice ha comunque stabilito la misura cautelare del carcere, considerando che Caiafa potrebbe reiterare comportamenti simili o interferire con le indagini. Il gip ha osservato che, con misure meno restrittive, il giovane avrebbe potuto continuare a ostacolare la giustizia, come già accaduto attraverso la rimozione di prove e lo smaltimento di vestiti che potrebbero contenere tracce utili. Infine, le indagini sullo scooter utilizzato per trasportare Correra in ospedale hanno rivelato che il mezzo non era di proprietà della vittima, come inizialmente dichiarato, ma sarebbe stato associato a persone vicine alla criminalità locale, aggiungendo ulteriori elementi di sospetto sulla vicenda.