Secondo i dati Eurostat, nel 2022 l’Italia è stata l’unica grande economia UE con una quota di crescita economica rappresentata dai profitti delle aziende più alta della media. In altre parole, siamo stati l’unica tra le quattro grandi economie UE (Germania, Francia, Italia e Spagna) ad avere una quota di “profit shares” superiore alla media (45,1% contro il 42,1% della media UE)
Eurostat, i profitti delle aziende crescono, al contrario degli stipendi dei dipendenti
Analizzando l’andamento del margine operativo lordo delle imprese e quello delle retribuzioni lorde dei lavoratori in Italia, emerge che il primo è aumentato del 18,4%. Mentre il secondo è rimasto invariato rispetto a dieci anni fa.
Secondo i dati Eurostat, nel 2022 l’Italia è stata l’unica delle principali economie dell’UE a registrare una quota di crescita economica derivante dai profitti aziendali superiore alla media. In altre parole, tra le quattro maggiori economie UE (Germania, Francia, Italia e Spagna), siamo stati gli unici con una “profit share” superiore alla media europea (45,1% contro il 42,1% della media UE). Questi dati aggregati per le imprese “non-financial corporations” comprendono vari settori. Ma quello che emerge è che la crescita della produttività e del valore aggiunto che le aziende hanno ottenuto non ha riguardato altrettanto i lavoratori.
In particolare, in Italia il valore aggiunto reale per ora lavorata è diminuito del 2,0% tra il 2019 e il 2023, mentre la retribuzione oraria lorda è scesa dell’8,6% nello stesso periodo. Un fenomeno simile si verifica in altri Paesi dell’UE. In Germania il valore aggiunto reale per ora lavorata è aumentato dello 0,1%, ma la retribuzione oraria lorda è scesa del 3,3%. In Austria, invece, il valore aggiunto è cresciuto dell’1,3%, mentre la retribuzione oraria lorda è aumentata dello 0,7%. Tuttavia, in alcuni Paesi la situazione è diversa: in Spagna, ad esempio, a un incremento del valore aggiunto dello 0,3% si accompagna un aumento della retribuzione oraria lorda del 2,8%.
Nel caso italiano, la causa principale di questo divario è rappresentata dai ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, che, uniti all’incremento dei prezzi, hanno contribuito ad ampliare il divario tra i profitti aziendali e le retribuzioni dei dipendenti. Se guardiamo all’eurozona, invece, i salari nominali sono cresciuti dal 2015 a oggi. Secondo uno studio della BCE, questi aumenti sono stati principalmente causati dall’inflazione e da un mercato del lavoro rigido, che ha spinto le aziende a migliorare le condizioni per attrarre professionisti. Tuttavia, questo incremento salariale non deriva dai contratti collettivi, ma è stato definito “wage drift”, poiché determinato da premi e bonus.
L’Italia si ferma per lo sciopero generale
“Oggi sciopero, rinunciando a un giorno del mio stipendio, per dare un futuro ai miei figli”. Paola è una lavoratrice di un grande supermercato del Milanese. Nel suo settore le paghe base partono da 1050 euro al mese per 40 ore. E lo stipendio è bloccato da anni. Per questo oggi ha scelto di scendere in piazza a Milano insieme a migliaia di lavoratrici e lavoratori per aderire allo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil. Al centro della protesta c’è la manovra di bilancio.
“Il governo ci ha dato una mancia – spiega Alessandro, delegato Uil nel settore delle telecomunicazioni – da un lato ci dà, ma dall’altro ci toglie”. In piazza ci sono tutti i settori, dagli operai agli impiegati pubblici fino agli autisti degli autobus. Vincenzo, delegato Uil, è uno di loro. Lavora da 29 anni in Atm. “Oggi gli stipendi di ingresso sono di 1500 euro e non si trovano più persone. Ci provi Salvini a precettarci, ma noi siamo sempre qui in piazza”.