Quali sono le famiglie di camorra più potenti in provincia di Caserta? Lo spiega la Direzione Investigativa Antimafia con la relazione semestrale sull’attività dei clan della criminalità organizzata in Italia relativa al periodo che va da luglio al dicembre del 2019. Le organizzazioni criminali casertane risultano tuttora profondamente radicate nel territorio e incidono in maniera importante sul contesto socio-economico e politico, nonostante quasi tutti, tra capi e affiliati storici, siano stati arrestati e condannati e molti di loro abbiano intrapreso un percorso collaborativo con l’Autorità Giudiziaria.
La cattura di latitanti, anche all’estero, conferma la capacità espansiva dei clan in attività di riciclaggio, con investimenti soprattutto in Emilia Romagna, Toscana e Lazio, nel settore edile, finanziario, immobiliare e della ristorazione, nonché nel commercio di capi di abbigliamento e di autovetture. Il territorio continua ad essere fortemente segnato dal predominio dei CASALESI, che può contare su un radicato sistema di relazioni intessuto con politici locali su consolidate alleanze tra i gruppi aggregati al citato cartello: i clan SCHIAVONE, ZAGARIA e BIDOGNETTI.
Famiglie di camorra più potenti a Caserta e provincia, la relazione Dia luglio – dicembre 2019
Tali alleanze consentono – differentemente da quanto accade nella città di Caserta, dove non esiste un’unica coalizione di riferimento – di mantenere una pax mafiosa che non ha subito contraccolpi neanche a seguito della cattura e, in alcuni casi della collaborazione con la Giustizia, di esponenti apicali di quei clan. Dalle recenti operazioni emerge un’inevitabile trasformazione della fisiologia criminale delle compagini del cartello casalese, dovuta all’iniezione di giovani leve, soprattutto nuove generazioni dell’asse familiare dei clan.
Queste nuove componenti si sono orientate verso diverse strategie criminali, talvolta creando sodalizi unitari, seppur occasionali, senza rinunciare al controllo del territorio sul quale esercitare pressioni per contenere scissioni interne e forze centrifughe di gruppi emergenti. Emblematico della capacità dei gruppi locali di rigenerarsi è il contenuto di un provvedimento cautelare del mese di dicembre 2019, eseguito dai Carabinieri di Aversa, che ha riguardato 8 soggetti, ritenuti affiliati al cartello dei CASALESI, responsabili, a vario titolo, di una serie di estorsioni consumate nel periodo antecedente alle festività natalizie del 2018, nei comuni di Parete, Aversa, Frignano, Lusciano e Teverola, territori soggetti all’influenza dei federati gruppi BIDOGNETTI e SCHIAVONE.
L’indagine, oltre a sottolineare la rilevanza che le estorsioni rivestono nell’economia dei clan, nel ripercorrere la storia criminale di quei territori, ha evidenziato la persistenza nella gestione degli affari illeciti dei CASALESI, anche dopo la cattura di latitanti di spicco. Si legge nel provvedimento che anche in aree dove le misure cautelari si sono susseguite senza soluzione di continuità, i pregiudicati di volta in volta arrestati sono stati prontamente sostituti da altri fiduciari dei sodalizi.
Le operazioni
A Lusciano e Parete, zona di influenza del clan BIDOGNETTI, dopo l’esecuzione di misure restrittive personali a carico dei componenti del gruppo noto come “Nuova gerarchia del clan dei CASALESI”, il sodalizio si era riorganizzato sotto la guida di uno storico affiliato, già capozona per il territorio dei due citati comuni, arrestato nell’ambito dell’indagine in parola.
Lo stesso è accaduto per il comune di Frignano, storicamente sottoposto alle famiglie SCHIAVONE e IOVINE. A Frignano, nel periodo collocabile tra il 2010 e il 2011, a seguito degli arresti dei capi dei sodalizi IOVINE e ZAGARIA, ha operato un gruppo misto formato da appartenenti ai clan VENOSA, IOVINE e ZAGARIA, che controllava anche altri comuni del casertano, tra i quali Aversa. La disgregazione del gruppo misto – conseguente, anche in questo caso, all’esecuzione di misure cautelari – ha comportato il ritorno nel territorio di un capozona della famiglia SCHIAVONE, anche lui oggetto del citato provvedimento del dicembre 2019 dell’Arma dei carabinieri.
La necessità di continuare ad agire sottotraccia si è tradotta, nel corso di questi ultimi anni, nella quasi totale assenza di conflitti. Per quanto attiene ai settori illeciti d’interesse, si conferma quello dei giochi e delle scommesse illegali. Tra gli elementi di novità, si segnala il sempre maggiore ricorso alla vendita di stupefacenti, in passato fenomeno episodico – perché in parte estraneo alla mentalità casalese – ma col tempo sistematicamente gestito dai clan locali ed a cui parteciperebbero emissari delle diverse famiglie della galassia camorristica casertana.
A monte della vendita, resta ovviamente invariato l’interesse per i traffici di stupefacenti, che si affiancano all’attività estorsiva, entrambi in grado di garantire una forte liquidità di denaro, impiegato anche per il mantenimento degli affiliati e delle loro famiglie. Il 9 luglio 2019, i Carabinieri hanno eseguito un provvedimento cautelare che ha svelato l’esistenza di una centrale di spaccio nell’alto casertano, gestita da una donna, moglie di un affiliato storico al clan SCHIAVONE, della quale avrebbe fatto parte anche un associato al gruppo IOVINE.
Il provvedimento, che scaturisce da un’indagine, avviata nel luglio 2015, ha disarticolato un’organizzazione criminale dedita a traffici di cocaina, marijuana e hashish, con piazze di spaccio ubicate nei comuni di Casal di Principe, Capua, Vitulazio, Bellona, Pignataro Maggiore e Camigliano. Nel mese di ottobre i Carabinieri hanno eseguito un altro provvedimento cautelare emesso dal GIP del Tribunale di Napoli nei confronti dei componenti di un’associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti (operazione “Tabula Rasa”). L’indagine, iniziata nel 2017, ha accertato l’esistenza e l’operatività di due distinte associazioni criminali dedite allo spaccio di cocaina, entrambe con sede logistica nel comune di Castel Volturno, dove operavano in regime di monopolio nelle zone di rispettiva competenza, con l’assenso della famiglia BIDOGNETTI, che riceveva in cambio periodici versamenti di somme di denaro.
Nello stesso mese, i Carabinieri hanno eseguito un provvedimento cautelare nei confronti di affiliati al gruppo SCHIAVONE. Le indagini alla base, oltre a tratteggiare la nuova morfologia del citato gruppo, hanno documentato una serie di estorsioni praticate nei comuni di Trentola Ducenta, Aversa, Lusciano740 e una fiorente attività di spaccio di cocaina, hashish e marijuana nell’agro aversano. L’organizzazione, con notevoli disponibilità finanziarie e precisa ripartizione dei ruoli, era composta da storici affiliati al cartello dei CASALESI e da altri pregiudicati in rapporti di parentela con componenti del citato clan, detenuti al regime di cui all’art. 41 bis O.P.741.
I membri dell’organizzazione, infatti, provvedevano anche al sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie. Sono emerse cointeressenze criminali con cittadini albanesi, attivi nel casertano, per la fornitura di armi, marijuana e hashish importate dall’Albania, differentemente dalla cocaina che veniva acquistata nel quartiere napoletano di Secondigliano. Nello stesso contesto investigativo, il 17 dicembre 2019, sempre i Carabinieri hanno eseguito un altro provvedimento cautelare nei confronti di alcuni pregiudicati, italiani e albanesi, operanti nella zona di Mondragone, ritenuti, a vario titolo, responsabili di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, uno dei quali già oggetto della precedente ordinanza.
Al pari del primo provvedimento, anche quest’ultimo ha preso avvio dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, già capo zona ad Aversa per conto del clan SCHIAVONE. Le sostanze stupefacenti – hashish e marijuana, importate dall’Albania dai correi albanesi – venivano prevalentemente rivendute lungo il litorale domitio. I due provvedimenti citati confermano il ruolo di rilievo acquisito dalla criminalità albanese nel panorama criminale casertano, soprattutto in ragione del fatto che l’Albania è diventata uno dei più importanti snodi nella rotta del traffico internazionale di stupefacenti. Una crescita delle consorterie di quel Paese resa evidente anche dalla possibilità di gestione diretta di piazze di spaccio lungo il litorale, riconosciuta dai gruppi autoctoni ai fornitori albanesi
Indice del forte dinamismo della camorra casertana è anche l’ingerenza tentacolare nella realtà economica e nel tessuto sociale. Ne sono riprova non solo il perdurare delle attività estorsive ma soprattutto la capacità di influenzare ampi settori produttivi, tra cui quello degli appalti, grazie al ruolo di imprenditori-camorristi che costituiscono l’asse portante della strategia del cartello dei CASALESI. Gli esiti dei processi hanno accertato che gli imprenditori impegnati nella realizzazione di opere pubbliche hanno trovato una diretta convenienza nell’operare sotto la “protezione” delle organizzazioni camorristiche, come attesta la costituzione di consorzi per la fornitura del calcestruzzo e degli inerti, controllati dalla camorra casalese e operanti in regime di assoluto monopolio.
Il rapporto che lega gli imprenditori al clan è un rapporto stabile, che assicura ai primi protezione nei confronti di altre organizzazioni criminali e soprattutto la possibilità di aggiudicarsi appalti sfruttando le relazioni che i secondi hanno intessuto con esponenti della classe politica e amministrativa, non solo in Campania, ma anche in ambiti extraregionali. Le descritte complicità concorrono, in modo sostanziale, a far mantenere alle organizzazioni un forte radicamento nel territorio, puntando ad infiltrare settori strategici come quello sanitario. Non a caso, diverse indagini del recente passato hanno fatto luce su episodi corruttivi che continuano a minare il sistema sanitario campano.
Molte di queste operazioni hanno riguardato ingerenze delle famiglie che rappresentano il vertice del cartello dei CASALESI su presidi ospedalieri casertani; famiglie che, in alcuni casi, hanno operato in accordo con il gruppo BELFORTE di Marcianise Nel mese di settembre, a conclusione dell’operazione “Analysis”, i Carabinieri hanno eseguito un provvedimento cautelare che ha riguardato una serie di reati commessi ai danni del Servizio Sanitario Nazionale.
Tra le condotte contestate figura l’esecuzione di analisi presso il laboratorio di un ospedale casertano – utilizzandone il personale, i macchinari e i beni strumentali – senza corresponsione di alcuna quota ticket, facendo invece figurare la prestazione come se fosse stata effettuata presso una struttura privata convenzionata con il SSN, che in tal modo percepiva rimborsi non dovuti. Per quanto non siano emerse condotte criminali riconducibili ad organizzazioni locali, si evidenzia che al vertice dell’organizzazione figurava anche la sorella di un noto latitante napoletano, catturato in Brasile nel 2015, dopo decenni di latitanza, che dirigeva la citata struttura privata, con sede a Caivano.
Tra i settori d’interesse dei CASALESI si confermano anche quello edilizio e, più in generale, gli appalti pubblici. L’operazione “Testamento” condotta dalla Guardia di finanza fornisce un ulteriore riscontro in proposito. L’attenzione degli investigatori si è concentrata su una famiglia di imprenditori di Villa Literno, operante prevalentemente nel settore immobiliare e del commercio carburanti. Le indagini hanno accertato l’esistenza di un patto stretto con il gruppo ZAGARIA per ottenere protezione dal sodalizio in cambio di altri favori, quali la sistematica monetizzazione di assegni provento degli affari illeciti del clan e la messa a disposizione degli stessi ZAGARIA delle relazioni imprenditoriali.
Tra gli addebiti contestati figurano anche alcune condotte corruttive, poste in essere tra il 2008 e il 2012, in connessione con la realizzazione del parcheggio multipiano “San Carlo” a Caserta, condotte finalizzate a far ottenere la concessione edilizia a società del gruppo imprenditoriale indagato. Sono diverse le indagini dalle quali emerge come i rapporti tra alcuni imprenditori e il clan ZAGARIA siano improntati a una reciproca convenienza. Una di queste, conclusa nel 2015, ha coinvolto un soggetto legato al capo clan che, con l’appoggio del sodalizio e di amministratori corrotti, si era aggiudicato alcuni lavori pubblici nel settore acquedottistico regionale grazie ad affidamenti diretti.
Per questi fatti, il 10 ottobre 2019 è stato condannato dalla Corte di Appello di Napoli a 10 anni di reclusione. Di particolare interesse, sulle relazioni che legano alcuni imprenditori ai gruppi camorristici, appaiono le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia riportate nel provvedimento dell’indagine del 2015, in cui si legge che il capo del clan ZAGARIA “…godeva di eccezionale rispetto e stima personale da parte di tantissimi imprenditori ed anzi il suo clan si caratterizzava essenzialmente per la capacità economica e di gestione di questi rapporti…”.
Per quanto riguarda la Pubblica amministrazione, sono indicativi delle interferenze della criminalità organizzata, gli scioglimenti dei Consigli comunali per infiltrazioni camorristiche. L’ultimo ha riguardato il Consiglio comunale di Orta di Atella – dove opera il gruppo RUSSO, espressione del cartello dei CASALESI – rinnovato nelle consultazioni amministrative del giugno 2018, sciolto con decreto del Presidente della Repubblica dell’8 novembre 2019: si tratta del secondo scioglimento, il primo era 2008. Nella Relazione prefettizia viene evidenziata la continuità della presenza all’interno del Consiglio comunale, a partire dal 2006, degli stessi amministratori e l’influenza definita “fortemente negativa” di un amministratore locale – condannato, nel maggio 2019, dalla Corte d’appello di Napoli per associazione di tipo mafioso – che “per oltre un ventennio ha condizionato la gestione dell’Ente”, favorendo l’illegalità con gravi danni per il territorio e l’ambiente.
Di queste attività illegali hanno beneficiato sia imprenditori – che mettevano a disposizione clan dei CASALESI le loro imprese in cambio del rilascio di concessioni edilizie illegittime – sia alcuni esponenti del gruppo RUSSO, collegato al citato cartello casertano. La relazione conclusiva della Commissione d’accesso evidenzia come anche l’ultima compagine amministrativa abbia subìto l’influenza di personaggi organici ad associazioni criminali nella gestione delle procedure d’appalto, di concessioni di spazi pubblici e di autorizzazioni edilizie, garantendo la continuità con il passato. Non sono poi mancate, nel semestre, indagini che, pur non avendo riguardato connivenze tra amministratori e criminalità organizzata, hanno portato alla luce gravi condotte delittuose poste in essere da esponenti di vertice dell’amministrazione pubblica locale.
In una di queste è stato coinvolto un politico di Villa Literno, indagato per corruzione, turbativa d’asta e truffa, un funzionario dell’ufficio tecnico di quel Comune e due imprenditori, per fatti risalenti al periodo pre e post elettorale per le consultazioni del 2016. Gli illeciti contestati riguardano irregolarità nel rilascio di un permesso di costruire un centro ricettivo turistico a Villa Literno, la realizzazione dell’appalto di adeguamento e completamento della rete fognaria di Lusciano e il pagamento di crediti per prestazioni svolte a favore dell’Ente comunale, effettuato proprio in un periodo di dissesto economico del Comune: gli imprenditori coinvolti avrebbero in cambio fornito il loro appoggio elettorale al politico di riferimento. Un peso importante per il mantenimento di una posizione di potere nel territorio è dato anche dalle enormi ricchezze a disposizione dei clan, misurabili grazie ai consistenti e periodici sequestri patrimoniali, resi possibili anche grazie ai percorsi collaborativi intrapresi da esponenti di spicco dei clan. Per quanto concerne il cartello dei CASALESI si evidenzia che il clan IOVINE, il cui capo è da tempo collaboratore di giustizia, è quasi completamente imploso.
All’interno del clan SCHIAVONE si registra una spaccatura tra i componenti del nucleo familiare, dopo la decisione di collaborare con la giustizia, assunta nel 2018, da uno dei figli del capo clan – da anni detenuto in regime ex art. 41 bis O.P. – e l’adesione al programma di protezione previsto per i parenti dei collaboratori, della moglie del capo clan e di un altro dei figli, intervenuta poco tempo dopo. La scelta non è stata condivisa dagli altri figli e il sodalizio continua a detenere la supremazia sui territori di competenza grazie alla gestione affidata, di volta in volta, al sodale libero più autorevole e alla incondizionata fedeltà di altri gruppi federati con gli SCHIAVONE.
Tra questi la famiglia RUSSO (definita in atti giudiziari come “ala gemellata” agli SCHIAVONE, tanto che spesso i collaboratori di giustizia parlano di clan SCHIAVONE-RUSSO), i sodalizi PANARO, CORVINO, BIANCO, CACCIAPUOTI, originari di Casal di Principe e il gruppo CATERINO-DIANA-MARTINELLI, che costituisce la costola sanciprianese del clan. Uno spaccato dei ramificati interessi economici del sodalizio viene dall’operazione “Doma” della DIA di Napoli, conclusa il 15 luglio 2019754. L’indagine ha smantellato un’importante articolazione imprenditoriale, strutturalmente legata al gruppo RUSSO-SCHIAVONE e facente capo ad uno degli “operatori economici più attivi dei CASALESI”, con compiti esecutivi nelle attività di estorsione, di reimpiego di capitali illeciti e di raccordo con il mondo politico.
Il sodalizio, tramite imprenditori di riferimento che si sono imposti sul mercato facendo ricorso alla forza di intimidazione del clan per estromettere le ditte concorrenti, aveva acquisito una sorta di monopolio nel settore della pubblicità e delle affissioni, in provincia di Caserta e nell’agro aversano. Un ambito, come dichiarato dai collaboratori di giustizia, di particolare rilevanza nell’economia del sodalizio, sia quale forma di investimento sia quale settore da sottoporre ad imposizione estorsiva.
Al vertice dell’organizzazione figurava un pregiudicato, inserito nel clan RUSSO, diventato, nel tempo, riferimento e gestore dei proventi illeciti anche per la famiglia SCHIAVONE che, all’indomani della sua scarcerazione, avvenuta nel maggio 2015, aveva ripreso a gestire gli affari nel lucroso settore della pubblicità, risultato sotto il controllo del clan dei CASALESI sin dagli anni 2006/2007. L’altra componente del cartello, rappresentata dagli ZAGARIA, si è raccolta intorno al nucleo familiare, con poche figure di soggetti fiduciar
i. Un ruolo importante è riconosciuto a mogli e sorelle dei componenti di vertice della famiglia, alle quali è affidato il compito di gestire gli ingenti capitali illeciti del sodalizio. Anche all’interno di questo gruppo si registra la collaborazione, risalente al luglio 2019, di un elemento di spicco, capo zona per conto del clan a Capua, colpito, unitamente a un amministratore di quel comune, da un provvedimento cautelare risalente al mese di gennaio 2019. Ritenuto molto vicino al capo clan, sin dai primi anni ’90, si sarebbe occupato di investire i capitali del sodalizio e di fungere da trait d’union tra la famiglia ZAGARIA ed esponenti delle istituzioni locali, per concordare l’assegnazione di appalti ed orientare le candidature e le elezioni nel comune di Capua.
Per anni sarebbe riuscito a mantenere un basso profilo, tanto da essere raggiunto da un primo provvedimento cautelare per associazione di tipo mafioso solo nel 2017. Sia quest’ultima misura cautelare del 2017, che quella più recente del 2019 forniscono un interessante spaccato del gruppo ZAGARIA come “clan impresa”, in grado di occupare, quasi in regime di monopolio, interi settori economici. Altrettanto rilevante è l’arresto, ad opera della DIA di Napoli, di un altro elemento di spicco del clan, avvenuto il 19 ottobre 2019 presso l’aeroporto internazionale di Capodichino, mentre rientrava dalla Romania.
Il pregiudicato è da anni organico al sodalizio, unitamente ad altri componenti del suo nucleo familiare, con alcuni dei quali avrebbe concorso a proteggere la latitanza del capo clan; si sarebbe, inoltre, occupato di gestire i principali affari e l’impero immobiliare creato in Romania dal fratello, per conto del clan, costituito da imprese di costruzione, centri benessere, varie centinaia di appartamenti già ultimati o in costruzione.
Al pari di quanto rilevato per le altre componenti del cartello dei CASALESI, anche per il gruppo ZAGARIA le estorsioni continuano a rappresentare una rilevante fonte di profitti, come attestato da un’indagine condotta dai Carabinieri che, a ottobre 2019, hanno arrestato tre pregiudicati imputati di una tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, avvenuta nel periodo compreso tra aprile a ottobre 2019, ai danni di un imprenditore proprietario di un’azienda bufalina di Cancello ed Arnone. Al vertice dell’associazione figurava un pregiudicato storicamente legato agli ZAGARIA.
La vicenda del boss Pasquale Zagaria
Da segnalare che, in relazione alla pandemia da COVID 19, è stata concessa, a fine aprile 2020, la detenzione domiciliare, in provincia di Brescia, al boss Pasquale ZAGARIA. Per quanto riguarda il clan BIDOGNETTI, la scelta di collaborare con l’Autorità Giudiziaria assunta dal figlio del capo clan, risalente ai primi mesi del 2019, e l’arresto di numerosi affiliati hanno fatto registrare un ridimensionamento del sodalizio, soprattutto da un punto di vista militare, anche se il gruppo è ancora in grado di esercitare una significativa pressione criminale nelle zone di influenza, potendo contare sull’ausilio degli alleati clan napoletani LICCIARDI e MALLARDO e della presenza nel territorio di affiliati di spicco, in stato di libertà.
Un altro elemento di forza del sodalizio è dato dalla diversificazione delle attività illecite, che spaziano in svariati ambiti. Nel mese di settembre 2019, i Carabinieri di Aversa hanno eseguito un provvedimento restrittivo che ha evidenziato un sistema di truffe al Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato al reperimento fraudolento di medicinali di classe “A” (farmaci essenziali e/o per malattie croniche, a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale) da destinare ad un commercio parallelo, principalmente all’estero: truffe che hanno assicurato all’organizzazione introiti per oltre 600 mila euro.
L’indagine, scaturita da una più ampia attività investigativa avviata nei confronti del gruppo denominato “Nuova gerarchia del clan dei casalesi”, riconducibile alla famiglia BIDOGNETTI, ha evidenziato come l’organizzazione si procurasse i medicinali di classe “A” presso farmacie situate in Campania, Lazio e Lombardia, utilizzando “ricette rosse” provento di furto presso ospedali e studi medici.
Le ricette venivano poi compilate a nome di ignari professionisti accreditati presso i Servizi Sanitari Regionali, in favore di pazienti inesistenti o inconsapevoli. I farmaci venivano, quindi, consegnati a uno spedizioniere legato all’organizzazione criminale, che provvedeva a spedirli all’estero, per lo più in Inghilterra, in totale assenza di qualsiasi attenzione in merito alla corretta modalità di conservazione dei prodotti, con conseguente grave pericolo per la salute delle persone. Dall’estero gli acquirenti provvedevano a versare il corrispettivo al clan su carte prepagate intestate ad affiliati, ai quali era riservato il compito di consegnare l’equivalente in contanti al capo dell’organizzazione, in cambio della retribuzione di 800 euro mensili.
La persistente presenza del clan BIDOGNETTI nel territorio è confermata anche dalla pressione estorsiva. Un’indagine, conclusa dai Carabinieri di Aversa nel mese di giugno 2019, ha dimostrato quanto le estorsioni abbiano continuato a flagellare le piccole e grandi attività commerciali e imprenditoriali rappresentando, altresì, un efficace strumento di assoggettamento del territorio da parte dell’organizzazione criminale.
Tra gli indagati figura il cognato di un esponente di spicco della famiglia BIDOGNETTI, rappresentante degli interessi criminali dei BIDOGNETTI a Parete, tratto in arresto il 19 luglio 2019 e destinatario, unitamente ad altri affiliati, di un successivo provvedimento, emesso nell’ambito del medesimo procedimento penale, a novembre 2019, che ha fatto emergere un sistema di intestazioni fittizie di società di vigilanza, in realtà riconducibili al citato esponente del clan.
La camorra a Castelvolturno: i clan più potenti
Tra le zone di influenza della famiglia BIDOGNETTI figura l’area di Castelvolturno, dove da anni coesistono gruppi camorristici e criminalità nigeriana e ghanese. Il territorio è diventato un punto nevralgico di traffici internazionali di droga e della gestione della prostituzione su strada, favorita, nel tempo, anche dalla disponibilità alloggiativa, talvolta abusiva, fornita da proprietari senza scrupoli.
In tale contesto, nel mese di novembre i Carabinieri hanno eseguito un provvedimento cautelare per traffico di stupefacenti a carico di un’organizzazione criminale, la cui operatività è stata accertata sin dai primi mesi del 2015, composta prevalentemente da cittadini extracomunitari, in particolare nigeriani, ai vertici del sodalizio, e ghanesi.
L’associazione era dedita all’importazione in Italia e in altri Paesi europei di ingenti quantitativi di eroina “attraverso reiterati trasporti – effettuati mediante l’utilizzo dei cd. “corrieri ovulatori” – dal Pakistan, dalla Nigeria, dal Niger, dal Malawi, dall’Uganda, dalla Tanzania, dal Ruanda, dalla Turchia, dall’Olanda all’Italia, con la complicità di appartenenti alle Forze di polizia e agli uffici delle dogane dei Paesi africani. La droga, giunta in Italia, veniva lavorata e ceduta ad una fitta rete di spacciatori, prevalentemente nigeriani, presenti nelle province di Napoli, Caserta, Roma, Cagliari, Latina, Palermo e Firenze, che provvedevano alla vendita al dettaglio.
La base territoriale dell’organizzazione era il comune di Castelvolturno e di Villa Literno, dove erano domiciliati i capi del sodalizio, mentre i pagamenti delle transazioni illecite avvenivano mediante i circuiti di money transfer o accrediti su carte prepagate.
La camorra a Sessa Aurunca, Cellole, Carinola, Falciano del Massico e Roccamonfina: i clan più potenti
Altre parti del territorio provinciale sono soggette all’influenza di sodalizi che fanno riferimento ai CASALESI. Uno di questi è il clan ESPOSITO, detto dei “Muzzoni”, presente a Sessa Aurunca, Cellole, Carinola, Falciano del Massico e Roccamonfina. Il suo ridimensionamento causato dallo stato di detenzione dei suoi elementi apicali770 ha determinato l’emersione di piccoli gruppi, molto eterogenei, dediti in prevalenza al traffico e allo spaccio di stupefacenti e alle estorsioni.
La camorra a Santa Maria Capua Vetere : i clan più potenti
A Santa Maria Capua Vetere sono presenti il gruppo DEL GAUDIO, alias “Bellagiò”, per lo più dedito alla vendita di stupefacenti, e l’antagonista FAVA, significativamente indebolito da scelte collaborative di affiliati di spicco. Il 4 dicembre 2019, i Carabinieri hanno eseguito una misura cautelare in carcere, che ha riguardato un’associazione criminale dedita all’acquisto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti (cocaina e hashish) nel periodo compreso tra ottobre 2016 e luglio 2017.
Al vertice due membri della famiglia DEL GAUDIO che, pur condividendo gli stessi canali per il reperimento della droga, provvedevano autonomamente a collocare lo stupefacente presso i diversi spacciatori. Contestualmente all’esecuzione delle misure cautelari personali, sono stati sottoposti a sequestro preventivo beni riconducibili a dieci degli indagati (conti correnti, conti deposito, contratti assicurativi ed un’autovettura).
La camorra nell’area capuana : i clan più potenti
Nell’area capuana, che comprende i comuni di Santa Maria La Fossa, Capua, Vitulazio, Bellona, Triflisco, Grazzanise, Sparanise e Pignataro Maggiore, permane l’influenza dei gruppi MEZZERO, PAPA e LIGATO. Nell’ambito di quest’ultimo sodalizio si è registrato un tentativo di riorganizzazione da parte delle nuove generazioni che, nonostante la detenzione dei capi storici, sono state in grado di ridare forza al clan, ripristinando una stabile struttura organizzativa, con suddivisione dei ruoli, allo scopo di monopolizzare il mercato delle sostanze stupefacenti. In particolare, un ruolo cardine è stato assunto dal figlio del capo clan, quest’ultimo detenuto in regime ex art. 41 bis O.P.
I nuovi assetti del clan LIGATO, inoltre, sono stati ricostruiti da un’indagine conclusa nel marzo 2019, con l’emissione di provvedimenti cautelari a carico, tra gli altri, di due figli del capo clan774. A Cesa operano i gruppi MAZZARA e CATERINO-FERRIERO, anche questi proiezione dei CASALESI, in passato fronteggiatisi in una sanguinosa faida.
La camorra a Marcianise: i clan più potenti
Nell’area marcianisana, storicamente al di fuori del cartello casalese, è operativo un sodalizio altrettanto strutturato, il gruppo BELFORTE, originario di Marcianise ed attivo nel capoluogo nonché, attraverso clan satelliti, a San Nicola la Strada, San Marco Evangelista, Casagiove, Recale, Macerata Campania, San Prisco, Maddaloni, Santa Maria Capua Vetere e San Felice a Cancello.
Nel mese di ottobre 2019 è stata scarcerata e sottoposta alla misura di sicurezza di sicurezza della libertà vigilata nel comune di Montebello della Battaglia, la moglie dello storico capo clan, già reclusa in regime ex art. 41 bis O.P., punto di riferimento del gruppo. Non è mancata, in tale contesto, l’azione di aggressione ai patrimoni illeciti messa in campo dalla DIA. Il 14 novembre 2019, la DIA di Napoli ha eseguito due decreti di sequestro preventivo nei confronti di soggetti operanti nel territorio in esame.
Il primo decreto ha condotto al sequestro di rapporti finanziari, aziende, beni mobili e immobili situati a San Felice a Cancello, nella disponibilità di un grosso trafficante di cocaina, acquistata all’estero, che aveva il suo centro di interessi criminali nel territorio di San Marco Trotti, agglomerato urbano posto tra i comuni di Santa Maria a Vico e San Felice a Cancello. Il secondo ha riguardato beni nella disponibilità di due fratelli contigui al clan BELFORTE. La loro adesione al sodalizio è emersa nell’ambito di una vicenda giudiziaria, definitasi con sentenze di condanna del 2015 e del 2016, del Tribunale di Napoli, in cui è stata riscontrata la loro fattiva collaborazione con il clan per la riscossione del “pizzo”.
Il meccanismo criminale ideato dai due fratelli, definiti anche “le spie del pizzo”, avveniva in due modi, o mediante sovrafatturazione degli importi dovuti (“gonfiando” i costi rispetto alle effettive forniture, per consentire la creazione di “fondi neri” destinati al pagamento delle estorsioni) o attraverso l’organizzazione di incontri tra gli estorti e gli appartenenti al clan. Tale sistema era così collaudato che, talvolta, gli imprenditori che avviavano nuove attività si rivolgevano spontaneamente ai due fratelli, affinché gli indicassero i referenti dell’organizzazione da contattare per “mettersi a posto”.
Che le estorsioni continuino a rappresentare anche per il clan BELFORTE una rilevante fonte di introiti illeciti è documentato da numerosi provvedimenti restrittivi. Uno di questi è stato eseguito il 13 novembre 2019, da personale della Polizia di Stato, nei confronti di un pregiudicato indiziato di tentata estorsione in concorso, aggravata dal metodo mafioso, risalente a febbraio 2018, in danno del titolare di una ditta di pompe funebri di Teverola.
L’ordinanza segue un provvedimento di fermo emesso dalla DDA di Napoli, eseguito il 2 ottobre 2019, nei confronti del suo complice. Nel medesimo contesto marcianisano risulta attivo anche il sodalizio PICCOLO–LETIZIA, per anni contrapposto ai BELFORTE. Entrambi i gruppi rappresentano due realtà criminali saldamente radicate nel territorio, significativamente aggredite da provvedimenti giudizia. Nel territorio operano anche piccoli gruppi a struttura familiare, collegati al sodalizio BELFORTE. Tra quelli storici, figura il clan MENDITTI, presente a Recale e a San Prisco, e BIFONE, attivo nei centri di Macerata Campania, Portico di Caserta, Casapulla, Curti, Casagiove e San Prisco. Nel comprensorio di San Felice a Cancello, Santa Maria a Vico ed Arienzo risultano ancora attivi elementi del clan MASSARO.
Sempre nel territorio marcianisano, si rileva la presenza del clan PAGNOZZI, che opera prevalentemente nella confinante provincia beneventana. Nel comune di Mondragone e sul litorale domitio è presente il sodalizio GAGLIARDI-FRAGNOLI-PAGLIUCA, erede della famiglia LA TORRE, attivo prevalentemente nel traffico di stupefacenti e nelle estorsioni, indebolito da recenti operazioni di polizia, che hanno tra l’altro evidenziato gli stretti rapporti di collaborazione con il citato clan ESPOSITO di Sessa Aurunca, soprattutto nel settore delle estorsioni e del traffico di droga.
Il territorio casertano, infine, continua ad essere oggetto di particolare attenzione per quanto riguarda il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti, che ha determinato gravissimi problemi di salute pubblica, nonché – parallelamente – la bonifica di aree dove, negli anni, sono stati sversati illecitamente rifiuti di ogni genere.
La camorra e la Terra dei Fuochi
Una delle zone maggiormente interessate da tale criticità è la cosiddetta Terra dei Fuochi, che comprende un vasto territorio che si snoda tra le province di Napoli e Caserta, nel quale sono situati 55 comuni del napoletano e 33 del casertano.
Numerose sono le indagini che, negli anni, hanno riguardato condotte illecite nello specifico settore, poste in essere da parte di tutti i soggetti che intervengono nel ciclo di smaltimento: non solo, pertanto, gruppi criminali, ma anche imprenditori e amministratori senza scrupoli, autotrasportatori e consulenti chimici. In alcuni casi i comportamenti sanzionati prescindono dalla relazione con gruppi criminali, ma sono dettati da un personale tornaconto economico.
Al riguardo, si cita l’esecuzione, il 15 luglio 2019, da parte dei Carabinieri, di un decreto di sequestro preventivo emesso a conclusione di un’indagine, coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, riguardante il ciclo dei rifiuti della provincia di Caserta, nei confronti di un soggetto al quale faceva capo la gestione di una ditta, specializzata nel settore dello smaltimento rifiuti, ritenuto responsabile del reato di truffa aggravata ai danni del comune di Grazzanise, più volte al centro di indagini per condotte illecite di questo tipo. Le investigazioni hanno accertato un diffuso sistema truffaldino, architettato per “gonfiare” il peso dei rifiuti smaltiti per conto dei Comuni, con lo scopo di lucrare sulla differenza tra quanto effettivamente smaltito e quanto falsamente attestato.
In particolare, mediante l’alterazione del sistema di pesatura degli automezzi che pervenivano presso uno stabilimento sito a Pastorano, gestito dalla ditta sequestrata, veniva attestato il conferimento di quantitativi di rifiuti umido/organici, di gran lunga superiori a quelli effettivamente trasportati, con evidente aggravio per le casse comunali. L’imprenditore, come sopra accennato, era stato più volte indagato per altri illeciti, accertati tra il 2013 e il 2016, sempre connessi allo smaltimento dei rifiuti.
Nel 2016 era stato destinatario di un provvedimento cautelare emesso in conseguenza di irregolarità accertate nella gara d’appalto, bandita nel 2015, dall’amministrazione comunale di Piedimonte Matese per il conferimento delle frazioni recuperabili e non recuperabili di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata o al dicembre del 2019.