Cronaca

Controllare le chat del partner senza il consenso è reato: la sentenza della Cassazione

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Controllare le chat WhatsApp del partner o dell’ex senza il consenso (anche se si conosce il codice PIN) è considerato reato: questa la sentenza della Cassazione del 27 gennaio che ha confermato la condanna di un uomo.

Controllare le chat del partner è reato: la sentenza della Cassazione

Controllare le chat WhatsApp del partner o dell’ex senza consenso, anche se si possiede il codice PIN, è considerato un reato. In particolare, si configura come accesso abusivo a un sistema informatico e violazione della corrispondenza. Non si tratta di una trama del film “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, ma di una sentenza della Cassazione del 27 gennaio, che ha confermato la condanna di un uomo. Quest’ultimo, in un procedimento civile, aveva presentato conversazioni tra la sua ex moglie e il suo datore di lavoro, ottenute illegalmente dal telefono di lei, di cui conosceva il codice di sblocco.

L’uomo si era difeso sostenendo che l’accesso era avvenuto in un periodo di emergenza Covid e che quegli scambi contenevano informazioni cruciali per la salute del figlio. L’imputato aveva anche affermato di non aver violato alcun sistema informatico, poiché conosceva la password, che gli era stata fornita tempo prima durante la convivenza. Inoltre, non aveva nemmeno dovuto utilizzarla, poiché il cellulare era stato lasciato incustodito sul tavolo con la schermata delle chat aperta, permettendogli di leggerle. Tuttavia, per i giudici, la condanna era inevitabile.

La decisione

I magistrati affermano che «non ha rilevanza il fatto che le chiavi di accesso al sistema informatico protetto siano state fornite all’autore del reato dal titolare delle credenziali prima dell’accesso non autorizzato, se la condotta illecita ha prodotto un risultato in netto contrasto con la volontà della persona offesa e oltrepassa qualsiasi ambito di autorizzazione». In altre parole, il reato si configura quando l’uso delle credenziali di accesso avviene contro il volere del titolare. Avere ottenuto in precedenza le password non consente di utilizzarle nuovamente senza un’ulteriore autorizzazione. Questa regola si applica anche alle coppie conviventi che si trovano in buoni rapporti. Secondo i giudici, la presenza di un PIN di accesso sul cellulare suggerisce che il proprietario desideri mantenere riservato il contenuto del dispositivo.

Reato aggravato

Le conversazioni su WhatsApp sono considerate a tutti gli effetti comunicazioni private. La violazione della corrispondenza, che si verifica quando una persona si appropria senza autorizzazione dei messaggi riservati di un’altra, è in questo caso aggravata dall’uso del contenuto di tali scambi in un procedimento legale. Questo è lo stesso reato commesso da chi, ad esempio, si appropria della corrispondenza bancaria del coniuge per utilizzarla in un processo di separazione civile. La stessa regola si applica anche agli SMS e alle email. Si tratta di dati ottenuti in modo illecito e, anche se possono essere necessari per dimostrare un tradimento, i guadagni effettivi dell’ex coniuge o informazioni utili per decidere l’affidamento dei figli, non possono essere presentati in tribunale. È possibile richiedere al giudice di disporre un’acquisizione urgente del contenuto del dispositivo. Sarà compito del magistrato valutare la rilevanza delle informazioni e decidere se siano effettivamente necessarie per il procedimento.

I precedenti

La Cassazione si è già espressa in passato riguardo alle chat e agli smartphone. Ad esempio, i giudici hanno stabilito che strappare il telefono di mano a un partner costituisce reato di rapina: «L’impossessamento del telefono» contro la volontà del partner è considerato «una condotta antigiuridica, e l’ingiusto profitto deriva dall’invasione indebita della sfera di riservatezza della vittima».

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