Justin Welby, arcivescovo anglicano di Canterbury, ha annunciato le sue dimissioni a seguito di gravi accuse riguardanti la gestione di abusi sessuali e psicologici su minori perpetrati da John Smyth, un suo amico e avvocato deceduto nel 2018. Smyth avrebbe abusato di giovani durante i campi estivi organizzati dalla chiesa anglicana, ma Welby, pur informato dei fatti nel 2013, non avrebbe denunciato l’amico alle autorità.
La rivelazione ha scatenato un’ondata di indignazione tra i fedeli e i vertici della Chiesa anglicana, spingendo alcuni membri del Sinodo generale, l’assemblea nazionale della Chiesa, a chiedere le sue dimissioni, sostenendo che Welby avesse ormai “perso la fiducia del suo clero”.
Justin Welby si dimette: l’arcivescovo di Canterbury avrebbe coperto abusi sessuali
Welby, nel comunicato in cui annuncia la decisione, ha dichiarato: “Credo che farmi da parte sia nell’interesse della Chiesa d’Inghilterra, che amo profondamente e che ho avuto l’onore di servire”.
Un’indagine indipendente, la Makin Review, ha messo in luce che Welby era stato informato degli abusi già nell’agosto del 2013, poco dopo essere diventato arcivescovo, ma non ha mai riferito i fatti alla polizia. La Makin Review ha rilevato che una denuncia formale già nel 2013 avrebbe potuto prevenire ulteriori abusi, portando alla condanna di Smyth e consentendo un intervento immediato. Invece, Smyth ha continuato ad abusare di giovani durante la sua permanenza in Sudafrica fino alla sua morte nel 2018. Tra il 1984 e il 2001, infatti, Smyth visse prima in Zimbabwe e poi in Sudafrica, dove avrebbe continuato a commettere abusi su giovani uomini e ragazzi, un’attività che sarebbe andata avanti senza controllo per anni.
Il primo ministro britannico, Keir Starmer, si è espresso sulla vicenda dichiarando: “Da quanto sappiamo, le accuse sono orribili, sia per la loro gravità sia per il dolore inflitto alle vittime”. Pur affermando che la questione riguardi principalmente la Chiesa, Starmer ha aggiunto che le sue riflessioni sono rivolte alle vittime.
La vicenda rappresenta una delle crisi più profonde nella storia recente della Chiesa anglicana, richiamando l’attenzione sui doveri istituzionali e morali dei leader religiosi.