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Alessandro Manzoni, perché leggere I promessi sposi ci aiuta ancora oggi

Chi di noi non ha mai letto I promessi sposi ai tempi del liceo? In tutte le scuole italiane è presente questo testo scritto da Alessandro Manzoni in quel lontano 1827 ma nonostante la forte retorica e gli stilemi linguistici, resta un caposaldo della letteratura italiana molto utile ancora oggi: perché si sa, determinati usi e costumi difficilmente assopiscono con il passare del tempo, specialmente quando queste abitudini appartengono al popolo italiano.
Alessandro Manzoni, considerato uno dei maggiori romanzieri italiani, ebbe il merito principale di aver gettato le basi per il romanzo moderno e di aver così patrocinato l’unità linguistica italiana.

Alessandro Manzoni: la vita e la carriera

Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni, noto a tutti come Alessandro Manzoni, nasce il 7 marzo del 1785,  a Milano.

Figlio di Pietro Manzoni, discendente da una nobile famiglia di Barzio e di Giulia Beccaria, figlia dell’illuminista Cesare Beccaria, autore del trattato Dei delitti e delle pene.

Nonostante il padre legittimo fosse Pietro, è molto probabile che il padre naturale di Alessandro fosse un amante di Giulia, Giovanni Verri. La relazione tra i due era nata nel 1780 e continuò anche dopo  il matrimonio con Manzoni.

I primi anni di collegio lasciano in lui un ricordo del tutto negativo ma lo avviano alla conoscenza di autori moderni come Alfieri e Parini e alla lettura dei pensatori francesi illuministi.

L’ambiente milanese e la parentela con quel nonno, forte esponente dell’illuminismo milanese, pongono sicuramente delle solide basi per il pensiero manzoniano; infatti molti elementi della cultura illuminista saranno, successivamente, rielaborandoli dallo scrittore secondo una sua personale visione.

Nel 1805 Alessandro Manzoni si trasferisce a Parigi dove la madre viveva con il compagno Carlo Imbonati, la morte improvvisa di quest’ultimo, prima dell’arrivo del giovane in Francia, rinvigorì il forte legame fra Manzoni e sua madre.

Nel 1808 sposa, con rito calvinista, Enrichetta Blondel, che fu sua compagna anche nel graduale processo di conversione verso il giansenismo che avvenne dopo il “miracolo di San Rocco” quando Manzoni, durante la festa patronale, si perse nella grande calca parigina e, preso dal panico, invocò Dio perché riuscisse a ritrovare sua moglie e la strada di casa.

La conversione religiosa nella vita e nelle sue opere

La conversione religiosa di Alessandro Manzoni, coincide con un distacco definitivo dalla poesia classicheggiante e neoclassica: compone gli Inni Sacri e le prime tragedie, fra cui spicca il Conte di Carmagnola.

La raccolta di Manzoni intitolata Inni Sacri scaturisce dalla svolta spirituale della conversione al giansenismo.

Nel progetto originario doveva comprendere 12 componimenti dedicati alle principali festività dell’anno liturgico ma Manzoni ne scrisse solamente 5: Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste.
Ogni inno rievoca l’episodio della storia sacra che nella festività corrispondente viene celebrato, spiegando il significato che per la collettività riveste ognuna di queste ricorrenze.

Le Odi civili seguono la forma e il linguaggio degli Inni Sacri, le più importanti sono: Marzo 1821 e Il Cinque Maggio, composta quando Manzoni venne a conoscenza della morte di Napoleone Bonaparte.

La predilezione per una lingua che doveva essere compresa da tutti

Sempre a Parigi, nel 1819, inizia a frequentare lo storico francese J. Thierry da cui trarrà l’idea, fondamentale per la sua produzione artistica, dell’esigenza di una storiografia che nella sua indagine sia attenta alle masse e non solo ai governi o ai regnanti.

Il 1820 appare un anno fortemente innovativo: Manzoni ritorna a Milano e comincia la stesura della prima versione del suo romanzo storico d’eccellenza che viene pubblicato in una prima edizione con il titolo di Fermo e Lucia (1821-1823).

Gli anni seguenti vedono Alessandro Manzoni impegnato in una profonda riflessione sulla storiografia e sulla lingua italiana.

Nel 1827 Manzoni si trasferisce a Firenze per vivere a stretto contatto con la lingua fiorentina con la quale intendeva scrivere il suo romanzo.

Con la morte della moglie Enrichetta, avvenuta nel 1833, inizia un periodo di gravi lutti per Manzoni: muoiono 8 dei suoi 10 figli e anche la sua seconda moglie, Teresa Borri.

La questione della lingua diventava per il Manzoni un tassello fondamentale: in Italia solo la lingua letteraria, ovvero la lingua fiorentina, era riconosciuta sul piano nazionale e quindi come lingua ufficiale scritta, ma il resto del popolo non era in grado di comprenderla perché oltre a parlare esclusivamente dialetto era anche per la maggior parte analfabeta.

Alessandro Manzoni, che dal 1861 è senatore del neonato regno d’Italia, in linea con le idee romantiche che sposò nel corso della sua vita, predilesse una lingua fiorentina semplice: non il fiorentino aulico e pomposo ma una lingua schietta, popolare, che accogliesse anche i termini più pratici e comprensibili delle parlate locali (oltre il fiorentino di base quindi) e i termini stranieri circolanti in quell’epoca.

Alessandro Manzoni: curiosità e morte

Alessandro Manzoni soffriva di depressione, attacchi di panico e agorafobia, paura degli spazi aperti e affollati. La sua vita fu condizionata da questi malesseri tanto da temere di uscire da solo, infatti, era sempre accompagnato.

La morte di Manzoni avvenne il 22 maggio del 1873 a Milano, fu occasione di solenni cerimonie che ispirarono anche una Messa da Requiem di Giuseppe Verdi.


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24 aprile 1821: Manzoni inizia la stesura di Fermo e Lucia

La prima idea del romanzo risale al 24 aprile 1821, quando Manzoni cominciò la stesura del Fermo e Lucia, componendo in circa un mese e mezzo i primi due capitoli e la prima stesura dell’Introduzione.

Il lavoro venne però interrotto per dedicarsi: al compimento dell’Adelchi, al progetto poi accantonato della tragedia Spartaco e alla scrittura dell’ode Il cinque maggio. Il romanzo venne poi ripreso l’anno successivo sempre ad aprile e venne portato a termine il 17 settembre 1823.

Il Manzoni dichiarò, nella lettera all’amico Claude Fauriel, di aver portato a termine una nuova creazione letteraria caratterizzata dalla tendenza al vero storico.

Questa opera anticipa e prepara il lettore a I promessi sposi ma allo stesso tempo deve essere considerata autonomamente, poiché dotata di una struttura interna coesa e del tutto indipendente dalle successive elaborazioni dell’autore.

Rimasto per molti anni inedito e pubblicato solo nel 1915, da Giuseppe Lesca, col titolo Gli sposi promessi, il Fermo e Lucia presenta una tessitura dell’opera meno elaborata di quella de I promessi sposi, un romanzo incompleto, per certi versi, a causa delle scelte linguistiche varie e non ancora elaborate dall’autore stesso, si alternano, infatti, tracce di lingua letteraria, elementi dialettali, latinismi e prestiti di lingue straniere.

Oltre all’aspetto linguistico, il Fermo e Lucia differisce profondamente da I promessi sposi per la struttura narrativa più pesante, dominata dalla suddivisione in 4 tomi e dalla mancata scorrevolezza dell’intreccio narrativo, dovuta ai frequenti interventi dell’autore o alla narrazioni dettagliate delle vicende di alcuni protagonisti, come la Monaca di Monza.


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Alessandro Manzoni pubblica I promessi sposi

Tra il 184o e il 1842 avvenne finalmente la stesura de I promessi sposi, grande romanzo storico e capolavoro di Manzoni, si passa da una versione provvisoria e da una veste linguistica lombarda all’edizione rivista e completa, linguisticamente coerente con le idee che il Manzoni ha sulla questione della lingua.

I protagonisti, Renzo e Lucia, sono popolani, umili, travolti da avvenimenti storici e lotte di potere a loro estranei, inoltre l’epidemia di peste e le rivolte cittadine mettono i protagonisti a dura prova.
Il lieto fine è affidato alla Divina Provvidenza: la peste uccide gli antagonisti e fa ricongiungere gli innamorati.


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La peste ai tempi del covid-19: perché leggere I promessi sposi ci aiuta ancora oggi

Rileggere I promessi sposi in questo periodo molto dedicato ci lascia a dir poco stupefatti per le tante similitudini che appaiono tra l’attuale epidemia di Coronavirus e la terribile peste avvenuta a Milano tra il 1629 e il 1630.

Benché si tratti di due malattie infettive differenti, il Covid-19 causato da un virus e la peste da un batterio, ci sono effettivamente tanti richiami, sopratutto per quanto riguarda il comportamento tenuto da alcune persone che sembrano ricondurci ai tempi in cui Manzoni scrisse il suo racconto.


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Manzoni ci racconta che ai tempi della peste la gente era molto superstiziosa e ignorante, prese alla leggera le restrizioni iniziali, ma quando poi il batterio incominciò a sterminare tantissime vittime, si iniziò ad entrare nel panico più totale, ma come nessun unguento e nessuna caccia all’untore poteva prevenire la malattia più grande, l’ignoranza, nessuna buona azione ritardataria sarebbe stata in grado di fermare una pandemia.

Al giorno d’oggi, le informazioni sono anche troppe, il livello culturale è certamente aumentato ma come allora si comprende una catastrofe solo quando la si vive sulla propria pelle, fino a quando essa non ci tocca personalmente, siamo sempre propensi a rimandare a quelle buoni azioni che forse avrebbero potuto evitare il peggio.


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