Arcangelo Correra morto a 18 anni a Napoli, la Procura: “L’amico rimane in carcere, il Riesame non concede sconti”. L’indagato non poteva ignorare di maneggiare un’arma carica. Lo riporta Il Mattino.
Arcangelo Correra morto a Napoli, la Procura: “Niente sconti”
Non poteva non rendersi conto di avere tra le mani una pistola pronta all’uso, dotata di un caricatore modificato e potenziato. Non poteva ignorare di impugnare un’arma capace di sparare, con un proiettile già in canna. Questa è la conclusione della Procura di Napoli, emersa durante l’udienza davanti al Tribunale del Riesame, che ieri pomeriggio ha deciso di mantenere in carcere il 19enne Renato Caiafa, accusato dell’omicidio dell’amico d’infanzia Arcangelo Correra. Le indagini continuano per fare luce su quanto accaduto sabato 9 novembre in piazzetta Sedil Capuano.
In sintesi, l’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli si mantiene solida, anche grazie alle testimonianze raccolte recentemente. Il pubblico ministero Ciro Capasso, sotto la supervisione del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, sta esaminando due aspetti cruciali: da un lato, il comportamento di Renato Caiafa nelle ore immediatamente successive all’omicidio del suo amico d’infanzia; dall’altro, le dichiarazioni raccolte in questi giorni, per lo più provenienti dallo stesso gruppo di ragazzi che frequentavano sia Arcangelo che Renato.
Le ipotesi di reato
Per quanto riguarda le accuse, le ipotesi di reato di possesso di armi e ricettazione sono quelle che tengono Caiafa in custodia cautelare, mentre i pm stanno anche indagando sulla possibilità di omicidio volontario con dolo eventuale. In sintesi, il Riesame ha confermato la detenzione di Arcangelo, considerando che l’inchiesta è ancora in corso e mira a rafforzare le testimonianze raccolte in piazzetta Sedil Capuano.
L’ipotesi di un incidente casuale non sembra reggere. Infatti, la versione di Caiafa riguardo a un episodio del tutto fortuito è stata smentita da alcuni amici di Arcangelo Correra, sia durante interviste televisive che nelle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria. Secondo gli inquirenti, Caiafa era consapevole di maneggiare un’arma con il caricatore carico, era pienamente cosciente della pericolosità della pistola che aveva in mano e sapeva che il caricatore conteneva proiettili. In diverse occasioni, dai vicoli dei Decumani, è stato rivolto al 19enne detenuto l’invito a «dire la verità» da parte di persone presenti all’alba di quel sabato nove novembre.
Caiafa ha risposto alle domande degli inquirenti
Difeso dall’avvocato penalista napoletano Giuseppe De Gregorio, Caiafa ha risposto alle domande degli inquirenti dopo essersi presentato spontaneamente alla Squadra Mobile. Ha riconosciuto di aver impugnato l’arma, ma ha negato di aver preso la mira o di aver sparato. Secondo la sua versione difensiva, si sarebbe trattato di uno scherzo finito male o di un incidente. Caiafa ha anche raccontato di aver soccorso immediatamente l’amico gravemente ferito, portandolo insieme a un comune amico minorenne all’ospedale Pellegrini nel tentativo di salvarlo, fino a sentire le sue ultime parole: «Renato, non mi lasciare…».
Una ricostruzione che non trova consenso unanime, poiché alcuni continuano a sollecitare Renato Caiafa a «rivelare tutta la verità». Tuttavia, concentriamoci sul cuore delle indagini e degli accertamenti tecnici. Fino a questo momento, ha avuto un peso significativo il tentativo iniziale di Renato Caiafa di eliminare le prove della sua condotta, subito dopo aver accompagnato l’amico in ospedale. Ha effettuato una telefonata allo zio per far rimuovere il motorino e l’arma, e si è allontanato per alcune ore. Successivamente, ha deciso di costituirsi presso la polizia, presentandosi in questura. Ora la parola passa alla difesa di Caiafa. Dopo aver esaminato le motivazioni dei giudici del Riesame (presieduto da Pietro Carola), spetta all’avvocato De Gregorio lavorare su un possibile ricorso per Cassazione.
Un altro aspetto da chiarire riguarda il possesso della pistola. A chi apparteneva? Era di proprietà del gruppo o di uno specifico membro? Per quale motivo è stata utilizzata? Secondo la ricostruzione della Procura, Arcangelo Correra e Renato Caiafa erano stati fermati e controllati poche ore prima – intorno alle due di notte – dopo aver trascorso del tempo nella zona dei baretti a Chiaia: in quel momento non erano armati, la pistola non era presente. Quindi, da dove è spuntata l’arma che ha causato la morte di Correra?