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Il 15 settembre del 1993 viene assassinato Don Pino Puglisi, il delitto si consumò il giorno del suo 56esimo compleanno

Quel sorriso che non abbandonava mai il volto di Don Pino Puglisi rimarrà nella storia, è lo stesso volto che ha fatto confessare e convertire il suo stesso carnefice. Fu il suo killer a raccontare gli ultimi momenti della vita di Puglisi, un prete coraggioso ed eroico ammazzato brutalmente in un delitto mafioso.
Don Pino Puglisi è stato beatificato il 25 maggio 2013, durante una cerimonia liturgica al Foro Italico Umberto I, di Palermo. Davanti a 100mila persone. La beatificazione di Don Pino Puglisi pone fuori dal Cattolicesimo e dal Cristianesimo, i mafiosi e la loro atea religione. Non è il primo prete martire ma è il primo tra quelli uccisi dalle mafie:

«l’uccisione di Don Pino Puglisi non è soltanto un efferato delitto di mafia: è anche la sua testimonianza di fede, amore, speranza».

15 settembre 1993: si consumò l’assassinio di Don Puglisi

L’assassinio di Don Pino Puglisi si è consumato materialmente il 15 settembre dl 1993, giorno del suo 56esimo compleanno. Il suo impegno è stato la sua colpa, a Brancaccio – ventre molle di una società infettata dalla mafia – era riuscito a coinvolgere molti ragazzi, strappandoli da una carriera mafiosa che offre a chi la percorre un biglietto di sola andata per morte e dannazione.

Fatti antecedenti

Nel Settanta il parroco diventa spettatore, non passivo, di una faida tra due famiglie mafiose. L’ironia e la sua forza d’animo le ricordano ancora a Godrano dove si definiva “il prete più altolocato della diocesi”, data la consistente altezza dal livello del mare di quel paesino.



Il 19 settembre 1990 torna a Brancaccio per volontà del cardinale Pappalardo, nella parrocchia di San Gaetano. Viene nominato parroco in quel quartiere posto sotto il dominio mafioso, il “regno” dei fratelli Graviano. Un quartiere difficile, dove vive anche “il papa”, Michele Greco. Lo sa anche don Pino che come sempre ci scherzava su: «sono l’nico sacerdote ad avere due papi. Uno a Roma, l’altro a Brancaccio». Sia a Godrano sia a Palermo abbatte le mura della Chiesa che diventa il territorio dove si concretizza la parola di Dio, una parola vissuta in prima persona, al fianco della gente. Condannava la mafia ma cercava di recuperare i mafiosi.

Un prete che faceva il proprio lavoro in una Chiesa che è sempre stata dura con il peccato e tollerante con il peccatore. Cercava di educare i ragazzi al rispetto delle regole. È riuscito a mettere in discussione persino le tradizioni, prima fra tutte la processione di San Gaetano, che si era sempre fermata davanti al balcone del boss, per omaggiarlo. Rifiutava i soldi dei boss. Era un prete “povero” e “libero”.

Omicidio

Don Pino Puglisi viene assassinato la sera del 15 settembre 1993, sotto la sua abitazione, a Palermo. Ucciso in piazza Anita Garibaldi con colpo di pistola alla nuca. Salvatore Grigoli, il killer del parroco ucciso racconta così quella sera:


La tomba di Don Pino Puglisi.

«[…] l’avvistammo in una cabina telefonica mentre eravamo in macchina. Andammo a prendere l’arma. Toccava a me. Ero io quello che sparava. Spatuzza gli tolse il borsello, e gli disse: padre, questa è una rapina. Lui rispose: “me l’aspettavo”. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso. C’era una specie di luce in quel sorriso…».

Le prime notizie dopo l’omicidio, sono confuse e poco chiare. Mandanti ed esecutori del delitto provano a dare un’immagine diversa di quanto avvenuto. Sapevano che le reazioni successive all’omicidio del sacerdote, soprattutto dalla stessa società, non sarebbero state positive. Nonostante ciò, hanno rischiato di perdere la loro “credibilità sociale” e la loro legittimazione. Per cui, cercano di far passare il fatto come un omicidio occasionale, seguito ad una rapina non andata a buon fine, e non solo. Vincenzo Ceruso «ha avuto l’occasione di sentire da un personaggio vicino agli ambienti mafiosi della zona, e forse mafioso egli stesso, che il sacerdote sarebbe stato ucciso a causa di vicende legate alla sua omosessualità, accennando velatamente anche a episodi di pedofilia. Un tentativo infamante, destinato al fallimento, ma che cominciò la sera stessa della morte».

Processo

Per l’assassinio del prete palermitano «sono stati istruiti a Palermo due processi già arrivati alla sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i boss di Brancaccio dell’epoca, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Come esecutori il carcere a vita è stato inflitto a Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone, tutti detenuti».


Giuseppe Graviano, il mandante del delitto Puglisi.

Condanna a 16 anni invece, per il killer pentito Salvatore Grigoli. Scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Palermo: «Emerge la figura di un prete che infaticabilmente operava sul territorio, fuori dall’ombra del campanile… L’opera di Don Puglisi aveva finito per rappresentare una insidia e una spina nel fianco del gruppo criminale emergente che dominava il territorio, perché costituiva un elemento di sovversione nel contesto dell’ordine mafioso, conservatore, opprimente che era stato imposto nella zona, contro cui il prete mostrava di essere uno dei più tenaci e indomiti oppositori.

Don Pino Puglisi aveva scelto non solo di “ricostruire” il sentimento religioso e spirituale dei suoi fedeli, ma anche di schierarsi, concretamente, senza veli di ambiguità e complici silenzi, dalla parte di deboli ed emarginati, di appoggiare senza riserve i progetti di riscatto provenienti da cittadini onesti, che coglievano alla radice l’ingiustizia della propria emarginazione e intendevano cambiare il volto del quartiere, desiderosi di renderlo più accettabile, accogliente e vivibile».

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