AVELLINO. A cinquant’anni dal 1968 lo ZiaLidiaSocialClub decide di omaggiare un decennio di fervente rivoluzione culturale con la proiezione del documentario Assalto al Cielo di Francesco Munzi.
Il film: “Assalto al cielo”
La proiezione è prevista per lunedì 26 febbraio alle ore 20 presso il cinema Movieplex di Mercogliano e sarà introdotta dal critico cinematografico Francesco Massarelli. In occasione di questo importante appuntamento il pubblico avellinese avrà modo di confrontarsi direttamente con il montatore del film Giuseppe Trepiccione.
Alfred Hitchcock diceva: “Un film è la vita a cui sono state tagliate le parti noiose”; e queste parti noiose vengono tagliuzzate ad arte proprio dal montaggio per questo il quarto appuntamento della rassegna la Voce dell’Autore è dedicato, oltre che all’anniversario del 68’, alla figura fondamentale e molto spesso non celebrata del montatore.
Il montaggio
«Il montaggio è sostanzialmente narrazione. Resta però il fatto che quello del montatore è il più oscuro dei mestieri del cinema e il più difficile da comunicare all’esterno. Bisogna capire che il racconto cinematografico è fatto per immagini, quindi scegliere quali inquadrature compaiono in un determinato momento, è la sua caratteristica peculiare. Si dice che un film si scrive tre volte: la prima sulla carta, la seconda con la macchina da presa e infine la terza con il montaggio. Il montatore lavora sul materiale grezzo rappresentato dalle immagini del girato, dandogli forma e potenziandone le capacità espressive» ha affermato Giuseppe Trepiccione in una recente intervista.
Casertano trapiantato a Roma dove ha frequentato il centro sperimentale, tra i suoi lavori recenti ricordiamo Fiore, Alaska e appunto Assalto al Cielo presentato fuori concorso alla 73 Mostra internazionale del cinema di Venezia.
La regia
Questo documentario di montaggio ripercorre il decennio che va dal 1967 al 1977 in Italia. Il regista attraverso materiale di archivio individua tre filoni narrativi che hanno per protagonisti: il movimento studentesco, quello operaio e gli scontri con polizia e fascisti.
Il critico Pasquale Cicchetti afferma in proposito: «Con l’emergere della lotta armata il centro del discorso si sposta, e il film sembra concentrarsi sullo sfaldamento – antropologico e identitario – di chi in quegli anni si trovava stretto in un groviglio di cambiamento, violenza e utopia. Munzi si sforza di conservare uno sguardo aperto, rifiutando tanto l’agiografia nostalgica quanto la sintesi del giudizio storico. Lavorando in modo dialogico, sceglie momenti di dibattito, di interlocuzione, di assemblearismo; momenti in cui è difficile non avvertire l’urgenza della posta in gioco come pure la voglia di partecipare a qualcosa di condiviso. Ecco: la rivoluzione come tensione ideale, e il dibattito come metodo. Questi sono gli assi che circoscrivono la lettura di Munzi dell’Italia di quel periodo che arriva a proporre un metodo analogo al suo pubblico, fermandosi letteralmente e invitando per ben due occasioni a spegnere il proiettore e discutere di quanto appena visto. Se nostalgia c’è, è la nostalgia per un modo di essere e di partecipare, per l’intenzione condivisa di prendere sul serio la cultura e la politica. Finito il film, vale quasi la pena di ascoltare il suggerimento di Munzi, e per una volta, con buona pace di Moretti, riscoprire il dibattito».
La locandina