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La rappresentazione di genere nelle pubblicità. Tra modelli stereotipati ed inversioni di tendenza

A partire dagli anni ‘70, si sono rapidamente diffusi gli Women Studies volti ad analizzare la rappresentazione dei generi nella pubblicità e nello specifico il ruolo e l’immagine della donna in tale contesto. Dalle ricerche è emerso che soprattutto negli spot televisivi è rilevabile la forte discriminazione tra la rappresentazione degli uomini e delle donne. Queste vengono generalmente presentate come meno intelligenti ed autoritarie degli uomini ed allo stesso tempo più emotive, attraenti e giovani.
Negli ultimi tempi, soprattutto nei paesi culturalmente ed economicamente più evoluti, si è assistito ad una pur lenta evoluzione di tendenza sull’immagine delle donne in campo pubblicitario incentrata sulla parità tra i generi. Continuano tuttavia a permanere in maniera più o meno evidente delle sensibili differenze tra la rappresentazione che viene offerta del genere femminile e di quello maschile: sebbene si cerchi di offrire l’immagine di una donna emancipata, dinamica e sicura di sé, viene invece presentato il modello della donna oggetto e suggerita, in maniera più o meno evidente, l’inferiorità del genere femminile rispetto a quello maschile.

Le pubblicità sessiste, si basano su stereotipi e modelli discriminanti e relegano le donne a ruoli secondari, decorativi o iper-sessualizzati. Si tratta di una tendenza per la quale l’Italia vanta un triste primato. Sul fenomeno non esistono dati recenti ma basta ricordare il rapporto Onu sulla violenza di genere nel nostro paese stilato nel 2012 da Rashida Manjoo: “Con riferimento alla rappresentazione delle donne nei media, nel 2006 il 53 per cento delle donne comparse in TV era muta; il 46 per cento a temi inerenti al sesso, alla moda e alla bellezza; solo il 2 per cento a temi sociali e professionali”.

La pubblicità sessista offende tutti

 

Le pubblicità sessiste più diffuse sono quelle “che fanno leva sul richiamo sessuale, abbinando un’immagine provocante a un prodotto. Si cerca di fare una specie di transfert dall’impulso sessuale a quello all’acquisto. Ma questa non è la sola forma di sessismo. Esiste anche la tendenza a far diventare la donna stessa parte del prodotto, o a usare il suo corpo come un supporto: c’è la donna che diventa di plastilina, o quella che è un vassoio per il sushi o la base per un paralume. A volte viene marchiata con un logo. Sono tutte cose che non accadono con il corpo maschile”, ha spiega Annamaria Arlotta fondatrice ed amministratrice della pagina Facebook “La pubblicità sessista offende tutti” che si batte da anni al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema.

Nelle pubblicità italiane la donna è ridotta sempre e unicamente al corpo e al fattore seduttivo. E questo, aldilà della volgarità di molti spot, fa passare il messaggio sbagliato che solo le donne giovani e belle hanno valore. Le altre praticamente non esistono”. Secondo Arlotta l’aspetto più difficile da combattere è quello degli stereotipi di genere che è al contempo quello più pericoloso.

La Spagna, per ora unica in Europa, ha varato una legge contro la pubblicità sessista all’interno di un pacchetto di norme contro la violenza sulle donne. Negli spot italiani quando compaiono personaggi di entrambi i sessi l’uomo è mostrato nell’atto di lavorare, mentre la donna è raffigurata mentre chatta, fa shopping, guarda film. Ai personaggi femminili sono quasi sempre legate attività superficiali, quando non stupide”.

 

Eppur si muove

 

Mi sono resa conto della situazione italiana solo dopo aver vissuto per anni in Inghilterra. Ma oggi anche qui sta cambiando qualcosa, l’importante è continuare a protestare”, ha spiegato Arlotta.

Grazie alle forti proteste delle persone sui social, si sta assistendo, anche se lentamente, a un cambio di atteggiamento: “Sono fiduciosa per il futuro, ho notato che quasi sempre dopo che una pubblicità è stata bollata come sessista, le aziende cambiano completamente registro. Non so se perché davvero comprendano che è sbagliato oppure solo per non essere seccati dalle “femministe”, come veniamo spesso erroneamente definite. L’importante è continuare a vigilare, perché è il numero di proteste a fare la differenza. Non abbiamo dati aggiornati purtroppo, ma l’Easa (European Advertising Standards Alliance), un organismo di vigilanza europeo, nel 2006 pubblicò alcune cifre illuminanti. In quell’anno solo in Inghilterra ci furono 1650 segnalazioni. In Italia zero. Oggi non è più così”.

 

Pubblicità non “di” donne ma “per” le donne

 

Un’importante inversione di tendenza in campo pubblicitario si sta verificando nel settore dei giochi. Secondo uno studio pubblicato su soarecords.it diversi annunci pubblicitari si stanno rivolgendo alle donne, considerate target di spicco del settore. Samantha Thomas, coordinatrice dello studio, ha spiegato che tempo fa, le società regolamentate del gambling online, gestivano le campagne sul gioco dirigendosi ad un pubblico prettamente maschile. Le donne, in questi spot, venivano considerate come protagoniste secondarie o rivestivano esclusivamente un ruolo di pura immagine. Le cose però stanno cambiando e le società di gioco stanno riconsiderando la loro posizione di protagoniste attive del settore.

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