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La moglie del sindaco di Montella e i rapporti con il nuovo clan Partenio: Aurora Fierro replica alle accuse

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Dopo la pubblicazione di alcune intercettazioni, che coninvolgerebbero la moglie del sindaco di Montella nell’inchiesta sul clan Partenio, Aurora Fierro replica alle accuse.

Aurora Fierro replica alla accuse

In merito alle intercettazioni ambientali della DDA, che avevano tirato in ballo la moglie del sindcao, Rino Buonopane, che avrebbe avuto frequenti contatti con gli ambienti vicini al nuoco clan Partenio, Aurora Fierro, tramire il suo legale, in una nota, ha replicato alle accuse

In merito alle recenti false notizie apparse sugli organi di stampa locale circa una mia richiesta di protezione ad un clan di malviventi tengo a precisare che mai, dico mai, la sottoscritta ha chiesto protezione a nessuno ed ha avuto a che fare con elementi malavitosi. Preciso che circa tre anni fa fui contattata, tramite un conoscente di Montella, da alcune persone interessate a fittare dei miei locali ad Avellino, per avviare una attività ed a cui precisai che, parte di essi, erano occupati da un inquilino moroso.

L’episodio

Visitati i locali già liberi, le stesse persone acquistarono delle attrezzature da cucina con prezzo concordato ma da corrispondere. Mai nessuno ha interceduto nel far liberare i locali dell’affittuario in quanto il tutto avvenuto tramite una regolare transazione con i rispettivi legali. La sottoscritta si trovava addirittura senza essere pagata le attrezzature prelevate. Solo dopo diversi solleciti di richiesta di quanto dovuto dovetti lasciar perdere in quanto capii finalmente con chi tenevo a che fare e quindi “non era il caso”. Del tutto, qualche anno fa, ho poi riferito alle forze dell’ordine.

Tutto quanto suesposto è ampiamente documentabile.

Accuse paradossali

Oggi da vittima ad essere accostata ad ambienti malavitosi assume i contorni del paradossale. Risulta chiaro quanto sia stata ghiotta la notizia per gli organi di stampa in quanto moglie del sindaco di Montella.

 

L’operazione

Dei 23 arrestati nell’operazione, 18 sono finiti in carcere, mentre 5 sono agli arresti domiciliati. Gli indagati sono tutti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, usura, estorsioni, detenzione di armi ed altro, nei. La misura cautelare è stata emessa dal GIP di Napoli, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di quel capoluogo.

Le indagini sono iniziate nell’estate 2017, per riscontrare le dichiarazioni rese durante un interrogatorio di garanzia al Nucleo Investigativo CC di Avellino da Francesco Vietri (condannato il 24 settembre alla pena dell’ergastolo per l’omicidio di Michele Tornatore).

Le intimidazioni

Nel contempo sono state effettuate circa 20 perquisizioni domiciliari unitamente al Nucleo PEF della Guardia di Finanza di Napoli anche nei confronti del “gruppo Forte”, accusati diturbativa d’asta immobiliare, fiancheggiamento e scambio politico – mafioso con alcuni esponenti delle istituzioni locali.

I sequestri

Si è dato altresì esecuzione ad un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza di due autorimesse adibite a parcheggio autovetture, un lavaggio, due società di costruzioni e diversi conti correnti bancari.

Damiano Genovese

Coinvolto nell’operazione anche il figlio del boss Amedeo Genovese, Damiano, raggiunto da un avviso di garanzia per il reato 416 ter (scambio elettorale politico-mafioso).

 

I nomi degli arrestati

Il reati contestati sono associazione a delinquere di tipo mafioso, usura, estorsione, detenzione di armi e altri reati inerenti.

 

 

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