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Suicidio Tartaglia: per il perito fu una messa in scena

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Si riapre il caso del presunto suicidio dell’architetto Donato Tartaglia, trovato morto alla stazione abbandonata di Aquilonia il 22 dicembre del 2015. Per il perito le ferite trovate sul corpo dell’uomo non sarebbero compatibili con l’ipotesi del suicidio. La perizia arriva alla vigilia della decisioni del magistrato sulla richiesta di archiviazione avanzata dal Pm Paola Galdo.

Morte dell’architetto Donato Tartaglia: la perizia esclude l’ipotesi del suicidio

Il gip del tribunale di Avellino, Marcello Rotondi, il 9 giugno scorso aveva rigettato la richiesta di archiviazione. E aveva disposto altri sei mesi di indagini per far luce sulla morte dell’architetto. Impegnato sul versante della difesa dell’ambiente, critico con la crescita esponenziale degli impianti eolici, Tartaglia era anche direttore del museo di Aquilonia e non aveva particolari problemi economici, nè familiari. Proprio l’impegno nella difesa del territorio non ha mai fatto accantonare l’ipotesi di un omicidio da parte di organizzazioni criminali che operano nel racket dell’eolico.

L’indagine

L’indagine aperta per istigazione al suicidio, al termine degli accertamenti effettuati dai carabinieri della compagnia di Sant’Angelo dei Lombardi, fu archiviata nel 2016, ma i giudici della V sezione penale della Corte di Cassazione – dopo il ricorso presentato dall’avvocato Ettore Freda – rilevarono dei vizi nel procedimento, così gli atti ritornarono al Tribunale di Avellino per ulteriori approfondimenti.

L’architetto si sarebbe difeso dalle ferite inflittegli da un ignoto, secondo la ricostruzione del medico legale Alfonso Cirillo. E configgono con le conclusioni del perito del magistrato, il medico Lamberto Pianese.

Possibile aggressione ai danni del professionista

Secondo il perito non ci sarebbero stati tagli di prova all’addome e sui polsi, ma qualcuno avrebbe aggredito alle spalle il professionista, forse con un coltello da caccia, non certo con un cutter, un taglierino. “Poi l’uomo si sarebbe accasciato battendo la testa – Quindi la messa in scena: tagli a polsi e all’addome, a simulare ferite di prova“.

Cirillo sostiene che “proprio perchè troppo perfette, senza rivoli ematici e quindi prodotte a corpo fermo (inanimato o appena morto?) con regione addominale che resta scoperta dagli indumenti, le ferite sono state inferte con il soggetto supino e non in piedi“. Il perito della famiglia aggiunge: “È impossibile l’evento suicidiario: infatti il soggetto dalla posizione supina si sarebbe autoinferto le ferite da taglio all’addome, poi quelle alle mani e quindi si alza, autorealizzando lo scannamento“.

Le ferite ai polsi

Contestate le ferite ai polsi: “Elemento ancor più sorprendente è rappresentato dal decorso delle ferite di prova“. Le due ferite da taglio ai polsi, una a destra e una a sinistra, destano perplessità. Si tratta di un’unica ferita da taglio profonda. Se fossero di prova sarebbero “multiple, sempre superficiali, sottili e simili a graffiature“. In questo caso le lesioni «decorrono in senso ulnare radiale, ovvero da sinistra a destra per quanto attiene al polso e destro e da destra a sinistra per l’altro, tale rilievo è assolutamente incompatiblie con l’ipotesi suicidaria poiché dovrebbe essere frutto di un movimento del tutto innaturale, scomodo e inefficace. Sempre in piedi l’architetto si sarebbe inflitto un colpo o colpi al collo, infine avrebbe barcollato e quindi si sarebbe accasciato lanciando i taglierino a 90 centimetri dal corpo.

L’arma del delitto

Il perito anche rispetto all’arma utilizzata avanza perplessità ritenendo che non possa essere un taglierino con lama di solo due centimetri. La ferita secondo il perito “è troppo profonda per essere conseguenza di un’unica azione lesiva determinata da molteplici colpi inflitti con il cutter, e testimoniato dalla presenza di numerose ferite da taglio da entrambi i lati del collo“.

Fonte: Il Mattino

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