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Pensioni, dibattiti da mal di testa: la nota dell’Unione sindacale di base

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Tramite una nota stampa, l’Unione sindacale di base reclama a gran voce il diritto di andare in pensione a 60 anni, con 40 anni di contributi. Nell’ottica di una pensione che consenta di vivere dignitosamente – e non sotto la soglia di povertà come attualmente accade – e, soprattutto, un sistema che possa garantire anche ai più giovani la pensione.

«Sono oramai cinque mesi – spiega l’Usb in una nota stampa – che si discute dell’età pensionabile. La legge Fornero ha introdotto un mefistofelico meccanismo di continuo aumento dell’età pensionabile. Secondo chi l’ha ideato, infatti, bisognerà calcolare l’età pensionabile considerando l’aumento della vita media quale variabile per far slittare l’età pensionabile».

Insomma più la vita media si allunga e più bisognerà aspettare la pensione. Il problema, segnala l’Unione sindacale di base, è che seppur aumentando la vita media, non c’è la stessa forza e possibilità di essere produttivi in ogni fase della vita. C’è da aggiungere, poi, che si parla di vita media: se qualcuno muore alla soglia dei 100 anni – così, per dire – qualcun altro finisce il suo tempo prima dei 70 anni.

Una problematica sotto gli occhi di tutti che, a detta del sindacato, non è chiara a sole tre persone: «Che l’intero impianto della legge Fornero e di quelle che l’hanno preceduta siano inique e sbagliate è dato consolidato per tutti gli oltre 60 milioni di italiani, ad eccezione di 3: Camusso (segretario Cgil), Furlan (segretario Cisl) e Barbagallo (segretario Uil)».

Un attacco seguito dall’affondo ai «sindacati confederali», responsabili secondo l’Usb di aver contribuito ad una serie di riforme delle pensioni che hanno «smantellato pezzo a pezzo la previdenza pubblica  al fine di ingrassare i fondi previdenziali privati gestiti» da loro stessi.

«Ad un tavolo a cui nessuno li ha delegati, i tre segretari generali di Cgil Cisl Uil – si legge nella nota stampa – stanno a discutere di cinque mesi di distanza tra 66 anni e 7 mesi e 67 anni per andare in pensione, e soprattutto se sia sufficiente individuare 15 categorie definite gravose a cui fare la grazia di lasciarle andare in pensione a 66 anni e 7 mesi invece che a 67». Un’aberrazione, secondo l’Usb, considerando iniqua una simile slittamento dell’età pensionabile.

Dall’Unione sindacale di base fanno sapere che «la sostenibilità del sistema pensionistico è un peso incredibile e gli stessi sgravi contributivi alle imprese non fanno altro che incidere sull’insostenibilità del sistema senza, tra l’altro, fornire vere soluzioni occupazionali».

Si aggiunge come l’Inps sia rimasta ferita dall’assorbimento di enti previdenziali che «erogavano ricchissime pensioni e si erano ridotte ad un passo dal crack» addossandosene i debiti (pagare pensioni onerose) senza incamerare i contributi. Senza contare il caso della fusione con l’Inpdap, «l’ente previdenziale dei lavoratori pubblici: si è scoperto che le Amministrazioni pubbliche – i Ministeri, gli enti locali e via discorrendo – non versavano i contributi regolarmente prelevati dalle buste paga dei propri dipendenti, provocando così una voragine di enorme valore e mettendo a rischio le pensioni dei lavoratori».

 

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