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Racconti dalla verde Irpinia, questa settimana Quindici

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Racconti dalla verde Irpinia, un viaggio tra storia, cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana a Quindici.

Racconti dalla verde Irpinia, questa settimana tappa a Quindici

Viaggio tra i comuni della verde Irpinia, tra cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana Quindici.

Il Paese: Quindici

Superficie territorio: Kmq23,65

Nome abitanti: Quidiciani

Fiere e feste: Sant’Andrea (30 novembre)

 

Le prime testimonianze di una presenza umana nella zona risalgono all’età romana. A questo periodo si riferiscono un insediamento rustico, individuato alle pendici della collina di San Teodoro. Dubbie sono le ipotesi espresse da qualche storico locale sulle origini del nome, che si vuol fare derivare dal nome del console romano Quinto Decio. Più probabile una sua provenienza etimologica dal termine quintum-decimum, numerale latino che poteva indicare la distanza in milia passum fra due città romane. Sviluppatosi nel tardo medioevo presso il piano di fondovalle situato ai piedi delle pendici boscose del monte Alvano, il primitivo borgo fu casale di Lauro e le sue vicende seguirono quelle del centro a cui appartenne. Fu cosi feudo dei del Balzo (1299), degli Orsini (1350), dei Sanseverino (1529), dei Pignatelli e dei Lancellati (1632). Il paese che rientrava nella provincia di Caserta, fu annesso alla provincia di Avellino solo dopo l’unità d’Italia. Dal 1974 il Comune fa parte della Comunità Montana “Vallo di Lauro e Baianese”.

 

(spunti storici dal libro di Giampiero Galasso – I Comuni dell’Irpinia 1989)

 

Da visitare

Chiesa della Madonna delle Grazie

Costruita per la prima volta nel secolo XV e rifatto nel 700. La facciata in stile barocco, presenta un portale di forma rettangolare, lesene verticali decorate con motivi floreali. L’interno ad una sola navata, conserva  una statua lignea del IX secolo raffigurante la Madonna con il Bambino, otto tele di scuola napoletana del 700 di Giacinto Diana e Francesco Solimena, un pulpito intagliato della stessa epoca, un reliquiario di scuola nolana del tardo 800.

 

I Puoi

Collocati provvisoriamente in Piazza Municipio, grossi blocchi squadrati di travertino, provenienti da monumenti funerari di tarda età romana.

 

Centro Antico

Il nucleo dell’abitato medievale è situato del piazzale retrostante l’edificio scolastico, vi si notano oltre il Palazzo Pezzuti (XIX secolo), il palazzo Santavilla (XVIII secolo)

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Museo di arte sacra

 

Di proprietà parrocchiale, allestito nei locali adiacenti la chiesa della Madonna delle Grazie. Raccoglie reperti liturgici, arredi sacri seicenteschi, oggetti metallici in oro, argento e bronzo del 700, materiali archeologici, manoscritti e libri del 600 ed attrezzi della civiltà contadina.

 

Il Racconto: Cecaorpa e il cece

Tanto tempo fa, non c’erano macchine e neppure strade larghe e comode e per andare da un paese all’altro ci volevano ore e ore, un passo dietro l’altro, sempre a piedi, superando boschi fiumi e gole di montagne e c’erano pure i briganti. Ognuno se ne stava in casa sua e usciva solo per guai o devozione a un santo o a una Madonna. Così i forestieri nessuno li conosceva e spesso, tra essi, si nascondevano ladri e imbroglioni. In uno di questi paesi, lontano, tra i monti, c’era un giovane forte e robusto a cui non piaceva prendere la zappa in mano. E per vivere comprava e vendeva roba vecchia, faceva il sensale nel mercato e ogni tanto chiedeva soldi in prestito e poi, quando si trattava di restituirlo, ripeteva il verso della cornacchia: “crai, crai, crai”. Tutti sapevano di che pasta era fatto e tutti lo scansavano come se avesse il colera. Un bel giorno Coluccio Cecaorpa (lo chiamavano così perché era capace di accecare anche una volpa) si decise ad andar via dal suo paese. Si caricò sulle spalle quel poco che aveva e si avviò. Dei briganti non aveva paura. Andava tranquillo senza meta, Che cosa potevano rubargli? Quando li incontrò in un bosco, per poco non se la fece addosso ma, poi si accorsero che era un fifone e lo lasciarono andare, consigliandogli di scegliere un paese dove la gente era senza malizia. Per via gli venne  fame e così, passando per il campo di ceci, ne strappò due piantine. I ceci erano duri e lui, cercando, ne trovò uno ancora tenero e grosso. E quanto era grosso più di una ciliegia regina! Se lo mise in tasca e disse:

Arrivò infine nel paese che gli era stato consigliato. Era pieno di gente, perché si venerava una Madonna che faceva miracoli. All’entrata del paese bussò una porta. Nel cortile della casa aveva visto parecchie galline.

E poi fra sé:

-mah deve essere un po matto questo! Vuole che gli guardi un cece! – e continuò le faccende di casa.

Ma una gallina che beccava intorno, volò sul tavolo e ingoiò il cece. Quando Coluccio tornò e non vide più il cece, finse di stare molto male.

La donna alla fine, disse rassegnata:

Coluccio si prese la gallina e se ne andò contento. Passo poco dopo vicino a un orto dove c’erano parecchi maiali ben pasciuti.

E Coluccio cos’ fece: le legò le zampe così strette che cominciarono a sanguinare; e si nascose poco lontano. I maiali attirati dal sangue, fecero a pezzi la gallina. Coluccio, che aveva visto tutto, prese per terra un grosso bastone e tornò

Il vecchio quando vide la fine che aveva fatto la gallina, non sapeva cosa fare. Cecaorpa gridando diceva che  la sua gallina valeva un tesoro. Il vecchio per calmarlo gli offrì la migliore delle sue. Ma Coluccio insisteva:

Alla fine il poveraccio, un po per paura del bastone, un po per togliersi d’impaccio, gli dette il maiale. Coluccio andò via tirandosi indietro l’animale. Arrivò ad una cosa dove c’erano due muli legati con una fune. Sparavano calci terribili, per liberarsi dalle mosche. Coluccio spinse il maiale verso di essi e questo colpito in pieno, cadde senza vita.

Si fece gran folla e tutti gli davano ragione:

E appena uscì il padrone:

A sera, prima di andare a cenare in un’osteria, affidò i muli a uno che teneva parecchie case e stalle. Il mattino appresso li avrebbe ripresi per venderli alla fiera. Caso volle che la notte i ladri rubassero proprio i suoi muli. La mattina non trovandoli, Coluccio si fece come un diavolo; minacciò di incendiare tutto!

Il poveraccio fu costretto a cedergli una delle sue case. E Coluccio, che non aveva niente, da un cece si ritrovò una casa.

 

(tratto da Racconti Irpini di Aniello Russo)

 

 

 

Rubrica a cura di Elizabeth Iannone

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