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Racconti della verde Irpinia: viaggio a Montefalcione

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Racconti della verde Irpinia: viaggio a Montefalcione. Un viaggio tra i comuni della verde Irpinia, tra storia, cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana a Montefalcione

Racconti della verde Irpinia: viaggio a Montefalcione

Racconti della verde Irpinia: viaggio a Montefalcione. Un viaggio tra i comuni della verde Irpinia, tra storia, cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana a Montefalcione.

 

Il Paese: Montefalcione

Superficie territorio: Kmq15,15

Nome abitanti:Montefalcionsesi

Fiere e feste: Madonna di Montevergine ( 8 Settembre); Sant’Antonio (13 Giungo).

 

Numerose sono i ritrovamenti pre romani e romani in varie contrade, tombe arcaiche che restituirono ricchi corredi funerari. Nel 1902 un tesoretto che conteneva monete della tarda età imperiale (III e IV secolo), fu rinvenuto in località San Fele, mentre un sepolcreto e resti di strutture riferibili ad una villa rurale romana sono stati segnalati in località S. Marco. Il nome del Paese è riportato in documenti medioevali in varie forme, quali Mons Fulsonis, Montefalsone, Montefalzone, Montefaucione e Montefazione. Le origini del toponimo sono dubbie, anche se etimologicamente si riportano al latino. La prima notizia del borgo è di età longobarda, risale al 1120 ed è contenuta nelle Cronache di Falcone Beneventano, dove si legge che durante il conflitto tra Rainulfo, conte di Avellino e Giordano, conte di Ariano, quest’ultimo accampò le sue truppe proprio nel territorio di Mons Fulsonis. Nel 1150 ne era signore il normanno Torgisio de Montefalcione, a cui successe nel 1170 il figlio di Andrea. A costui seguì Guglielmo, al quale nel 1239, l’Imperatore Federico II affidò la custodia di alcuni prigionieri lombardi dopo la battaglia di Cortenuova. Ad ereditare il feudo fu  Torgisio II de Montefalciione, il quale per essersi ribellato a Manfredi venne accecato e la moglie data in sposa a Corrado de Bruhleim, che divenne in questo modo il nuovo signore del paese.  Nel febbraio del 1266 lo stesso Corrado perse la vita nella battaglia di Benevento, che decretò la fine del regno svevo in Italia meridionale. Il feudo passa alla famiglia de Montefalcione con  Andrea fino nel 1292, fino al 1421 con Giovanni. Nel 1424 la regina Giovanna II fece dono del feudo a Sergianni Caracciolo, Gran Siniscalco del regno e conte di Avellino. Ma nel 1436 il feudo ripassò nelle mani dei Montefalcione con Luigi, fino al 1493 con Luigi II. Ultima feudataria del Borgo di questo ramo fu Lucrezia, la quale nel 1528, portò la dote la marito Giovanni Antonio Poderico. Nel 1601il paese venne acquistato dal conte di Montemiletto, Giovanni Battista de Tocco, alla cui famiglia rimase in possesso fino all’abolizione del feudalesimo nel 1806.

 

(spunti storici dal libro di Giampiero Galasso – I Comuni dell’Irpinia 1989)

 

Da visitare

Santa Della Madonna di Monteverginae

Edificato per mano di Poederico, nella seconda metà del XV secolo, il complesso religioso è stato ristrutturato nel 1760. All’interno  tele settecentesche, statue lignee policrome ed il prezioso sepolcro marmoreo  del 500 di Lucrezia Poderici.

Castello Medioevale

 

Impianto originario risaliva ai primi anni del XII secolo. Rimaneggiato nei vari feudi, rifatto completamente in epoca aragonese. L’edificio era costruito da un corpo di fabbrica centrale a pianta quadrata. Il maniero nel XVI secolo trasformato in un palazzo residenziale per poi essere diviso in diverse abitazioni private.

 

Il Racconto: Don Ciccio e il colono

Agnese e Sebastiano erano sposati da poco, ma vivevano in miseria. Un giorno un amico li avvisò:

Subito i due si avviarono a piedi ed andarono dal prete. Costui li portò nel suo vigneto e mostrò loro il lavoro che dovevano fare. Agnese era una bella donna e don Ciccio cominciò a farle la corte. Il marito in un primo tempo non diede peso alla cosa, e quando si accorse che la moglie ricambia la simpatia di don Ciccio, non parlò per paura di perdere il lavoro. E che pensò di fare? Quando fu il momento di dividere il raccolto, al padrone ne diede soltanto un terzo. Il prete protestò:

Ma anche l’anno successivo andò così. Il terzo anno, don Ciccio prese il bastone, per reggersi meglio, e si avviò verso il vigneto. Lungo la via incontrò alcuni contadini che tornavano dalla loro terra, questi gli chiesero:

Don Ciccio pensò allora che era inutile proseguire, anche perché intanto suonava ventunora(ora canonica a ricordo del sacrificio di Cristo, annunziata tre ore prima del vespro, con trenta trè rintocchi di campana) e tornò indietro. Al momento della divisione, però, il colono gli diede ancora meno degli anni passati. Prima di Pasqua, don Ciccio chiamò Agnese e disse:

Lei tornò a casa e riferì.

A Pasqua Sebastiano andò da don Ciccio ma prima di confessarsi, disse:

Subito Sebastiano si mise in ginocchio e si fece il segno della croce. Allora il prete gli disse:

E così fecero, Sebastiano si sedette al posto del prete nel confessionale e disse:

 

(tratto da Racconti Irpini di Aniello Russo)

Rurica a cura di Elizabeth Iannone

 

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