SAVIGNANO IRPINO. Viaggio tra i comuni della verde Irpinia, tra cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana Savignano Irpno
Il Paese: Savignano Irpino
Superficie territorio: Kmq 38,21
Abitanti: 1 139 (Savignanesi)
Patrono: Sant’Anna
Cenni storici
Le più antiche testimonianze risalgono al periodo del VII secolo, insediamento daunino. La prima menzione del Borgo è riportata in un documento del 988, anno in cui al conte longobardo di Greci, Potone fu donato un Castrium Sabinanium dai principi beneventani Pandolfo III e Landolfo VI. Nella prima metà del XII secolo il Borgo venne concesso al conte Gerardo, seguito dai figli Dauferio e Briel. Nel 1193, signore di Savignano fu tal Sarolo, un normanno che ribellatosi a Tancredi d’Altavilla venne in possesso del feudo. Il Paese passò come dono di Carlo d’Angiò al francese Guglielmo della Lande, dalla cui figlia Bernarda nel 1294 l’ebbe in via matrimoniale Novello Delfi Spinelli a cui rimase fino al 1301. Nel 1302 rimase ai discendenti Spinelli. Solo nel 1416 la Regina Giovanna II ne investì Francesco Sforza, finchè non passò al Gran Siniscalco del Regno Innico de Guevara e alla sua discendenza. Tra il 1862 e il 1865, fu territorio di dimora stabile di bande di briganti guidate da Giuseppe Furia, Celenza Valfortore e Gaetano Meomartino
(spunti storici dal libro di Giampiero Galasso – I Comuni dell’Irpinia 1989)
Vi nacquero Pietro Magone (1811/1860), patriota e sacerdote; Luigi De Maio (XVII sec), vescovo.
Da visitare
Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli
Il castello risale nel suo originario impianto al 1077, distrutto da Tancredi dei Saraceni, il maniero è stato più volte ricostruito tra il XII e XV secolo. Nel 600 il forte fu trasformato dai Guevara in un caratteristico palazzo residenza rinascimentale, abitato fino al 1880.
Palazzo municipale
La costruzione risale al 1727 da papa Benedetto XIII, costituiva in passato “Hospitio pro Peregris!
Chiesa parrocchiale di San Nicola
Costruita nel XIV secolo, restaurata dopo i sismi del 1962. La facciata del tipo a capanna , con due ali laterali, possiede una pietra seicentesca. All’interno a tre navate, divise da pilastri in travertino, con cappelle laterali, c’è un altare in marmo policromo del 700, voluto dall’arciprete Di Spirito. Si può inoltre ammirare un battistero in pietra con portale del 1501.
Il Racconto: Il Sorecaro
A letto i vecchi, a letto i bambini! Gli altri vengano vicino al camino a bere un altro bicchiere di vino. Questa è la storia di Tore detto il Sorecaro (cacciatore di topi), che di buon ora ogni mattina usciva di casa e si metteva in cammino. Andava nei campi o nei castagneti, lassù in montagna. Conosceva bene quei luoghi, fosso per fosso, pietra per pietra, filo d’erba per filo d’erba: dovunque passava niente restava, i topi tutti li prendeva, risparmiava solo i più piccoli. E quando a sera tornava, la borsa piena portava. Poco per volta il tempo passava, sempre più bravo diventava. Un bel giorno Tore pensò:
- Ora che ho imparato così bene il mestiere, posso anche farmi pagare!
E la voce si era diffusa ed era sempre di più la gente che lo voleva:
- Tengo un pezzo di terra a Baruso, seminato a patate, ma poco a poco ora i topi, ora le talpe tutti che mangiano alle mie spalle!, diceva uno
- A Serra Maisi, tengo due tomoli di castagni giovani e forti se vedessi i frutti che danno ci lasceresti gli occhi, tanto son belli, ma quando raccolgo le castagne le trovo marcate da quattro denti appuntiti! – diceva un altro
- In quella terra a San Vito, a colpi di rampino mi sono rotto le ossa, ma il mio lavoro ora l’hanno distrutto sorci e uccelli!Compare Tore mio tu che puoi fare! – si lamentava un vecchio.
- A casa di Tata, quella di Sorbo, su un tavolato tengo tanti e tanti fagioli, quattro provoloni, una forma di cacio, prosciutti e sopressate. Andai ieri ad attizzare il fuoco e non te ne dico e non te ne conto che macello trovai.- raccontava un giovane.
E Tore andò a farsi le sue giornate, liberò le terre di Baruso i castagneti di Serra Maisi, la terra di San Vito e le vecchie case di Sorbo. Ora che si era fatto un nome , lo cercavano pure dai paesi vicini e ogni sera tornava a casa carico di roba avuta dai clienti; quando un paniere di fagioli e patate, se aveva lavorato in un campo, quando un canestro di castagne o una fascina di legna, se aveva liberato un castagneto dai topi. Ma zio Ernesto, che aveva una gamba sola e stava tutto il giorno seduto davanti casa e che ogni sera vedeva Tore passare carico di ogni bene,borbottando si rivolgeva a comara Isabella:
- Sabbè, ma tu hai visto quanto roba si porta dietro Tore ogni volta che torna a casa? E hai visto che, appesa alla cintura, tiene una borsa di pelle e che ogni tanto se l’accarezza? Sabbè, ma secondo te che c’è dentro? Forse i topi che prende ogni giorno? E dei topi Sabbè che se ne fa?
E Sabella rispose:
– Compare Ernesto, io non so niente!Però devo dire che quando Tore torna, allo scoccare delle ventiquattro ore, si siede davanti al fuoco e con un ferro stende la brace. E alla finestra mia, che sta di fronte casa sua, arriva un odore di carne arrostita!
A cura di Elizabeth Iannone
Racconti da tutta l’Irpinia