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Racconti della verde Irpinia: viaggio a Sant’Angelo dei Lombardi

SANT’ANGELO DEI LOMBARDI. Viaggio tra i comuni della verde Irpinia, tra cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana, Sant’Angelo dei Lombardi.
 

Il Paese:  Sant’Angelo dei Lombardi

Superficie 54,76 kmq

Abitanti 4.381 (Santangiolesi)

Santo Patrono San Michele Arcangelo (29 settembre)

Cenni storici

La località venne abitata in maniera stabile a partire dalla tarda epoca repubblicana (II-I secolo a.C.). Il borgo, sorto di epoca alto medievale, era conosciuto come S. Angelo dei Longobardi, nome che gli derivò dal patrono protettore, l’Angelo San Michele e dai Longobardi, dominatori e fondatori del ducato beneventano. La prima notizia in merito al luogo, risale al 926 e fa riferimento al saccheggio compiuto dai Saraceni, dopo l’espugnazione del castello. I primi feudatari furono i Signorotti della famiglia Balbano dei conti di Conza, tra i conti della famiglia suddetta che si contesero il borgo si ricordano Gionata, Riccardo, Filippo e Raone, che quando morì nel 1239 non lasciò eredi, allora, S. Angelo passò alla Corte Regia sotto il potere imperiale di Federico II, che la concesse a Giacomo De Morra. Nel 1269 con la venuta degli angioini, il feudo fu assegnato a Giovanni Gagliardi, duca di Montecalvo a cui successero i francesi Adam de Bruvier e Gerardo de Ymort. Nel 1293 il borgo venne acquisito dal conte Goffredo Iamvilla, signore di Bagnoli, Nusco e Lioni. Il Paese andò da principi e conti fino alla fine del feudalesimo, gli ultimi furono i principi Placido (1738), Giulio II (1786) e Maria Giulia Imperiale (1818), moglie del marchese di Salza, Francesco Maria Berio. Soffrì molto l’epidemia della peste del 1656, che decimò la popolazione, distrutta da due terremoti quali quelli di luglio1664 e settembre 1694. Fu un Paese attivo all’epoca dei moti carbonari (1820/1821), che portò alla costituzione di due società segrete, “La Vera Felicità”, “I Nuovi Deci”, “l’Infallibile Speranza” e “Gracca dell’Ofanto Illuminato”.

(spunti storici dal libro di Giampiero GalassoI Comuni dell’Irpinia 1989)

Luoghi d’interesse

La cattedrale

L’impianto della chiesa, risale al XI secolo, fu raso al suolo dal terremoto del 1664, ricostruito sotto il vescovo Tommaso De Rosa, in stile barocco. Fu più volte distrutta dal susseguirsi di sismi. Si può ancora ammirare la facciata in travertino con portale in pietra settecentesca, ornato con tre altorilievi raffiguranti S. Antonio, il Redentore e San Michele. L’interno è strutturato in tre navate, divise da pilastri, una fonte battesimale del 1845, la Cripta dove ufficiava la Congrega del Rosario. Presenti tele del 700 e dell’800.

Il Castello Medievale

Si erge su di uno sperone, costruito nel corso del X secolo. La fortezza ha subito nel XIX secolo, varie modifiche. Nel 500 i Caracciolo lo trasformarono in palazzo residenziale. Fu ampliato e ripreso nel 1758 da Placido Imperiale, come ricorda un’inserzione sul portale che conduce nel cortile pavimentato. Si conservano ancora, nella cortina, tratti normanni, una loggia seicentesca, alcuni sotterranei, utilizzati come prigioni e deposito. Sotto il piano del cortile, a ridosso dell’alto basamento a scarpa è venuta alla luce una chiesa attribuita al all’XI secolo. La struttura presenta tre absidi, tre navate, divise da archi su pilastri quadrangolari con capitelli e basi trapezoidali.

 

Il Racconto: I sette gattini

C’erano una volta un padre e una madre che avevano una figlia più bella del sole. Un giorno la madre morì e il padre si risposò con una donna più brutta della peste e la figlia che gli nacque era più brutta del diavolo. Un giorno la matrigna doveva fare il bucato (a quei tempi il bucato veniva fatto usando la cenere bollita come detersivo, poi le donne andavano al fiume a risciacquarli), e mandò la figlia bella a casa dei sette gatti, per chiedere in prestito una tinozza. La ragazza arrivò al portone e bussò. Si affacciò il capofamiglia e chiese (dialetto santangiolese: s’affacciavo la capoattone e addummannava):

La giovane, appena salì, vide nella prima stanza un gattino che si preparava il latte e lo aiutò; e poi aiutò un’altro gattino che lavava i piatti nella cucina…insomma a ciascuno diede un aiuto. Tutti insieme i gattini le chiesero se voleva in dono una veste di seta oppure di stoffa e lei scelse la seconda, ma i micini non solo gliela diedero di seta, ma la coprirono di regali. Quando tornò a casa con la tinozza, raccontò ogni cosa alla matrigna. E questa, piena di invidia, a restituire la tinozza mandò invece la sua figlia, la brutta. Si affacciò di nuovo il padre dei gattini e le chiese se voleva salire per le scale di vetro o per quelle di cristallo.

Ma lui le ordinò di salire per quelle di vetro. La brutta salì e trattò sgarbatamente i micini che, tuttavia, le chiesero se desiderasse la veste di seta o di stoffa. Ma lei chiedeva sempre cose belle e otteneva, invece, le brutte. Allora la matrigna, gelosa per quanto era successo alla sua figlia brutta, mise la figliastra bella in una botte di pece per vendicarsi, ma arrivò il figlio del re, che la liberò e la sposò.

(Fiaba irpina tratta da I Racconti Irpini di Aniello Russo)

 

A cura di Elizabeth Iannone

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