Racconto in lingua, un viaggio tra il linguaggio antico dell’Irpinia per riscoprire la bellezza di un modo antico di esprimersi. Dove la tradizione attraversa la storia di un popolo nelle sfaccettature dei suoi dialetti Dal 1800 ad oggi. Un viaggio storico da leggere e ricordare.
Racconto in lingua, l’Irpinia e i suoi dialetti nei racconti di una antica terra
Il racconto in lingua : Li servi re ro Ferbo Labiusi lo 1799
Ro Febo Labiusi avia tre sereveturi, chi s’avantavano coraggiusi e, pane, erano li chiù paurusi re tutto lo munno, e ro ferbo, pe berè co li fatti si erano animusi o paurusi, stativi a sentire che cosa mproggettavo. Avia tre stanzie, una appriesso l’avota, me come si fosseno state re la primo stanzia, senza nisciuno mobole, avoto no ng’era che no campaniello re na meria grossezza; a la seconna, puro sfrattata, ng’era na guara, proprio quera chi nge correano li muorti rinto; a la terza, puro co re solo mura allerta avoto no ng’era che no catenone, com’a quere chi primo s’attaccavano a li pieri re li galioti. Lo poltrone si chiamavo uno re li tre sereveturi e li ricette:
Vieni co me, e stanotte t’hai ra sta addò rinch’io e hai ra fane quero chi t’insìzegno, ma abbara re esse segreto, e de ti fa verè ra nisciuno; la terza cosa no t’hai re mette paura.-
Responnette lo servitore a re parole dello sginore:
Partò, roppo ca mi manni rint’a na fossa re muorti e me nge stesse tutta la notte, manco mi metto paura.-
E quanno si accossi coraggiuso, – recette lo patrone, – vieni co me-
Lo facette mette rint’a la cammera, addò chi ng’erano sulo no mazzo re catene, e li recette che ogni quarto r’ora, proprio quanno sentila ca sonava no campaniello, facia puro isso remore co re catene e ‘azzeccava a la stanza vocino, anzi, trasenno rinto sonanno sonanno, però roppo passata l’ora, chi sarebbe lo quinto quanrto r’ora, tanno avia ra trasì rinto la stanzaia vocino ntringolianno re catene, e li primi quatto quarti r’ora ava ra fa remore rint’a la stanzia addò stia. Rata la consegna a lo primo serevitore, chiamavo lo seconno e li recette la stessa cantilena re lo primo; isso puro li responnette ca era coraggioso e accossi, via recenno, li facette capì ca quera notte avia ra sta rint’a na stanzia, addò lo portavo, e s’avia ra mette rint’a na guara chi la stia preparata, e ogni quarto r’ora avia ra fa no lamiento a quisso moribondo chi tene commoziuni fuorti- sariti abberuto, responnette lo seconno serevetreore – “no rubbitati”. Finarmente iette a chiamà lo terzo serevetore e li facette puro la stessa addommannata re l’ati dui e li recette re si mette addò isso lo ordenava, chi era la prima stanzia re quere tali tre stanzie e co n’orlogio mano, ogni quarto r’ora avia re bdringhitià no campaniello chi sulo quero ng’era rint’a quera stanza, e sto campaniello l’avia ra sonà pe na minuta ogni quarto r’ora, però a loquinto quarto r’ora avia ra ine a la stanzia vocino, sonanno lo campaniello. La scena ncommenzavo iusto a mezza notte e ncommenzanno ra quiro chi twenia lo campaniello nfino a l’urtimo, facievano lo rovèere loro; ma che non li venia manco la forza re fa lo mestiero loro tanto re la paura; magginativi quanno po quiro co lo campaniello e quiro co le catene s’azzeccaro rinto la stanzia re miezzo, addò ng’era quiro rint’a la guara chi si lamentava, t’anno, miezzi muorti re la paura, ognuno si creria ca li due erino riavoli e ognuno cercava re scappà e si veria corre n’ati dui appriesso, fuoro salevati re no morì re paura ca trovaro moro re scappà pe na porta chi ng’era a l’urtima stanzia, lassanno tutt’apierto r pecchè li tre sereveturi erano tutti re Montella, ognuno se ne scappavo a la casa e nisciuno re quiri volette ine chiù a servitorea da ro febo Labiusi. Co tutto ca li fu detto ca erano a loro a loro, no fo possibole re ge ro fa crere.
(tratto da Li Canti Viecchi – di Modestino della Sala)
Il racconto in italiano : I servi di Don Febo abiosi il 1799
Don Febo Abiosi aveva tre servitori che si dicevano coraggiosi ed erano invece i più paurosi del mondo ed egli, per vedere con i fatti se fossero animosi o paurosi, udite cosa progettò. Aveva tre stanze, una dopo l’altra, ma come se fossero state di un’altra casa, perchè erano in un angolo del palazzo e non le apriva mai mai; nella prima stanza, senza mobili, non c’era altro che un campanello di media grandezza; nella seconda stanza, anche essa vuota, c’era una bara, proprio di quelle che ci si trasportano i morti dentro; nella terza che aveva anche essa in piedi solo i muri, non c’era niente altro che un catenone, come quelli che prima si legavano ai piedi dei galeotti. Il padrone chiamò uno dei tre servitori e gli disse:
Vieni con me, stanotte devi stare dove dico io e devi fare quello che ti insegno, ma bada di mantenere il segreto e di non farti vedere da nessuno; per terzo non devi aver paura. –
Rispose il servitore;
Padrone, anche se mi mandassi in una fossa di morti e ci stessi tutta la notte, neanche allora avrei paura.-
Poiché sei cosi Coraggioso – disse il padrone – Vieni con me.-
Lo fece mettere nella camera dove c’era solo un mazzo di catene e gli disse che ogni quarto d’ora, proprio quando sentiva suonare un campanello, avrebbe dovuto fare rumore anche lui con le catene ed avvicinarsi alla stanza vicina, anzi, doveva entrare suonando suonando, ma dopo che era passata l’ora, che sarebbe il quinto quarto d’ora; allora avrebbe dovuto entrare nella stanza vicina facendo tintinnare le catene, e i primi quattro quarti d’ora avrebbe far rumore nella stanza dove stava. Dato l’ordine al primo servitore , chiamò il secondo e gli disse ciò che aveva detto al primo, anche quello gli rispose che era coraggioso e così, via dicendo, gli fece capire che quella notte avrebbe dovuto stare in una stanza dove lo portò e si doveva stendere in una bara, che la stava apparecchiata, ed ogni quarto d’ora avrebbe dovuto gettare un lamento e questa mossa per una ventina di volte, come se fosse stato un moribondo dalle forti convulsioni. “Sarete obbedito”, disse il secondo servitore, “non dubitate”. Infine andò a chiamare il terzo servitore, gli dette lo stesso ordine e gli disse di mettersi dove comandava, nella prima stanza delle tre,e, con un orologio in mano, ogni quarto d’ora doveva suonare un campanello, che solo c’era nella stanza; avrebbe dovuto suonarlo per un minuto ogni quarto d’ora, ed ogni quinto quarto d’ra avrebbe dovuto andare nella stanza vicina, sempre suonando il campanello. La scena cominciò proprio a mezzanotte e, cominciando da quello che teneva il campanello fino all’ultimo, tutti facevano il loro dovere, ma non veniva loro neanche la forza di farlo, tanta era la paura, immaginatevi poi quando quello col campanello e quello con le catene si avvicinarono alla stanza di mezzo, dove era quello che si lamentava nella bara; allora, mezzi morti dalla paura, ognuno credeva che i due fossero diavoli ed ognuno cercava di scappare e si vedeva correre gli altri due appresso. Furono salvati dal morire di paura perché trovarono modo di scappare dalla porta che c’era nell’ultima stanza, lasciando tutto aperto, e, perché i tre servitori erano tutti di Montella, ognuno se ne scappò a casa; nessuno di quelli volle più andare a servizio da do Ferbo Abiosi. Con tutto che gli si disse che erano fra di loro, non fu possibile farglielo credere.
Rubrica a cura di Elizabeth Iannone