Stefano Ansaldi, il ginecologo morto a Milano lo scorso 19 dicembre, si è suicidato. Non si è trattata dunque di una rapina: a confermarlo è l’autopsia effettuata sulla salma del medico beneventano. Ansaldi si è tolto la vita simulando un omicidio.
Ginecologo morto a Milano, Stefano Ansaldi si è suicidato
Svolta nelle indagini che riguardano la morte del medico beneventano, Stefano Ansaldi. Una tragedia che ha scosso tutta Italia nei giorni precedenti. Il 65enne è stato ritrovato lo scorso 19 dicembre, senza vita sotto un ponteggio in via Mauro Macchi, a Milano. Inizialmente si era ipotizzato ad una rapina, ma erano troppe le domande alle quali gli investigatori non trovavano risposte.
Come riporta anche “Fanpage”, i dubbi degli investigatori si sono concentrati sull’arma del delitto, un coltello senza impronte digitali, e sui guanti in lattice indossati dalla presunta vittima. La svolta è arrivata con l’autopsia, che ha confermato come causa del decesso il suicidio. Ancora sono sconosciuti i motivi del gesto estremo del 65enne, arrivato a Milano in treno.
Il biglietto di sola andata
Il viaggio per Milano, secondo quanto hanno rilevato le indagini, era per “vedere delle persone, colleghi di lavoro, gente in arrivo dalla Svizzera”, è questo che il medico avrebbe raccontato alla moglie per spiegare le ragioni di quella partenza. Nessun incontro con la sorella, come ipotizzato in un primo momento: la donna che sabato era già rientrata in Campania per trascorrere le feste di Natale. Nessuna certezza, però, il medico non sapeva neanche l’orario in cui avrebbe preso il treno del ritorno, dal momento che aveva solo il biglietto di andata.
L’arma del delitto senza impronte
La chiave per risolvere il caso è stata l’arma del delitto, un coltello da cucina. Era accanto al corpo dell’uomo, e la Scientifica lo ha recuperato nella speranza di trovare indizi per risalire all’assassino. Ma c’era un altro elemento fuori posto. Ansaldi indossava dei guanti in lattice. A causa dell’emergenza sanitaria legata al covid, si era pensato ad una visita veloce che aveva costretto il medico a indossare i guanto.
La finta rapina
Intanto restava aperta l’ipotesi di una rapina. Ma troppi pezzi del puzzle non combaciavano. Infatti, al medico campano, mancavano il cellulare ed il portafogli ma accanto al cadavere c’era un Rolex, un bottino più che interessante. Se un rapinatore è disposto ad uccidere e portar via i beni della vittima, perché non aveva portato con sé anche l’orologio? Stefano Ansaldi aveva studiato tutto. Si era disfatto di cellulare e portafogli, tenendo con sé un documento.