Un altro massacro indiscriminato in Birmania. Sono state almeno 80 vittime civili tra cui donne e bambini, uccise in un attacco aereo dell’esercito in una regione roccaforte dei ribelli che combattono la giunta militare.
Birmania, massacro del regime
Per la Birmania, precipitata in una spirale di violenza da oltre due anni, la strage nel villaggio di Pazi Gyi si profila la più grave del golpe. Ma l’indignazione e le pressioni della comunità internazionale, prontamente arrivate anche stavolta, sembrano al momento impotenti.
Bombe sui civili
Sul luogo colpito martedì, secondo testimoni, c’erano circa 300 persone. L’occasione era l’inaugurazione di un ufficio della milizia locale affiliata alle Forze di difesa popolari, ossia i gruppi di ribelli civili che hanno preso le armi contro la giunta dopo il golpe del primo febbraio 2001 che depose il governo guidato da Aung San Suu Kyi, da allora in carcere e nel frattempo condannata a 33 anni. Un jet militare ha lanciato una bomba e subito dopo elicotteri militari hanno continuato a sparare sul villaggio per 20 minuti. Il risultato è di completa devastazione: è rimasto in piedi solo la struttura di legno di una capanna, tra corpi sotto i detriti e motorini bruciati.
Soccorritori hanno riportato alla Bbc di aver finora trovato 80 corpi, ma si teme che il bilancio supererà le 100 vittime; un gruppo di attivisti parla di 20 bambini uccisi.
La giunta del generale Min Aung Hlaing ha confermato oggi l’attacco, giustificandolo con la presenza di ribelli: una ragione addotta anche in altre occasioni, tra cui attacchi aerei a scuole e cliniche, persino contro un concerto musicale. Ma l’evento di martedì era anche un’occasione di festa per l’imminente arrivo dell’anno nuovo birmano, in cui la gente gioca spruzzandosi con l’acqua. Per i militari poco importa: la tattica è quella del fare terra bruciata in qualsiasi territorio che sostiene le milizie popolari, e la regione di Sagaing – dove si trova il villaggio colpito – è forse quella dove i ribelli sono più attivi, con frequenti attacchi contro convogli dell’esercito.
Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha subito condannato fermamente l’attacco, mentre il dipartimento di Stato americano si è detto “profondamente preoccupato”, esortando il regime birmano a “cessare l’orribile violenza”. Ma lo stesso inviato speciale dell’Onu per la Birmania, Tom Andrews, ha ammesso che l’attacco “è stato reso possibile dall’indifferenza del mondo e di quelli che forniscono armi ai militari birmani”, ossia la Cina e la Russia.
Forte di questo appoggio, la supremazia militare della giunta sui ribelli è netta; ma secondo diversi osservatori, questi attacchi indiscriminati sottolineano anche le difficoltà nel contenere le incursioni delle milizie popolari. L’Onu ha contato oltre 300 attacchi aerei nell’ultimo anno, la Bbc parla di oltre 600 in due anni; diverse stime hanno ipotizzato oltre 15mila morti finora nel conflitto, e almeno un milione di sfollati. E niente al momento fa pensare a un compromesso che possa porre fine alle violenze.