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La vera storia di Tommaso Buscetta, l’uomo protagonista del film Il Traditore, in onda in Prima Visione su Rai 1

Lunedì 24 maggio alle 21.25 su Rai 1 in Prima Visione su va in onda il film Il Traditore. Il film ha come protagonista Tommaso Buscetta, il primo boss di punta della Mafia a testimoniare contro Cosa Nostra. A causa della sua testimonianza, lui e la sua famiglia pagarono un prezzo altissimo.

In Prima Visione su Italia 1: Il Traditore 

Lunedì 24 maggio in Prima Visione su Rai 1 va in onda il film Il Traditore. Il film parla della storia vera di Tommaso Buscetta, il primo boss di punta della Mafia che testimoniò contro Cosa Nostra. Buscetta testimoniò sul contrabbando di eroina durante gli anni ’80 del “collegamento della piazza” con Cosa Nostra. Per la sua collaborazione con la giustizia ottenne la cittadinanza americana e l’accesso al programma di protezione dei testimoni. Ma qual è la vera storia di Tommaso Buscetta?

Il trailer del film Il Traditore 



La vera storia di Tommaso Buscetta

Tommaso Buscetta, detto anche Il boss dei due mondi e don Masino, è stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano, membro di Cosa nostra. Tommaso Buscetta è nato a Palermo il 13 luglio del 1928 in una famiglia poverissima: la madre casalinga e il padre vetraio. Ultimo di 17 figli, nel 1944, a soli 16 anni, sposò Melchiorra Cavallaro dalla quale ebbe 4 figli: Felicia nel 1946, Benedetto nel 1948, Domenico ed Antonio. Benedetto ed Antonio furono vittime della lupara bianca nel corso della seconda guerra di mafia.

Quanti figli aveva Buscetta?

Nel 1966 sposò in Messico la soubrette Vera Girotti (ex fidanzata del batterista Gegè Di Giacomo) dalla quale ebbe la figlia Alessandra. Due anni dopo si trasferì in Brasile, dove conobbe Cristina De Almeida Vimarais, figlia di un importante uomo d’affari, che sposò nel 1978 in carcere a Torino e dalla quale ebbe 4 figli. Durante l’adolescenza iniziò una serie di attività illegali nel mercato nero, come il furto di generi alimentari e la falsificazione delle tessere per il razionamento della farina, diffuse durante il ventennio fascista. Questa attività lo rese abbastanza celebre a Palermo, dove nonostante la giovanissima età veniva già chiamato don Masino in segno di “rispetto”.


Vera Girotti con Tommaso Buscetta e la loro prima figlia, Alessandra

Buscetta si unisce a Cosa Nostra

Nel 1945 Buscetta venne affiliato a Cosa nostra ed entrò a far parte del mandamento palermitano di Porta Nuova. Nel 1949 si trasferì in Argentina e poi in Brasile, dove aprì una vetreria: gli scarsi risultati economici del suo nuovo lavoro lo costrinsero, nel 1956, a tornare a Palermo, dove si associò a Angelo La Barbera e a Salvatore “Cicchiteddu” Greco insieme ai mafiosi Antonino Sorci, Pietro Davì e Gaetano Badalamenti, con cui si occupò del contrabbando di sigarette e stupefacenti.

I primi arresti

In questo periodo diventò un pericoloso killer e gregario specialmente alle dipendenze di La Barbera. Nel 1958 venne arrestato per contrabbando di sigarette e associazione a delinquere nel corso di un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti del corso Pascal Molinelli e del tangerino Salomon Gozal, indicati come i maggiori fornitori di sigarette e stupefacenti delle cosche siciliane. Nel gennaio 1959 venne nuovamente arrestato per il contrabbando di due tonnellate di sigarette al largo di Crotone, da dove si andava a rifornire in Iugoslavia.

Il ruolo di Buscetta durante la “prima guerra di Mafia”

Nel 1962, in seguito allo scoppio della cosiddetta “prima guerra di Mafia”, Buscetta si schierò dalla parte di Angelo La Barbera e in seguito passò al gruppo di Salvatore “Cicchiteddu” Greco, tenendosi tuttavia nell’ombra per timore di essere ammazzato. Nel 1963 La Barbera riuscì a sopravvivere a un agguato a Milano e venne arrestato mentre era ricoverato in un ospedale. La polizia, basandosi soprattutto su fonti confidenziali e ricostruzioni indiziarie, sospettò fortemente Buscetta, assieme al suo associato Gerlando Alberti, di essere fra gli autori dell’agguato e lo indicò come il principale killer e sodale dei boss Pietro Torretta e Michele Cavataio, sospettandolo insieme a loro anche per la strage di Ciaculli, in cui morirono sette poliziotti.

Buscetta condannato in contumacia

In seguito alla strage di Ciaculli era ricercato dalle forze dell’ordine e quindi fuggì in Svizzera, Messico, Canada e infine negli Stati Uniti d’America, dove aprì una pizzeria con un prestito della famiglia Gambino. Intanto nel dicembre 1968 Buscetta venne condannato in contumacia a dieci anni di carcere per associazione a delinquere nel processo svoltosi a Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia e, nello stesso processo, venne assolto per insufficienza di prove per le imputazioni riguardanti la strage di Ciaculli.

Le confessioni successive di Buscetta sulla prima guerra di Mafia

Negli anni successivi Buscetta ammetterà di avere accettato l’incarico di uccidere La Barbera, ma un altro gruppo di fuoco mafioso lo anticipò compiendo l’agguato. Per quanto riguarda la strage di Ciaculli e gli altri omicidi della prima guerra di mafia, sostenne che erano imputabili soltanto a Michele Cavataio e non a lui per via della sua amicizia con Salvatore Greco.

10 anni di false identità e chirurgia plastica

Nel 1970 Buscetta soggiornò sotto falso nome a Zurigo, Milano e Catania per partecipare ad alcuni incontri insieme a Salvatore Greco per discutere sulla ricostruzione della Commissione e sul coinvolgimento di Cosa nostra nel Golpe Borghese. Nello stesso periodo venne arrestato a Brooklyn e subito rilasciato dietro pagamento di una cauzione di 75 000 dollari.

Dopo la scarcerazione, lasciò gli Stati Uniti e si trasferì in Brasile, da dove iniziò un traffico di eroina e cocaina verso il Nordamerica. Creò in pochi anni un sistema di trasporto aereo e costituendo una compagnia di taxi dove poter reinvestire il denaro frutto del traffico di stupefacenti. Per 10 anni riuscì a eludere la legge: utilizzò false identità (Manuel López Cadena, Adalberto Barbieri e Paulo Roberto Felice). Si sottopose anche a un’operazione di chirurgia plastica, e spostandosi da paese a paese, passando per gli Stati Uniti, il Brasile e il Messico.

L’arresto e l’estradizione in Italia

Buscetta venne arrestato dalla polizia brasiliana il 2 novembre del 1972 perché ritenuto a capo di una gang di trafficanti internazionali. Nel suo deposito blindato in Brasile, le autorità trovarono eroina pura per un valore di 25 miliardi di liredell’epoca. Estradato in Italia, venne rinchiuso a Palermo nel carcere dell’Ucciardone e condannato a 10 anni di reclusione, poi ridotti a otto in appello, per traffico di stupefacenti.

Buscetta e l’omicidio di Aldo Moro

Tommaso Buscetta racconterà anni dopo che nel carcere di Cuneo fu avvicinato da Ugo Bossi, uomo di Francis Turatello, affinché si attivasse per liberare Aldo Moro, sequestrato dalle Brigate Rosse nel 1978. L’uomo gli disse che i terroristi detenuti con lui non erano stati in grado di dargli informazioni. Bossi dirà ai magistrati che erano stati i servizi segreti a nominarlo mediatore. Le registrazioni dei colloqui tra Buscetta e Bossi entreranno anche nel processo di Palermo a Giulio Andreotti.

Secondo le deposizioni di Buscetta nella Commissione interprovinciale di Cosa nostra si vennero a formare due distinti e contrapposti schieramenti e l’iniziativa della banda venne quindi bloccata dalla fazione dei Corleonesi contraria alla liberazione che, attraverso il suo referente romano Giuseppe Calò, intervenne dicendo che ai politici della Democrazia Cristiana, in realtà, interessava Moro morto, dopo che lo statista prigioniero aveva iniziato a collaborare con le Brigate Rosse e stava rivelando segreti molto compromettenti per Andreotti (il cosiddetto “Memoriale Moro”).

Il ritorno in Brasile

Trasferito nel carcere piemontese le Nuove nel 1980, riuscì ad evadere quando gli venne concessa la semilibertà e si nascose nella villa dell’esattore Nino Salvo, sotto la protezione dei boss Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo. Questi lo volevano convincere a schierarsi dalla loro parte per uccidere il loro avversario Salvatore Riina. Tuttavia nel gennaio 1981 Buscetta preferì fare ritorno in Brasile per estraniarsi dalla vicenda e si sottopose a un nuovo intervento di chirurgia plastica oltre che a un intervento per modificare la voce.

Le vendette trasversali dei Corleonesi sulla famiglia Buscetta

La seconda guerra di mafia vide vincitore lo schieramento dei Corleonesi, guidato da Riina. Il boss cortonese decise di eliminare Buscetta perché strettamente legato a Bontate, Inzerillo e Badalamenti. Non ci riuscirono perché si trovava in Brasile e quindi attuarono vendette trasversali contro i suoi parenti:

Dopo gli omicidi dei suoi familiari, Buscetta era intenzionato a uccidere il suo capomandamento Pippo Calò, che aveva fatto causa comune con i Corleonesi, e per questo avviò una corrispondenza con il suo associato Gerlando Alberti, all’epoca detenuto, perché cercava appoggi per poter tornare a Palermo. Alberti rimase vittima di un tentato omicidio in carcere e il piano fallì.

La morte di Antonio e Benedetto Buscetta

Durante una deposizione a un processo nel 1993 il pentito Salvatore Cancemi rivelò a Buscetta di aver strangolato a morte, insieme a Giuseppe Calò, due dei suoi figli, Antonio e Benedetto. Benedetto fu strangolato da Calò in quanto somigliava di più al padre. Don Masino lo perdonò, dicendo che sapeva che non avrebbe potuto rifiutare l’ordine dato da Riina. Quest’ultimo, infatti, aveva ordinato di ammazzare i Buscetta, gli Inzerillo, i Contorno e i Bontade fino al 20º grado di parentela.

Tommaso Buscetta tentò il suicidio

Il 23 ottobre 1983, 40 poliziotti circondarono la sua abitazione a San Paolo in Brasile e lo arrestarono mentre era in compagnia di Leonardo Badalamenti, figlio del boss Gaetano. A nulla valse un tentativo di corruzione operato dallo stesso Buscetta, che venne rinchiuso in prigione per alcuni omicidi collegati con lo spaccio di droga. Nel 1984 i giudici Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci si recarono da lui invitandolo a collaborare con la giustizia, ma inizialmente rifiutò. Lo Stato italiano ne chiese allora l’estradizione alle autorità brasiliane. Quando questa venne concessa, don Masino per evitarla, tentò il suicidio ingerendo della stricnina.


L’arresto di Tommaso Arresto di Tommaso Buscetta del 1983 a San Paolo in Brasile

Quando si pente Buscetta?

Salvato, arrivò in Italia accompagnato dagli uomini del vicequestore Gianni De Gennaro e decise quindi di collaborare, cominciando a rivelare organigrammi e piani della mafia al giudice Giovanni Falcone. Viene per questo considerato uno dei primi collaboratori di giustizia della storia, dopo Leonardo Vitale. Egli non condivideva più quella che era la nuova Cosa nostra, poiché, a suo dire, aveva perso la sua identità.

Falcone ricostruì la struttura gerarchia mafiosa grazie a Buscetta

Grazie alla sue dichiarazioni, furono rivelate al mondo le strutture gerarchiche di Cosa nostra, fino ad allora totalmente ignote a causa della stretta omertà degli ambienti malavitosi. Tuttavia Buscetta rifiutò di parlare con il giudice Falcone dei legami politici di Cosa nostra perché, a suo parere, lo Stato non era pronto per dichiarazioni di quella portata, e si dimostrò abbastanza generico su quell’argomento.


Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta

Il rapporto tra Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta

Come raccontato da Antonino Caponnetto, Falcone riteneva che Buscetta non si pentì mai, sebbene le sue confessioni fossero “oro colato” e che grazie alle sue dichiarazioni riuscì a decifrare i codici di mafia fino a quel momento ignoti a tutti gli investigatori. prese le distanze dall’organizzazione mafiosa di cui faceva parte e di cui non riconosceva più il modus operandi. Prese le distanze da quello che la mafia era diventata con i “Corleonesi di Riina”, non dalla mafia di cui lui aveva fatto parte.

Buscetta: “Non sono un pentito”

Sempre secondo il racconto di Caponnetto, Falcone lo “apprezzava” poiché la guerra tra fazioni mafiose e la vendetta trasversale attuata dai Corleonesi gli colpì un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti. Anche due dei suoi otto figli, inoltre, furono vittime della cosiddetta “lupara bianca”, cioè sparirono per non venire mai più ritrovati. “Non sono un infame. Non sono un pentito. Sono stato mafioso e mi sono macchiato di delitti per i quali sono pronto a pagare il mio debito con la giustizia”.

Falcone, il confessore di Buscetta

Secondo Caponnetto, Buscetta scelse la strada della collaborazione perché vedeva in Falcone un confessore, un uomo che ispirava fermezza e autorità, un uomo che meritò e conquistò il rispetto del “pentito-non-pentito” Buscetta. Nel 1984 il giudice Falcone volò in Brasile per l’estradizione in Italia di un criminale e ne tornò con un collaboratore di giustizia eccellente. Le prime parole che si scambiarono Falcone e Buscetta da “collaboratori” furono queste, dirette dal pentito al giudice: “L’avverto, signor giudice. Dopo quest’interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E’ sempre del parere di interrogarmi?”.


Tommaso Buscetta nell’aula bunker del Maxiprocesso

La scoperta di “Cosa Nostra”

Falcone pose le basi per la più proficua e onesta collaborazione mai avvenuta tra Stato e criminalità organizzata, sempre nel rispetto dei ruoli e rimarcando sempre che prima di Buscetta si aveva una visione superficiale della mafia. Dopo di lui la mafia ebbe dei nomi, dei volti, delle gerarchie, delle famiglie, dei capi mandamento, dei capi famiglia, dei giuramenti, delle regole, dei simboli, dei codici. La mafia, in Sicilia, aveva un nome, quel nome era “Cosa Nostra”. Falcone disse di Buscetta che fu come un professore che gli insegnava una lingua straniera permettendogli di comunicare con le parole e non più con i gesti.

Buscetta: “Falcone era il mio faro”

Dopo la morte di Falcone, Buscetta lo ricordò così: “Era il mio faro, ci capivamo senza parlare. Era intuito, intelligenza, onestà e voglia di lavorare. Io godevo a parlare con lui”. Buscetta aveva piena fiducia in Giovanni Falcone non si fidava di nessun altro perché era convinto che lo Stato italiano non avesse veramente l’intenzione di combattere la mafia.

Il “programma testimoni”

Nel 1984 venne estradato negli Stati Uniti dove ricevette dal governo una nuova identità, la cittadinanza statunitense e la libertà vigilata in cambio di nuove rivelazioni contro Cosa nostra americana. Nel 1986 testimoniò al maxiprocesso di Palermo scaturito dalle dichiarazioni rese a Falcone, e nel processo “Pizza connection”, che si svolse a New York e vide imputati Gaetano Badalamenti e altri mafiosi siculo-americani accusati di traffico di stupefacenti.

Buscetta dopo la Falcone e Borsellino

Nell’estate del 1992, in seguito agli attentati in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Buscetta iniziò a parlare con i magistrati dei legami politici di Cosa nostra. Buscetta accusò gli onorevoli Salvo Lima, ucciso qualche mese prima, e Giulio Andreotti di essere i principali referenti politici dell’organizzazione. In particolare riferì di aver conosciuto personalmente Lima fin dalla fine degli anni ’50 e di averlo incontrato l’ultima volta nel 1980 durante la sua latitanza.

Buscetta: l’omicidio di Mino Pecorelli e Giulio Andreotti

Buscetta riferì inoltre di aver saputo che l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli nel 1979 sarebbe stato compiuto nell’interesse di Andreotti.  Per via di queste sue dichiarazioni fu uno dei principali testimoni dei processi a carico di Andreotti per associazione mafiosa e per l’omicidio Pecorelli. Andreotti verrà assolto dall’accusa di aver commissionato l’assassinio di Pecorelli, mentre verrà accertata la sua connivenza con la mafia per i fatti anteriori al 1980, prescritti al momento dell’emissione della sentenza. Nel marzo 1995 il nipote di Buscetta, Domenico, venne ucciso dal boss Leoluca Bagarella, che 3 mesi dopo sarebbe stato arrestato.



La morte

Dopo aver fatto parlare di sé per una crociera nel Mediterraneo. Egli, infatti, manifestò, in un libro-intervista di Saverio Lodato, pubblicato da Mondadori nel 1999, il suo disappunto per la mancata distruzione di Cosa nostra da parte dello Stato italiano. Morì di cancro il 2 aprile 2000, all’età di 71 anni, dopo aver vissuto la maggior parte della sua vita con la sua terza moglie e famiglia in Florida, negli Stati Uniti, con nomi falsi. Fu sepolto sotto falso nome a North Miami.

Dove vedere il film Il Traditore?

Il film Il Traditore va in onda lunedì 24 maggio in Prima Visione su Rai 1 alle 21.25.

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