Inchiesta

Camorra, mafia e ndrangheta: i nomi, le famiglie e i clan attivi in Italia – L’INCHIESTA

Camorra, mafia e ndrangheta non devono richiamare alla memoria solo il passato oppure film e serie televisive. Si tratta di organismi ancora in grado di generare violenza, lutti, omicidi e di gestire in diverse zone affari leciti ed illeciti. Ecco i nomi, le famiglie e i clan attivi in Italia.

Camorra, mafia e ndrangheta

Il 7 febbraio 2018, la “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere” ha approvato la “Relazione conclusiva” dei lavori svolti nel corso della XVII legislatura.

Un compendio importante che racconta, in tutta la sua complessità, un quinquennio di indagini sul fenomeno delle infiltrazioni mafiose nel tessuto istituzionale e sociale del Paese.


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Un lavoro iniziato alla fine del 2013 con le audizioni del Ministro della giustizia, del Procuratore nazionale antimafia, del Ministro dell’interno e del Direttore della DIA e che ha toccato tutte le sfaccettature del “sistema mafia”, partendo dall’evoluzione del metodo mafioso, per arrivare alla colonizzazione mafiosa al nord e all’estero, senza trascurare i condizionamenti dell’economia e degli apparati pubblici, i rapporti con la politica e la massoneria deviata, la necessità di recuperare le ricchezze mafiose e di proteggere, allo stesso tempo, i minori e chi collabora con lo Stato.

La “Commissione Antimafia” ha, tra l’altro, tracciato le linee ispiratrici della proposta di legge di riforma del sistema di protezione dei testimoni di giustizia, approvata all’unanimità da entrambi i rami del Parlamento. Si tratta della legge 11 gennaio 2018, n. 6, recante “Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia”, che ha dato piena dignità alla figura dei testimoni di giustizia, definendone il rapporto con lo Stato.

La lotta alla mafia

È la dimostrazione di come la lotta alla mafia necessita, ancora oggi, di una costante attenzione del legislatore, chiamato a confrontarsi con un fenomeno dalla portata globale, che procede in rapida, silente evoluzione. Una strategia che si è modificata negli anni, ma che non fa dimenticare quanto drammatico sia stato l’attacco allo Stato nel periodo della stagione delle stragi. Ricorre proprio nel semestre il venticinquesimo anniversario dell’attentato di via dei Georgofili, avvenuto a Firenze nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993.


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In quegli anni, si stava consumando uno dei momenti più drammatici della storia del Paese, che venne così descritto nella Relazione della DIA del ‘93: “…con l’eccidio di Firenze e con gli attentati di luglio, «cosa nostra» sembra essere entrata in una fase terroristica «pura». Il perseguimento di scopi di tipo politico (intendendo il termine nella sua accezione più ampia) diventa la motivazione fondamentale del delitto, mentre viene meno ogni valenza tattica dell’evento, cioè la volontà di eliminare obiettivi concreti, suscettibili di costituire un impedimento alle attività dell’organizzazione”.

La risposta della Chiesa alle mafie

Pochi giorni prima, il 9 maggio, nella valle dei Templi di Agrigento, Papa Giovanni Paolo II, abbandonando il testo scritto dell’omelia, si rivolse direttamente ai mafiosi con un grido di dolore pubblico che risuonò come un vero e proprio anatema: “Dio ha detto una volta, non uccidere. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”.

Era la risposta della Chiesa ad un processo di cambiamento culturale e sociale del Paese che, sul piano istituzionale, iniziava finalmente ad interpretare la mafia come “…un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”. È tenendo fede a questo impegno, che la “Relazione semestrale” della DIA, prevista dall’art. 109 del D. Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 (Codice Antimafia), analizza e porta a conoscenza del Ministro dell’Interno, per la presentazione al Parlamento, gli esiti dell’attività svolta ed i risultati conseguiti nei confronti delle organizzazioni di tipo mafioso.

Ciò, nella prospettiva di rendere noto anche all’opinione pubblica quanto siano ancora presenti, invasive e pericolose le mafie, delle quali è sempre più palpabile la forza di condizionamento dell’intero tessuto economico nazionale ed estero. Un’analisi complessa, che per essere il più possibile esaustiva poggia sugli elementi informativi raccolti dalla DIA, dalla Polizia di Stato, dall’Arma dei carabinieri, dalla Guardia di finanza e dal Corpo di polizia penitenziaria, di cui è la naturale espressione.


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