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Campania, i 10 criminali più pericolosi della camorra: ecco chi sono

Ecco la lista dei 10 criminali più pericolosi della storia della camorra in Campania: da Caserta a Napoli, da Cutolo a Schiavone.

La top 10 dei criminali più pericolosi della Campania: ecco chi sono

È cosa risaputa che la Campania sia una delle regioni più belle e importanti d’Italia, per non parlare della grande risonanza di cui vanta a livello mondiale. Tuttavia, è altrettanto risaputo che la Campania, da Napoli fino a Salerno, passando per Caserta, sia una delle terre che vanta anche pericolosi sistemi criminali legati alla camorra: molti sono stati i boss famosi, ma pochi sono stati quelli veramente sanguinari, al punto da essere considerati minacce pubbliche anche a livello internazionale.

La Campania, purtroppo, è terra di camorra e molti suoi esponenti sono diventati addirittura dei miti, proprio come quelli descritti al cinema. Numerose sono state le loro vittime, così come i fatti di cronaca che li ha visti protagonisti: alcuni sono morti, altri sono ancora in via e temuti nonostante da anni siano in carcere.

Ecco la lista dei criminali più pericolosi della Campania: vediamo chi sono.

[titolo_paragrafo]Antonio Esposito “Totonno ‘e Pomigliano”[/titolo_paragrafo]

Antonio Esposito, detto Totonno, è stato un noto boss di Pomigliano D’Arco. Classe 1917, Esposito si legò nel dopoguerra a Pascalone ‘e Nola, insieme al quale lavorò in diversi traffici. Dopo essersi liberato di diversi rivali, tra cui Simonetti, Totonno organizzò l’omicidio proprio di Pascalone, il quale trovò la morte nel 1955: gli autori furono Gaetano Orlando e Gaetano Nuvoletta. Totonno fu poi ucciso il 4 ottobre dello stesso anno per vendetta.


[titolo_paragrafo]Vincenzo Casillo ‘O Nirone[/titolo_paragrafo]

Detto o’ Nirone per la sua capigliatura corvina, è stato uno degli uomini chiave della Nuova Camorra Organizzata, svolgendo un ruolo attivo sul territorio mentre Raffaele Cutolo soggiornava nelle diverse carceri italiane. È ritenuto l’autore materiale dell’omicidio di Nino Galasso, fratello di Pasquale Galasso. L’affiliazione di Casillo alla NCO è anomala: egli, a differenza dei primi membri, non è un galeotto né un pregiudicato.

Secondo il collaboratore di giustizia Pasquale Galasso, Casillo fu l’esecutore materiale dell’omicidio del banchiere Roberto Calvi, avvenuto a Londra nel 1982; Casillo infatti era segretamente passato dalla parte del clan Nuvoletta, legato ai Corleonesi, e per questo doveva fare un favore al mafioso siciliano Pippo Calò, che voleva uccidere Calvi perché si era appropriato del suo denaro e di quello dei suoi soci.


[titolo_paragrafo]Pasquale Simonetti “Pascalone ‘e Nola”[/titolo_paragrafo]

L’adesione alla camorra lo portò prima nel giro del contrabbando di sigarette, poi al controllo sul mercato ortofrutticolo napoletano, che arrivò a controllare in maniera pressoché totale, insieme ad Antonio Esposito, detto Totonno ‘e Pumigliano. Il controllo sui traffici era tale che era la camorra, in cambio della protezione, a gestire l’intero ciclo produttivo, dai raccolti ai prezzi, fino allo smistamento.

Simonetti era ritenuto un “guappo” e alcuni suoi concittadini gli si rivolgevano per chiedergli giustizia. Tra gli episodi che si ricordano c’è l’intimidazione a un uomo che aveva messo incinta la sua fidanzata, ed era poi fuggito: Simonetti gli chiese se, dovendo spendere diecimila lire in fiori, preferiva che fossero spesi per il suo matrimonio o per il suo funerale.

Un altro episodio riguardante la vita di Simonetti è lo schiaffo che il camorrista avrebbe dato al gangster italostatunitense Lucky Luciano.

Il 27 aprile 1955 sposò Assunta Maresca, detta Pupetta, ma dopo pochi mesi fu assassinato da un sicario, Gaetano Orlando, detto “Tanino ‘e bastimiento”, inviato da Antonio Esposito.

Il motivo dell’omicidio sta probabilmente nel boom economico di allora, grazie al quale le industrie più importanti arrivarono sul mercato imponendo il proprio potere, riducendo il giro d’affari per la criminalità organizzata.

Il 4 ottobre 1955, Assunta – incinta – uccise il presunto mandante dell’omicidio: Antonio Esposito. Il 14 ottobre, fu arrestata e condotta nel carcere di Poggioreale. Nel corso della sua detenzione partorì il primo figlio, Pasquale, detto Pasqualino.



[titolo_paragrafo]Carmine Alfieri[/titolo_paragrafo]

Carmine Alfieri (Saviano, 18 febbraio 1943) è un mafioso e collaboratore di giustizia italiano, detto anche “o’ ntufato” (l’arrabbiato) a causa del ghigno corrucciato che aveva impresso in viso, vissuto a Piazzolla di Nola (frazione dell’omonimo comune), sua roccaforte, è stato uno dei massimi esponenti della Camorra napoletana nel decennio a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90.

Dopo essere stato testimone dell’uccisione del padre, avvenuta al termine di un duello rusticano nelle campagne del nolano, giurando vendetta sul corpo del genitore, conobbe ascesa nel mondo del crimine ad inizio degli anni sessanta quando ancor giovane fu arrestato per detenzione abusiva di armi da fuoco, estorsione e lesioni.

Nel 1974 ricevette dalla Camorra la consacrazione a “uomo d’onore”, primo passo di una carriera criminale che lo porterà, a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90, ad essere riconosciuto come uno dei più potenti e temuti boss, tra i primi, insieme al sodale Antonio Bardellino (col quale progetta e porta a compimento una delle più eclatanti carneficine di camorra: la Strage di Torre Annunziata, che nel 1984, a Torre Annunziata, decima il clan Gionta), a conferire, grazie anche ad importanti agganci ed influenze nel mondo politico e finanziario, un’impronta imprenditoriale alla criminalità organizzata in Campania.

Nella seconda metà degli anni ottanta diede vita con altri clan dell’entroterra e della città ad una confederazione camorristica, nota con il nome di Nuova Famiglia, che si contrappose ferocemente a quella capeggiata da Raffaele Cutolo denominata Nuova Camorra Organizzata (NCO) e sulla quale ebbe la meglio. Dopo essere diventato uno dei latitanti più ricercati dalla Polizia fu arrestato dai Carabinieri l’11 settembre 1992 a Saviano, all’interno del sotterraneo di una masseria locale.

Divenuto collaboratore di giustizia ha rivendicato la responsabilità, diretta e indiretta, in circa centocinquanta omicidi, confessando insospettabili intrecci e protezioni a livello istituzionale, tirando in ballo uomini politici all’epoca assai in vista e chiarendo la posizione del suo braccio destro, il mamma santissima Pasquale Galasso, all’interno dell’organizzazione nota come Nuova Famiglia.

Particolarmente inquietanti sono, infine, le ultime dichiarazioni sul business dei rifiuti tossici sversati nell’area agricolo-industriale di Boscofangone, bretella di collegamento tra i comuni di Nola, Marigliano ed Acerra, area tristemente denominata “Triangolo della morte Acerra-Nola-Marigliano” a causa dell’alta percentuale di morti per cause tumorali. Stando alla sua testimonianza, l’intero complesso del CIS-Interporto-Vulcano Buono sarebbe stato edificato su terreni nei quali sarebbero stati sversati rifiuti “speciali” provenienti da fabbriche del Nord Italia e della Germania.

A causa della sua collaborazione con gli inquirenti ha subito numerosi lutti, tra i quali l’uccisione del figlio, di un fratello, di un nipote e del genero.


[titolo_paragrafo]Pasquale Russo[/titolo_paragrafo]

È considerato il capo dell’omonimo clan camorristico operativo nella zona di Nola, in provincia di Napoli, sorto dalle ceneri del disciolto clan Alfieri.

Latitante dal maggio 1993, ricercato per associazione di stampo mafioso, omicidio, occultamento di cadavere, concorso in omicidio plurimo e traffico di sostanze stupefacenti, inserito per oltre 16 anni nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi a livello nazionale, è stato arrestato il 1 novembre 2009 dai Carabinieri. Si nascondeva in un casolare di Sperone piccolo comune della provincia di Avellino al confine con il napoletano, dove è stato sorpreso insieme ad uno dei suoi fratelli. Il giorno precedente era stato arrestato dalla polizia un altro suo fratello, Salvatore, anch’egli latitante.


[titolo_paragrafo]Pasquale Galasso[/titolo_paragrafo]

Ancora oggi le sue dichiarazioni vengono utilizzate in molti processi a boss di camorra. La sua villa situata nel comune di Scafati è oggi sede di una caserma della Guardia di Finanza.

Su Pasquale Galasso è stato anche scritto un libro dal titolo Io, Pasquale Galasso: da studente in medicina a capocamorra, di Gigi Di Fiore, pubblicato nel 1994.

Nato in una famiglia piuttosto agiata (il padre Sabato Galasso possedeva un deposito di mezzi da lavoro FIAT), e studente universitario al secondo anno di medicina, Pasquale Galasso si trovò coinvolto nella malavita locale di Poggiomarino a causa di un singolare episodio: poco più che ventenne due malavitosi cercarono di rapire lui e sua sorella, ma lui rubò l’arma ad uno dei due e fece fuoco, ammazzando all’istante due dei tre rapitori, mentre il terzo fuggì (un’altra versione dei fatti dice che i due erano venuti a chiedere il pizzo al padre Sabato).

Si unì alla Nuova Famiglia di Carmine Alfieri agli inizi degli anni ’80 e fu coinvolto nell’omicidio del luogotenente di Raffaele CutoloVincenzo Casillo, detto o’ nirone, saltato in aria a causa di un’autobomba nel quartiere di Forte Boccea a Roma (in seguito si scoprì che Casillo aveva rapporti con servizi segreti deviati).

Proprio questo omicidio fu l’inizio del declino per la Nuova Camorra Organizzata del boss di Ottaviano. Pasquale Galasso, in questa guerra di camorra, perse anche suo fratello.

Venne rinchiuso nel carcere di Poggioreale a Napoli dove conobbe importanti camorristi del tempo, tra cui Raffaele Cutolo che più volte gli propose l’affiliazione alla sua organizzazione. Nel 1992, essendo stato catturato dopo un breve periodo di latitanza, Pasquale Galasso si pentì (fu poi seguito a ruota dal collega Carmine Alfieri).

Il suo fu un pentimento che scioccò l’Italia; parecchi furono i politici (non solo locali) che furono coinvolti. Fra questi vi sono Antonio Gava e Piccolo e alcuni dei maggiori esponenti della corrente dorotea campana.

[titolo_paragrafo]Pasquale Barra “O’ animale” [/titolo_paragrafo]

Considerato uno degli esponenti di spicco della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, si dissociò successivamente dallo stesso Cutolo, Barra, che è morto scontando l’ergastolo nel carcere di Ferrara, è stato uno dei principali accusatori di Enzo Tortora.

Affiliatosi prima come capozona di Ottaviano e poi come santista,fu il primo a dissociarsi da Raffaele Cutolo e, grazie al suo pentimento, rese possibile il più grande attacco mai portato dalla giustizia alla camorra. Si suppone che Barra si sia sentito tradito da Cutolo il quale, proprio in seguito all’omicidio Turatello e di fronte alle pressioni della mafia siciliana, sostenne di non esserne il mandante.

In seguito alle rivelazioni di Barra e dei pregiudicati Giovanni Pandico e Giovanni Melluso, fu possibile il blitz del 17 giugno 1983 in cui vennero arrestati 850 presunti affiliati della Nuova Camorra Organizzata, tra cui l’insospettabile Enzo Tortora. Barra, al fine di ottenere una protezione in carcere, fornisce liste di presunti camorristi nel corso di 17 interrogatori, ma solo nel corso del diciottesimo interrogatorio, il 19 aprile 1983, fece il nome di Tortora, definendolo un affiliato alla Nuova Camorra Organizzata e responsabile del traffico di droga. Barra rifiuterà di deporre e di confermare le accuse sia al processo di primo grado che in quello d’appello. Le accuse si riveleranno infondate.

Il pentimento di Barra apparve subito controverso. Nel corso delle indagini i giudici scoprirono uno dei tanti tentativi di estorsione da lui compiuti per approfittare della sua posizione di pentito. Barra aveva scritto una lettera ad un concessionario di Casoria, nella quale chiedeva 15 milioni per non fare il suo nome nel corso degli interrogatori. In realtà quello di Barra non si può definire un vero pentimento bensì una semplice dissociazione da Cutolo per ragioni personali. Infatti Barra ha continuato a definirsi camorrista.

Nel mese di maggio 2009, nel corso di un’udienza a carico di Raffaele Cutolo, Pasquale Barra ha testimoniato in videoconferenza da una località protetta affermando di non conoscere Raffaele Cutolo né Rosetta Cutolo, ritrattando le testimonianze passate; questo portò gli inquirenti a definire il suo comportamento uno “sciopero del pentimento“. È morto il 27 febbraio 2015 all’età di 73 anni, all’interno del carcere di Ferrara in cui era detenuto, per un arresto cardiaco.


[titolo_paragrafo]Mario Fabbrocino[/titolo_paragrafo]

Mario Fabbrocino (Ottaviano, 5 gennaio 1943 – Parma, 22 aprile 2019) è stato un criminale italiano, legato alla Camorra e capo del Clan Fabbrocino dal 1982 al suo arresto, avvenuto nel 2005. Era soprannominato ‘o Gravunaro (il carbonaio).

È stato uno dei promotori della Nuova Famiglia, un’organizzazione camorristica nata alla fine degli anni settanta per contrastare la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

Intorno al 1982 si distacca da Michele Zaza e, con i fratelli Russo di San Paolo Bel Sito e Salvatore D’Avino di Somma Vesuviana costituisce un clan autonomo che controlla un vasto territorio tra il nolano e il Vesuvio: San Gennaro Vesuviano e San Giuseppe VesuvianoOttaviano e San GennarelloPalma Campania e parte di Terzigno.

Nel 1984 viene arrestato e il 22 settembre 1987, mentre era detenuto nel carcere di Bellizzi Irpino, gli furono concessi gli arresti domiciliari in clinica, per curarsi da dei problemi cardiaci, ma il 14 novembre scappa e inizia la sua latitanza durata circa 10 anni.

Il 3 settembre 1997 viene arrestato in un elegante appartamento a una trentina di chilometri da Buenos Aires e viene rinchiuso nella stessa cella che aveva da poco ospitato Diego Armando Maradona. Nel 2001 viene estradato. Nel luglio 2002 viene scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare e sottoposto all’obbligo di firma. Quattro giorni dopo è di nuovo in carcere, rimanendoci fino ad agosto, con l’obbligo di firma presso la polizia giudiziaria.

Divenuto irrintracciabile nel 2004, il 14 agosto 2005 viene incarcerato con l’accusa di duplice omicidio, condanna confermata nel 2006.

Il 22 aprile 2019 Fabbrocino è morto all’età di 76 anni in un ospedale di Parma, la città dove era detenuto.Il 28 aprile 2019 è stato sepolto nel cimitero di Ottaviano, con una breve cerimonia privata dopo che erano stati negati i funerali pubblici.


[titolo_paragrafo]Assunta “Pupetta” Maresca[/titolo_paragrafo]

Assunta “Pupetta” Maresca (Castellammare di Stabia, 19 gennaio 1935) è una mafiosa italiana. Moglie del boss Pasquale Simonetti, detto Pascalone ‘e Nola e sorella di Ciro Maresca, detto Lampetiello, è stata protagonista di uno degli episodi più eclatanti della storia della camorra.

Pupetta era figlia di Alberto Maresca, un contrabbandiere talmente pericoloso da venire espulso dal paese di residenza, e nipote di Vincenzo Maresca, condannato a sette anni per l’omicidio del fratello Gerardo.

Il primo incontro con la giustizia fu a scuola, quando aggredì una compagna e fu incriminata per lesioni gravi: non venne condannata perché la vittima ritirò la denuncia. Di notevole bellezza (vinse un concorso locale di miss), quando Pasquale Simonetti (detto Pascalone ‘e Nola per la sua mole) si innamorò di lei i familiari benedissero il fidanzamento. Il 27 aprile 1955 Pupetta Maresca, già incinta, sposò il giovane delinquente. Testimone di nozze fu Antonio Esposito detto Totonno ‘e Pomigliano, futuro mandante dell’assassinio del marito.

Il 15 luglio del 1955 Orlando Carlo Gaetano uccise Pasquale Simonetti. Alcuni mesi dopo, il 4 ottobre, Assunta – al sesto mese di gravidanza – uccise il presunto mandante dell’omicidio: Antonio Esposito. Secondo gli inquirenti, i colpi partirono da almeno quattro pistole. Dunque l’omicidio si inquadrava nella guerra di potere della camorra pre-cutoliana per la gestione dei prezzi del mercato ortofrutticolo.

Il 14 ottobre del 1955, la Maresca fu arrestata e condotta nel carcere di Poggioreale. Nel corso della sua detenzione partorì il primo figlio, Pasqualino. Condannata a 13 anni e 4 mesi per omicidio (con l’attenuante della provocazione) più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, fu graziata dopo oltre dieci anni di detenzione.

Pupetta Maresca fu accusata di essere la mandante dell’omicidio di Ciro Galli (uomo di Raffaele Cutolo), ucciso nel 1981 per vendetta trasversale. Il pm chiese l’ergastolo, ma nel 1985 fu assolta per mancanza di prove.

Il 13 febbraio 1982, in piena guerra tra NCO e NF, Pupetta Maresca indisse una conferenza stampa, nel corso della quale minacciò apertamente Raffaele Cutolo e la Nuova Camorra Organizzata: «Se per Nuova Famiglia si intende tutta quella gente che si difende dallo strapotere di quest’uomo, allora mi ritengo affiliata a questa organizzazione». Poco dopo fu arrestata perché accusata di aver ordinato l’omicidio di Aldo Semerari, lo psichiatra che aveva dichiarato pazzo Cutolo; in seguito fu assolta. Fu assolta anche dalle successive accuse di tentata estorsione (ad una banca), e traffico di stupefacenti.

Nel 1986 la sezione misure di prevenzione del tribunale di Napoli stabilì che Pupetta Maresca apparteneva alla camorra come affiliata alla Nuova Famiglia. Per tale ragione ordinò la confisca dei beni.


[titolo_paragrafo]Raffaele Cutolo[/titolo_paragrafo]

Raffaele Cutolo (Ottaviano, 10 dicembre 1941) è il fondatore nonché capo della Nuova Camorra Organizzata.

Ha due fratelli, Pasquale e Rosetta Cutolo, i quali intrapresero come il fratello una carriera criminale; Rosetta condivise le sorti del fratello e fu importante per le attività della NCO. Soprannominato ‘o Professore dai suoi compagni di carcere, perché l’unico tra di loro che sapesse leggere e scrivere, ha trascorso gran parte della sua vita in carcere, proprio come Salvatore De Crescenzo, esponente della camorra nel XIX secolo.

I suoi arresti e le sue fughe da film, così come i suoi fatti criminali. A lui si rivolgono i servizi segreti per ritrovare l’assessore regionale Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse. E poi ancora la strage nel carcere di Poggioreale durante il terremoto e centinaia di morti nella guerra di camorra con la Nuova Famiglia. Infine Cutolo venne messo in isolamento dove si trova tuttora al 416 bis, regime carcerario che nacque proprio per impedire a Cutolo di dare ordini anche dalla galera. Ancora oggi il superboss viene visto come un mito da chi “aspira” a fare il camorrista, ma ha seminato morte ovunque sia andato. Il professore non si è mai pentito, ma continua a ripetere che potrebbe fare arrestare mezza Italia che conta.

[titolo_paragrafo]Menzioni speciali[/titolo_paragrafo]





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