Rischia il carcere per il reato di atti persecutori lo stalker che per diversi anni tormenta con offese, minacce e molestie la vittima, anche tramite social network, attaccandola con post pubblici offensivi e minacciosi, al punto da costringerla a bannare il molestatore e a bloccare le chiamate in entrata sul suo cellulare. Le reiterate condotte del social stalker hanno infatti ingenerato nella vittima un perdurante stato d’ansia, portandola a temere per la sua incolumità e a modificare le sue abitudini di vita.
Carcere per lo stalking anche su facebook
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 45141/2019 pronunciandosi sulla vicenda di un uomo condannato a dieci mesi di reclusione per i reati di cui agli artt. 612-bis e 595 del codice penale.
- Il caso: offese e minacce su Facebook
- Stalking integrato anche dalle molestie su Facebook
- Sufficiente un solo evento per integrare lo stalking
- Irrilevante il riavvicinamento tra vittima e persecutore
Il caso: offese e minacce su Facebook
Nel dettaglio, l’imputato era accusato di avere, con condotte reiterate, offeso, molestato e minacciato una donna e le persone a lei vicine, nonché di aver offeso la sua reputazione attraverso post pubblici su Facebook.
In Cassazione, il prevenuto contesta il reato ascrittogli, ritenendo che la vittima non non avesse sofferto di alcun grave e perdurante stato d’ansia, né di un cambiamento delle sue abitudini di vita. Evidenzia di aver intrattenuto con la donna numerose conversazioni e mantenuto contatti di vario tipo, che la stessa gli aveva concesso il suo numero di telefono e che, solo una volta, gli aveva impedito ogni interferenza con i suoi profili Facebook utilizzando la procedura di “banning”.
Di diverso avviso gli Ermellini che, invece, sottolineano come il ricorso sottenda una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, non consentita in sede di legittimità, essendo questa riservata al giudice di merito.
Tra l’altro, con motivazione logica, ampia ed esaustiva, prima di contraddizioni, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato di stalking, basandosi sulle dichiarazioni della persona offesa (logiche e coerenti), riscontrate da specifici episodi e dalle dichiarazioni dei suoi amici.
Stalking integrato anche dalle molestie su Facebook
L’uomo è stato accusato a causa delle continue molestie nei confronti della donna, durate oltre sette anni e attuate anche tramite messaggi e post diffusi sui social network, nelle quali veniva fatto utilizzo di un infinito numero di espressioni aspramente offensive, ma anche minacciose.
E in base a tali rilievi i giudici di merito hanno ritenuto sussistente gli eventi di danno di cui all’art. 612-bis c.p., ovvero lo stato di ansia, tensione e paura indotto nella vittima, considerato anche il lungo arco temporale in cui l’imputato aveva posto in essere il comportamento persecutorio che ha ha impedito alla donna di svolgere una vita normale, anche sotto il profilo delle relazioni personali.
A seguito di tali condotte, la vittima era stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita: aveva dovuto chiedere spesso l’aiuto di amici per farsi accompagnare a casa, temendo le intrusioni dello stalker, era stata costretta a installare un blocco in entrata nelle chiamate in arrivo dei propri apparecchi telefonici e, infine, aveva dovuto giustificarsi continuamente con i suoi contatti, anche di lavoro, a causa delle continue intrusioni diffamatorie dell’imputato sui social network.