Carlo Debenedetti, noto come Carlo De Benedetti, è un imprenditore, dirigente d’azienda ed editore italiano naturalizzato svizzero. Ha compiuto i suoi studi al Politecnico di Torino, dove si è laureato nel 1958 in ingegneria elettrotecnica. Ha iniziato la sua attività imprenditoriale nel 1959, dopodiché il suo percorso è stato tutto in discesa.
14 novembre 1934: nasce Carlo De Benedetti, noto imprenditore ed editore italiano
Carlo Debenedetti, noto come Carlo De Benedetti nato a Torino il 14 novembre del 1934 (preceduto dal fratello Franco) da Rodolfo Debenedetti, ebreo sefardita, e Pierina Fumel, di fede cattolica. Il padre apparteneva a una famiglia di professionisti e banchieri, ma fu il primo della casata a cimentarsi nell’industria: nel 1921 aveva fondato la Compagnia Italiana Tubi Metallici.
A suggellare il loro status di “ricchi borghesi”, nel 1935 i Debenedetti lasciarono la loro anonima residenza di via Bertola per trasferirsi in un esclusivo appartamento del senatore Giovanni Agnelli, lungo il centralissimo corso Oporto (attuale corso Matteotti).
Leggi razziali e inizio carriera
Colpita dalle leggi razziali fasciste, nel 1943 la famiglia fu costretta a lasciare l’Italia ottenendo asilo politico in Svizzera. Scampato il pericolo, rientrò a Torino dove Rodolfo riprese la sua attività imprenditoriale e tornò a vivere nello stesso stabile dove abitavano gli Agnelli.
Dopo la laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Torino (1958), il servizio militare negli alpini a Bra come soldato semplice perché antimilitarista e il matrimonio con Mita Crosetti, figlia di un noto cardiologo torinese, Carlo cominciò a lavorare nell’azienda di famiglia.
Assieme al fratello Franco acquisì nel 1972 la Gilardini, una società quotata in Borsa che fino ad allora si era occupata di affari immobiliari e che i due fratelli trasformeranno in una holding di successo, impegnata soprattutto nell’industria metalmeccanica. Carlo De Benedetti nella Gilardini ricoprirà le cariche di presidente e amministratore delegato fino al 1976.
Unione Industriali di Torino e massoneria
Nel 1974 fu nominato presidente dell’Unione Industriali di Torino (fu voluto dai fratelli Agnelli perché abile nel dialogare con i comunisti) e nel 1975 presidente regionale degli industriali del Piemonte.
Massone, «si fece iniziare in una loggia torinese per grande e naturale simpatia verso le tradizioni laiche nelle loro varie espressioni culturali, ma vi si affacciò due sole volte tra l’autunno del 1973 e il 1975. Deluso rispetto a promesse e aspettative, interruppe ogni rapporto con la loggia, ma per alto senso della dignità sua e dei fratelli, non insinuò di essere stato indotto».
L’esperienza FIAT
Nel 1976, grazie all’appoggio di Gianni e Umberto Agnelli, quest’ultimo suo vecchio compagno di scuola (al San Giuseppe, terza media, quarta e quinta ginnasio), fu nominato amministratore delegato della FIAT. Come “dote” portò con sé il 60% del capitale della Gilardini, che cedette alla FIAT in cambio di una quota azionaria della stessa società (il 5%) venduta dalla holding IFI. Mentre Umberto Agnelli lasciò gli incarichi operativi perché eletto senatore della DC, De Benedetti cercò di svecchiare la dirigenza della società torinese, nominando manager a lui fedeli (a cominciare dal fratello Franco) alla guida di importanti unità operative del Gruppo. Dopo un breve periodo di quattro mesi – a causa, si disse, di “divergenze strategiche” – abbandonò però la carica in FIAT.
De Benedetti diede varie volte la sua versione dei fatti, l’ultima dopo la morte dei fratelli Agnelli, nell’occasione della conferenza stampa tenutasi il 26 gennaio 2009 a palazzo Mezzanotte, con la quale annunciava le sue dimissioni dalla presidenza di tutte le società che aveva fondato: sostenne che le divergenze consistevano nella forte esitazione da parte della famiglia Agnelli a ridurre in modo drastico il numero degli addetti alla manodopera. L’ingegnere, proseguendo il discorso, ribadì che queste difficili scelte furono comunque prese dal Lingotto quattro anni più tardi; ma dopo aver subito ingenti perdite (una “barcata” di denaro, secondo le sue testuali parole).
L’acquisizione di CIR
Nel dicembre del 1976, De Benedetti rilevò le “Concerie industriali riunite” dai Conti Bocca. De Benedetti cambiò la denominazione della società in CIR – Compagnie Industriali Riunite, vendette l’originaria attività nelle concerie e trasformò la CIR in una grande holding industriale. La prima acquisizione fu quella della Sasib di Bologna dall’americana AMF.
L‘ingresso in Olivetti
Nel 1978 entrò in Olivetti, di cui divenne presidente. In questa azienda, dal nome glorioso, ma molto indebitata e dal futuro incerto, pose le basi per un nuovo periodo di sviluppo, fondato sulla produzione di personal computer e sull’ampliamento ulteriore dei prodotti, che vide aggiungersi stampanti, telefax, fotocopiatrici e registratori di cassa. In soli 24 mesi l’azienda passò da una perdita di 70 miliardi all’anno ad un profitto di 50 miliardi che raggiunse i 350 miliardi nel 1983.
Proprio nel 1983 la Olivetti aprì il capitale sociale ad un colosso americano delle telecomunicazioni, l’AT&T: un investimento di 450 miliardi di lire, considerato all’epoca un record come singolo investimento americano effettuato in Italia, in cambio del 25% del capitale.
L’alleanza durerà cinque anni. Nel 1984 l’Olivetti inglobò l’inglese Acorn Computers. E l’immagine di un De Benedetti imprenditore illuminato (all’epoca dichiarava di votare repubblicano e di avere votato solo una volta liberale per aiutare Valerio Zanone) raggiunse il livello più alto.
Il legame col PCI
Già nel 1979 sostenne che la distanza tra la classe politica e ciò che la gente vuole era aumentata negli ultimi anni trascinando l’Italia verso una nuova Repubblica; nell’estate del 1982 dichiarò a l’Unità che «l’azienda Italia è in fallimento» e che «non si può ghettizzare un terzo del paese, il PCI, e poi lamentarsi che faccia l’opposizione».
D’altra parte il PCI non può isolarsi, rendendo gli altri felici per gli alibi che offre loro”; nel 1983 affermò di essere il paladino del capitalismo italiano: «Io, Carlo De Benedetti, anni quarantanove, cittadino italiano di professione imprenditore, dico che mi piace fare il capitalista e che sono fiero di esserlo».
Proprio all’inizio degli anni Ottanta, «pur continuando a conservare una preferenza pubblica per il Partito Repubblicano», cominciò a «instaurare un legame» con il PCI di Berlinguer.
La nascita di SOGEFI
Nel 1981 CIR diede vita a SOGEFI, società globale di componentistica auto, di cui Carlo De Benedetti è stato presidente per venticinque anni prima di cedere il posto al primogenito Rodolfo, conservando però la carica di presidente onorario.
Nel 1985 fu acquisito il gruppo Buitoni-Perugina (settore alimentare-dolciario), venduto circa tre anni dopo alla Nestlé. Sempre nel 1988 l’Ingegnere tentò la scalata alla Société générale de Belgique, importante conglomerato industriale belga pronunciando una frase diventata famosa: «Sono venuto a suonare la fine della ricreazione», ma fu contrastato con successo dall’opposizione dell’establishment locale e del gruppo francese Suez.
Omintel e la lettera di Cuccia
Nel 2009, parlando dei suoi errori, disse in un conferenza stampa che “il più grosso e penoso è stato, dal punto di vista patrimoniale, quello della Société Générale de Belgique“.
A causa di una grave crisi della Olivetti, nel 1996 De Benedetti decise di lasciare l’azienda (di cui rimase presidente onorario fino al 1999), dopo aver fondato la Omnitel.
In uno scambio di lettere sulla vicenda con il numero uno di Mediobanca, Enrico Cuccia gli rispose: «Ella è proprio sicuro che il coraggio è un buon consigliere, specialmente quando si rischiano, oltre ai propri, i soldi degli altri?».
Il Banco Ambrosiano
Nel 1981 entrò nell’azionariato del Banco Ambrosiano guidato allora dall’enigmatico presidente Roberto Calvi. Con l’acquisto del 2% del capitale, De Benedetti ricevette la carica di vicepresidente del Banco. Dopo appena due mesi, l’Ingegnere lasciò l’istituto, già alle soglie del fallimento, motivandone le ragioni sia alla Banca d’Italia sia al ministero del Tesoro e cedendo la sua quota azionaria.
De Benedetti fu accusato di aver realizzato una plusvalenza di 40 miliardi di lire e per questo processato per concorso in bancarotta fraudolenta. Fu condannato in primo grado e in appello a 8 anni e 6 mesi di reclusione, sentenze poi annullate dalla Cassazione con la motivazione che non esistevano i presupposti per i quali era stato processato. Con l’ingresso nell’Ambrosiano iniziò ad accentuarsi l’interesse di De Benedetti per la finanza, attirato anche dal boom di quegli anni della Borsa, che gli permise di raccogliere tremila miliardi di mezzi freschi. Cominciò ad acquisire una miriade di partecipazioni finanziarie, assicurative, industriali.
Azioni Montedison
Comprò anche un robusto pacchetto di azioni Montedison che poi decise di vendere a Raul Gardini, entrò direttamente nel mondo finanziario di massa rilevando il fondo Spring, creato da un gruppo di agenti di cambio, si espanse all’estero attraverso la Cerus rilevando la Valeo e una quota rilevante di Yves Saint Laurent. Da metà degli anni Ottanta l’immagine del finanziere finì per prevalere su quella dell’imprenditore illuminato.
Più di una volta De Benedetti affermò: «Devo fare in una generazione quello che altri hanno fatto in tre». Gianni Agnelli, che lo ebbe più volte di fronte come avversario, lo definì “un centometrista”. Nel luglio 1992 De Benedetti disse al New York Times: «Questo è il paese del bonsai. Se resti piccolo, nel mondo degli affari nessuno ti dà fastidio. Ma se vuoi crescere, cominciano ad accusarti di essere un comunista o un sovversivo».
Il caso SME
Il 29 aprile 1985 Romano Prodi, in qualità di presidente dell’IRI, e Carlo De Benedetti in qualità di presidente della Buitoni, stipularono un accordo preliminare per la vendita del pacchetto di maggioranza, 64,36% del capitale sociale, della SME, finanziaria del settore agro-alimentare dell‘IRI, per 497 miliardi di lire.
Il consiglio di amministrazione dell’IRI, del quale solo il comitato di presidenza era già informato della trattativa, approvò il 7 maggio. Il governo richiese una verifica sull’opportunità dell’operazione e Bettino Craxi dichiarò: «Se ciò che ci viene proposto risulterà un buon affare lo faremo. Se no, no». Si poneva quindi un problema di valutazione economica e sociale.
Il 24 maggio (la scadenza per l’entrata in vigore dell’accordo, già prorogata dal 10 maggio, era prevista per il 28) l’IRI ricevette dallo studio legale dell’Avv. Italo Scalera un’offerta per 550 miliardi (10% in più dell’offerta Buitoni, il minimo per rilanciare); l’offerta non indicava i nomi dei mandanti, che sarebbero apparsi solo al momento della eventuale stipula, e l’avvocato Scalera, dopo quella prima e unica lettera, non ebbe più contatti con l’IRI. Di seguito la SME fu venduta ma non in blocco. Dalla vendita separata di solo alcune delle società del Gruppo, si ricavò più del doppio rispetto a quanto offerto solo alcuni anni prima da De Benedetti.
L’editoria e il Lodo Mondadori
Dopo aver tentato inutilmente di acquisire, insieme a Bruno Visentini, presidente dell’Olivetti e presidente del PRI, il Corriere della Sera travolto dallo scandalo P2 e aver tentato di mettere le mani su Il Tempo di Roma, nel 1987 De Benedetti entrò, attraverso la CIR, nell’editoria acquisendo una partecipazione rilevante nella Arnoldo Mondadori Editore e, attraverso di essa, nel gruppo Espresso-Repubblica.
Nel 1990 ebbe inizio la “guerra di Segrate” che per molti mesi vide contrapposti Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi. Sia la CIR sia la Fininvest, infatti, rivendicavano accordi con la famiglia Formenton, erede delle quote Mondadori.
Un collegio di tre arbitri diede ragione a De Benedetti. Ma la famiglia Formenton impugnò il Lodo arbitrale davanti alla Corte d’Appello di Roma e, nel settembre dello stesso, intervenne nel giudizio di appello, insieme agli altri partecipanti al patto di sindacato fra gli azionisti della Holding Mondadori, la Fininvest.
La vicenda giudiziaria
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza del 14 gennaio 1991 (Relatore Dott. Vittorio Metta) annullò il Lodo favorevole a De Benedetti e così spianò la strada a Berlusconi per la successiva trattativa per la spartizione finale: La Repubblica, L’Espresso e i quotidiani locali Finegil a De Benedetti, a Berlusconi invece Panorama, tutto il resto della Mondadori e un conguaglio di 365 miliardi di lire.
Nel 1996, però, la Procura di Milano avviò inchieste che, come cristallizzato dalla Cassazione nel 2007, hanno svelato che la sentenza del 1991 della Corte d’Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice Vittorio Metta con 400 milioni Fininvest. L’anno successivo l’Espresso incorporò Repubblica e assunse la denominazione di Gruppo Espresso. All’inizio degli anni Novanta l’Ingegnere favorì l’ingresso nel gruppo del suo primogenito Rodolfo, che nel 1993 divenne amministratore delegato di CIR e nel 1995 della controllante Cofide-Gruppo De Benedetti.
Nel 2011 la vicenda si è conclusa con la sentenza della Corte di Appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha determinato in euro 540.141.059,32 (invece che euro 749.955.611,93) l’importo dovuto dalla Fininvest a CIR a titolo di risarcimento danni. In Cassazione nel 2013 viene confermata la sentenza dell’Appello.
Tangentopoli
Nel 1993, in piena bufera Tangentopoli, Carlo De Benedetti presentò al pool di Mani pulite un memoriale in cui si assunse la responsabilità di tutte le vicende di cui era al corrente e di quelle di cui non era al corrente. Nessun altro dirigente di Olivetti fu oggetto di provvedimenti della Magistratura. In particolare, De Benedetti ammise di aver pagato tangenti per 10 miliardi di lire ai partiti di governo e funzionali all’ottenimento di una commessa dalle Poste italiane. Su iniziativa della Procura di Roma, fu arrestato e liberato nella stessa giornata per poi essere assolto da alcune accuse e prescritto da altre.
Gli anni Duemila
Carlo De Benedetti è Consigliere di Amministrazione di Valeo, Pirelli e Banca Intermobiliare; è Vice Presidente della European Roundtable of Industrialists (Bruxelles), membro del European Advisory Committee della New York Stock Exchange, dell’International Council del CSIS Center for Strategic & International Studies (Washington), dell’International Advisory Council della CITIC – China International Trust and Investment Corporation (Pechino), dell’Accademia Reale Svedese delle Scienze per l’Ingegneria (Stoccolma), dell’Italian Council dell’INSEAD The European Institute of Business Administration (Fontainbleau).
Nel marzo Duemila fonda CDB Web Tech, società quotata al Nuovo Mercato della Borsa Valori di Milano. CDB Web Tech è specializzata in investimenti finalizzati, anche attraverso fondi, ad attività di alta tecnologia, biotech, nanotech e Internet. Carlo De Benedetti ne è Presidente e azionista di controllo.
Anni Duemiladieci
Nell’estate 2010 la Consob comminò una multa di 3,5 milioni di euro a carico di una società e sei persone fisiche (tra cui anche familiari di De Benedetti) per abuso di informazioni privilegiate proprio in occasione della nascita di M&C.
A fine anno, l’Ingegnere ha lanciato un’offerta pubblica sulla società attraverso il veicolo Per SpA. Durante la campagna per la successione alla presidenza di Confindustria nel 2012, sosteneva il candidato Bombassei e contemporaneamente si dichiarava favorevole al mantenimento dell’articolo 18.
Nel 2014 promuove la nascita della Fondazione Make in Italy Cdb onlus, di cui ricopre la carica di Presidente Onorario. La Fondazione ha come scopo il supporto alla nascita di FabLab e in generale di iniziative di diffusione della fabbricazione digitale.
Vita privata
L’imprenditore si è sposato la prima volta nel 1959 con Mita Crosetti, dalla quale ha avuto tre figli: Rodolfo, Marco ed Edoardo. Dopo il divorzio, è convolato in seconde nozze nel 1997 con l’attrice Silvia Monti. Negli anni 2000, Carlo ha avuto uno scontro con due dei suoi figli (Rodolfo e Marco) in merito al destino del gruppo GEDI. Dopo aver ceduto loro la sua attività editoriale, voleva infatti tornare ad acquisirla, ma i figli si sono rifiutati. Nel 2020, De Benedetti ha dunque fondato un nuovo quotidiano, Domani.
Non sono molte altre le informazioni che abbiamo sulla vita privata dell’imprenditore. Oggi abita prevalentemente a Sankt Moritz, in Svizzera, sebbene abbia case in molti altri luoghi: a Roma, a Dogliano (Cuneo), a Lugano e in Spagna. Nel 2018, secondo il “Sole24ore”, il suo patrimonio era stimato tra i 500 e i 600 milioni di euro.